2. Le tre Marie Nella sala da pranzo della sua casa, tra mobili antiquati e malconci, che in un lontano passato erano stati dei bei pezzi vittoriani, Esteban Trueba mangiava con sua sorella Ferula la stessa minestra unta di tutti i giorni e lo stesso pesce scipito di tutti i venerdì. Erano serviti dalla domestica che da sempre si era occupata di loro, secondo la tradizione di schiavi a pagamento di allora. La vecchia donna andava e veniva tra la cucina e la sala, curva e mezza cieca, ma ancora energica, portando e togliendo i piatti con solennità. Donna Esther Trueba non faceva compagnia ai suoi figli a tavola.
Passava le mattinate immobile su una seggiola guardando dalla finestra il movimento della strada e vedendo come il passare degli anni andava deteriorando il quartiere che ai tempi della sua gioventù era distinto. Dopo pranzo la trasferivano nel suo letto, sistemandola affinché potesse rimanere semiseduta, unica posizione che le permetteva all'artrite, senz'altra compagnia che la lettura pia dei suoi libretti devoti sulla vita e sui miracoli dei santi. Rimaneva lì fino al giorno dopo, quando si ripeteva la stessa routine. La sua unica uscita in strada era per assistere alla messa della domenica nella chiesa di San Sebastian, a due isolati da casa. dove la portavano ferule e la domestica su la sua seggio alla rotelle esteban finì di spolpare la carne biancastra del pesce tra il groviglio di spine e lasciò le posate nel piatto si sedeva rigidamente così come camminava molto sostenuto con la testa leggermente china all'indietro e un po piegata di lato guardando di sbieco con una mescolanza di alterigia sfiducia e miopia questo portamento sarebbe stato sgradevole se i suoi occhi non fossero stati sorprendentemente dolci e chiari il suo modo di muoversi così teso era più adatto a un uomo grosso e basso che avesse voluto sembrare più alto mentre lui era alto un metro e ottanta ed era magro tutte le linee del suo corpo erano verticali e ascendenti dall'affilato naso aquilino e dalle sopracciglia punta fino all'alta fronte coronata da una chioma da leone che si pettinava all'indietro aveva ossa lunghe e mani dalle dita a spatola camminava a grandi passi si muoveva con energia e sembrava molto forte senza mancare tuttavia di una certa grazia nei gesti aveva un volto molto armonioso nonostante le espressioni aduste e ombrose e la sua frequente smorfia di malumore la sua indole predominante era il cattivo carattere e la tendenza a diventare violento e a perdere la testa caratteristica che aveva fin dall'infanzia quando si gettava a terra con la bocca piena di schiuma, senza poter respirare dalla rabbia, sferrando calci come un indemoniato.
Bisognava immergerlo nell'acqua gelata per fargli recuperare il controllo. Più tardi imparò a dominarsi, ma gli era rimasta per tutta la vita quell'ira sempre pronta a cui bastava un piccolo stimolo per cedere in attacchi terribili. «Non tornerò alla miniera», disse.
Era la prima frase che scambiava con sua sorella a tavola. L'aveva deciso la notte prima, quando si era reso conto che non aveva senso continuare a fare una vita da anacoreta in cerca di una rapida ricchezza. La concessione della miniera gli valeva ancora per due anni, tempo sufficiente per sfruttare bene il meraviglioso filone che aveva scoperto. Ma pensava che, seppure il capocantiere avesse rubato un po'o non avesse saputo lavorare come avrebbe fatto lui, non c'era alcun motivo per andare a seppellirsi di nuovo nel deserto.
non desiderava diventare ricco a costo di tanti sacrifici aveva davanti a sé tutta la vita per arricchirsi se poteva per annoiarsi e aspettare la morte senza rosa dovrai pur fare qualche lavoro esteban replicò ferula sai bene che noi spendiamo poco quasi nulla ma le medicine della mamma sono care esteban guardò sua sorella era ancora una bella donna con forma e opulente un viso ovale da matrona romana Ma attraverso la sua pelle pallida dai riflessi di pesca, i suoi occhi pieni d'ombre, già si intravedeva la bruttezza della rassegnazione. ferul aveva accettato il ruolo di infermiera di sua madre dormiva nella stanza tigua quella di donna ester pronta in qualsiasi momento ad accorrere immediatamente al suo capezzale per somministrarle le sue pozioni metterle la padella sistemare i cuscini aveva un animo tormentato provava piacere nelle umiliazioni e nelle fatiche abbiette credeva che si sarebbe guadagnata il cielo al prezzo terribile di soffrire iniquità Perciò si compiaceva nel pulire le pustole delle gambe malate di sua madre, lavandola, mescolandosi ai suoi odori e alle sue miserie, scrutando il suo orinale, e così, come odiava se stessa per quei tortuosi e inconfessabili piaceri, odiava sua madre perché le serviva da strumento. Si occupava di lei senza lagnarsi, ma faceva in modo di farle pagare impercettibilmente il prezzo della sua invalidità. Senza che fosse detto era presente tra loro due il fatto... che la figlia aveva sacrificato la sua vita per curare la madre ed era rimasta zitella per quel motivo ferula aveva respinto due pretendenti col pretesto della malattia della madre non ne parlava ma tutti lo sapevano aveva un modo di fare brusco e sgraziato con lo stesso brutto carattere di suo fratello ma era costretta dalla vita e dalla sua condizione di donna a dominarlo e a mordere il freno sembrava tanto perfetta che arrivò ad avere fama di santa la citavano come esempio per la dedizione che prodigava donna ester e per il modo in cui aveva allevato il suo unico fratello quando la madre si era ammalata e il padre era morto lasciandoli in miseria ferula aveva adorato suo fratello esteban quand'era bambino dormiva con lui gli faceva il bagno lo portava a passeggio lavorava giorno e notte cucendo per gli altri per pagargli la scuola e aveva pianto di rabbia e d'impotenza il giorno in cui esteban aveva dovuto entrare a lavoro in uno studio notarile perché in casa quello che lei guadagnava non bastava per mangiare l'aveva curato e servito come ora faceva con sua madre e aveva avvolto anche lui nella rete invisibile della colpevolezza e dei debiti di gratitudine non pagati il ragazzo aveva cominciato ad allontanarsi da lei non appena aveva indossato i pantaloni lunghi esteban poteva ricordare il momento esatto in cui si era reso conto che sua sorella era un'ombra fatidica era stato quando aveva riscosso il suo primo stipendio aveva deciso che si sarebbe tenuto cinquanta centesimi per realizzare un sogno che accarezzava fin dall'infanzia bere un caffè viennese aveva visto attraverso le finestre dell'hotel francese i camerieri che passavano con i vassoi sospesi sulle teste portando tesori alte coppe di cristallo coronate di panna montata e decorate con una bella ciliegia ghiacciata.
Il giorno della sua prima paga era passato davanti al locale molte volte prima di avere il coraggio di entrare, e infine aveva avarcato con timidezza la soglia col berretto in mano ed era avanzato nella lussuosa sala, tra lampadari a gocce e mobili in stile, con la sensazione che tutti lo stessero guardando, che mille occhi giudicassero il suo abito troppo stretto e le sue scarpe troppo vecchie. Si era seduto sul bordo della seggiola con le orecchie bollenti e aveva fatto l'ordinazione al cameriere con un filo di voce. Aveva aspettato, impaziente, spiando negli specchi l'andirivieni della gente, assaporando in anticipo quel piacere tante volte immaginato.
Ed era arrivato il suo caffè viennese, molto più impressionante di quanto avesse immaginato, superbo, delizioso, accompagnato da tre biscottini al miele. L'aveva ammirato a lungo, affascinato. Aveva infine osato afferrare il lungo cucchiaino e con un sospiro di gioia l'aveva affondato nella panna.
Aveva la colina in bocca. Era disposto a far durare quell'istante il più a lungo possibile, a prolungarlo all'infinito. Aveva cominciato a rimestare per vedere come si mescolava il liquido scuro del bicchiere con la spuma della panna.
Aveva rimestato, rimestato, rimestato e improvvisamente... La punta del cucchiaino aveva urtato contro il vetro e aveva aperto un orifizio, da dove il caffè era schizzato fuori a pressione. Gli si era rovesciato sui vestiti.
Esteban, inorridito, aveva visto tutto il contenuto del bicchiere spargersi sul suo unico abito davanti allo sguardo divertito dei clienti e agli altri tavoli. Si era levato, pallido di frustrazione, ed era uscito dall'hotel francese con cinquanta centesimi in meno. lasciandosi dietro un rigagnolo di caffè sui soffici tappeti era giunto a casa macchiato furioso sconvolto quando ferul aveva saputo quello che era successo aveva commentato acidamente questo ti capita per aver sprecato il denaro delle medicine della mamma per i tuoi capricci dio ti ha punito in quel momento esteban aveva visto con chiarezza i meccanismi che sua sorella usava per dominarlo il modo in cui riusciva a farlo sentire colpevole e aveva capito che doveva mettersi in salvo nella misura in cui lui si andava allontanando dalla sua tutela ferola lo andava prendendo in antipatia la libertà che lui esibiva le faceva male come un rimprovero come un'ingiustizia quando si era innamorato di rosa e l'aveva visto sconvolto come un bambinetto chiedendole aiuto bisognoso di lei sempre fra i suoi piedi in tutta la casa per supplicarla che si avvicinasse alla famiglia del vaie che parlasse con rosa che imbonisse la nana ferula si era di nuovo sentita importante per steban per un certo tempo sembrarono riconciliati ma quel fugace riavvicinamento non era durato molto e ferula non ci aveva messo molto a rendersi conto di essere stata usata si era sentita contenta quando aveva visto partire il fratello per la miniera da quando aveva cominciato a lavorare a quindici anni esteban aveva mantenuto la famiglia e aveva preso l'impegno di farlo sempre ma a ferrola non bastava le dava fastidio dover restare chiusa fra quelle pareti puzzolenti di vecchiaie di medicine tenuta sveglia dai gemiti della malata attenta all'orologio per somministrarle le sue noiose medicine stanca triste mentre suo fratello ignorava quegli obblighi lui poteva avere un destino luminoso libero pieno di successo avrebbe potuto sposarsi avere figli conoscere l'amore il giorno che aveva inviato il telegramma che annunciava la morte di rosa aveva provato uno strano prurito quasi di allegria dovrai pur fare qualche lavoro ripete ferula non vi mancherà mai niente fin tanto che vivrò disse lui è facile dirlo rispose ferula togliendosi una spina di pesce dai denti credo che andrò in campagna alle tre marie ma è tutta una rovina esteban ti ho sempre detto che è meglio vendere la terra però tu sei testardo come un mulo non bisogna mai vendere la terra è l'unica cosa che rimane quando il resto si esaurisce non sono d'accordo la terra è un'idea romantica ciò che arricchisce gli uomini è l'occhio buono per gli affari soggiunse ferula Ma tu l'hai sempre detto che un bel giorno saresti andato a vivere in campagna.
Beh, ora è arrivato quel giorno. Odio questa città. Perché non dici invece che odi questa casa? Anche, rispose lui brutalmente. Ah, mi sarebbe piaciuto nascere uomo per potermene andare anch'io, disse piena di odio.
E a me non sarebbe piaciuto nascere donna, disse lui. Finirono di mangiare in silenzio. I due... Erano molto distanti e l'unica cosa che ancora li univa era la presenza della madre e il ricordo confuso del bene che si erano voluti durante l'infanzia.
Erano cresciuti in una casa cadente, assistendo al deterioramento morale ed economico del padre e poi alla lenta malattia della madre. Donna Esther aveva cominciato a soffrire di artrite fin da giovane. Era andata facendosi rigida al punto di muoversi con grande difficoltà come imbalsamata in vita e da ultimo...
quando non aveva più potuto piegare le ginocchia si era installata definitivamente sulla seggiola a rotelle nella sua vedovanza e nella sua desolazione esteban ricordava la sua infanzia e la sua giovinezza i suoi abiti stretti il cordone di san francesco che lo costringevano a portare per via di chi sa quale fioretto di sua madre o di sua sorella le sue camicie rammendate con cura e la sua solitudine ferula di cinque anni maggiore lavava e inamidava un giorno sì e uno no le sue due uniche camicie affinché fosse sempre in ordine di bella presenza egli ricordava che dal lato materno portava il cognome più nobile di alto lignaggio del vice reame di lima trueba era stato solo un miserabile incidente nella vita di donna ester che era destinata a sposarsi con qualcuno della sua classe sociale ma si era innamorata perdutamente di quel perdigiorno immigrato di prima generazione che in pochi anni aveva dilapidato la sua dote e poi la sua eredità ma a esteban il passato di sangueblù non serviva a nulla se in casa sua non c'era di che pagare il conto del droghiere e doveva andare a scuola a piedi perché non aveva un centesimo per il tram ricordava che lo mandavano a lezione col petto e le spalle foderate con carta di giornale perché non aveva maglie di lana e il suo cappotto faceva pietà e che soffriva al pensiero che i suoi compagni potessero sentire come lui lo sentiva Lo scricchiolio della carta, mentre si sfregava contro la pelle. D'inverno, nella casa di sua madre, l'unica fonte di calore era un bracere intorno al quale si riunivano in tre per risparmiare le candele e il carbone. Era stata un'infanzia di privazioni, di disagi, di asprezze, di interminabili rosari notturni, di paure e di colpe.
Di tutto questo gli erano rimasti solo la rabbia e un orgoglio smisurato. Due giorni dopo Esteban Trueba partì per la campagna. Ferula lo accompagnò alla stazione, salutandolo lo baciò freddamente sulle guance e attese che salisse sul treno con le sue valigie di cuoio con fermagli d'ottone, le stesse che aveva comprato per andare alla miniera e che dovevano durargli tutta la vita come aveva assicurato il venditore.
gli raccomandò di stare attento e di fare in modo di andarle a trovare di tanto in tanto rispose che l'avrebbe certamente fatto ma entrambi sapevano che erano destinate a non vedersi per molti anni e in fondo provavano un certo sollievo avvisami se la mamma peggiora gridò esteban dal finestrino quando il treno si mise in movimento non preoccuparti rispose ferula agitando il fazzoletto dal marciapiede esteban trueba Si appoggiò allo schienale rivestito di velluto rosso e apprezzò l'iniziativa degli inglesi di costruire vetture di prima classe dove si poteva viaggiare da signori, senza dover sopportare le galline, le ceste, gli involti di cartone legati con lo spago e il fregnare dei bambini altrui. Si congratulò per aver deciso di comprare un biglietto più caro per la prima volta in vita sua e decise che era nei dettagli che si vedeva la differenza tra un signore e uno zoticone. Per questo... Anche se si fosse trovato in una situazione difficile, da quel giorno in poi avrebbe speso per le piccole comodità che lo facevano sentire ricco.
«Non voglio più essere povero! » decise pensando al filone d'oro. Dal finestrino del treno vide passare il paesaggio della vallata centrale.
Vasti campi dispiegati ai piedi della cordigliera, vasti appezzamenti di vigneti, di frumento, di erba medica e di meraviglie. La confrontò. con le erme pianure del nord dove aveva trascorso due anni, dentro un buco, in mezzo a una natura aspra e lunare, la cui terrificante bellezza non si stancava di ammirare, affascinato dai colori del deserto, dagli azzurri, dai viola, dai gialli, dai minerali a fior di terra.
«La mia vita sta cambiando», mormorò, chiuse gli occhi e si addormentò. Scese dal treno alla stazione di San Lucas. Era un posto squallido, a quell'ora non si vedeva nemmeno un'anima sul marciapiede di legno, con una pensilina rovinata dalle intemperie e dalle formiche. Di lì si poteva vedere tutta la vallata, attraverso una bruma impalpabile che si levava dalla terra bagnata, dalla pioggia della notte.
Le montagne lontane si perdevano tra le nubi di un cielo coperto e solo la punta del vulcano si distingueva nitidamente, stagliata sul paesaggio. e illuminata da un timido sole invernale si guardò intorno nella sua infanzia nell'unica epoca felice che poteva ricordare prima che suo padre finisse di rovinarsi e cedesse all'alcol e alla sua stessa vergogna aveva percorso a cavallo quella regione con lui ricordava che alle tre marie aveva giocato d'estate ma erano poi trascorsi tanti anni che la memoria l'aveva cancellato e non poteva riconoscere il posto cercò con lo sguardo il villaggio di san lucas ma riuscì solo a vedere un agglomerato di casupole lontane scolorito nell'umidità del mattino attraverso la stazione l'unico ufficio era chiuso con un lucchetto c'era un cartello scritto a matita ma era così sbiadito che non poté leggerlo udì che alle sue spalle il treno si metteva in moto e cominciava ad allontanarsi lasciandosi dietro una colonna di fumo bianco era solo in quel luogo silenzioso Prese le sue valigie e si avviò verso il fango e le pietre di un sentiero che portava al paese. Camminò più di dieci minuti, contento perché non pioveva, perché poteva avanzare a fatica con le sue pesanti valigie per quella strada e capiva che la pioggia l'avrebbe ridotta in pochi minuti in una fangaglia intransitabile. Mentre si avvicinava alle casupole vide fumo su qualche comignolo e sospirò di sollievo perché all'inizio aveva avuto l'impressione che fosse un villaggio abbandonato. Tale erano lo sfacelo e la solitudine.
Si fermò all'inizio del paese senza vedere anima viva. Nell'unica strada, fiancheggiata da modeste case di mattoni, regnava il silenzio ed ebbe la sensazione di camminare in sogno. Si avvicinò alla prima casa che trovò, che non aveva alcuna finestra e la cui porta era aperta.
Lasciò le valigie sul marciapiede ed entrò chiamando a voce alta. Dentro era buio. perché la luce entrava solo dalla porta, sicché gli ci vollero alcuni secondi per adattare la vista e abituarsi alla penombra.
Allora scorse due bambini che giocavano sul pavimento di terra battuta, che lo guardavano con grandi occhi spaventati, e nel cortile di dietro una donna che avanzava asciugandosi le mani nel grembiule. Vedendolo abbozzò un gesto istintivo di sistemarsi una ciocca di capelli che le cadeva sulla fronte. La salutò e lei rispose coprendosi la bocca con la mano per parlare in modo da nascondere le sue gengive senza denti. Trueba le spiegò. che aveva bisogno di noleggiare un carretto ma lei sembrò non capire e si limitò a nascondere i bambini fra le pieghe del grembiule con uno sguardo senza espressione lui uscì prese le sue valigie e proseguì il cammino quando ebbe percorso quasi tutto il paese senza vedere nessuno e cominciava a disperarsi sentì alle sue spalle il rumore degli zoccoli di un cavallo era un carretto sconquassato guidato da un legnaiolo gli si mise davanti E costrinse il conducente a fermarsi.
«Può portarmi alle tre marie, la pagherò bene! » gridò. «Cosa va a fare laggiù, signore? » chiese l'uomo. «Quella è terra di nessuno, un ammasso di pietre senza legge!
» Ma accettò di portarlo e lo aiutò a sistemare le sue valigie tra due fascine di legna. Trueba gli si sedette accanto a cassetta. Da alcune casse uscirono dei bambini che si misero a correre dietro al carretto e Trueba si sentì più solo che mai. A undici chilometri dal villaggio di San Lucas, in una strada devastata, invasa dalle erbacce e piena di buchi, apparve un'insegna di legno col nome della proprietà.
Pendeva da una catena rotta e il vento la sbatacchiava contro il palo con un rumore sordo che gli sembrò simile a un tamburo a lutto. Gli fu sufficiente un'occhiata per capire che ci voleva un Ercole per riscattare quel posto dalla desolazione. La gramigna si era ingoiata al sentiero e ovunque guardava.
vedeva pietre erbacce e bosco non c'era nemmeno il ricordo di campi cintati né resti dei vigneti che ricordava nessuno che gli venisse incontro a salutarlo il carretto avanzò lentamente seguendo una traccia che il passo delle bestie e degli uomini avevano segnato nella macchia di lì a poco scorse in fondo la casa che ancora si teneva in piedi ma sembrava una visione da incubo piena di macerie di rete del pollaio caduta in terra e di immondizia aveva metà delle tegole rotte e c'era un'edera selvatica che si infilava nelle finestre e copriva quasi tutte le pareti intorno alla casa vide qualche baracca di mattoni senza tinta senza finestre e coi tetti di paglia neri di foligine lo strepito delle ruote del carretto e le bestemmie del legnaiolo richiamarono gli abitanti delle baracche che cominciarono a spuntare a poco a poco guardavano i sopraggiunti e sorpresa e diffidenza avevano trascorso quindici anni senza vedere alcun padrone e avevano semplicemente dedotto che non l'avevano non potevano riconoscere in quell'uomo alto e autoritario il bambino dai riccioli castani che molto tempo prima giocava in quello stesso cortile e steban li guardò e neppure lui poté ricordarli formavano un gruppo squallido vide diverse donne di età indefinibile con la pelle screpolata e secca alcune apparentemente incinte, tutte vestite di stracci scoloriti e scalze. Calcolò che c'erano perlomeno una dozzina di bambini di tutte le età. I piccoli erano nudi, altri volti si affacciavano alle soglie delle baracche senza usare uscire.
Esteban abbozzò un gesto di saluto, ma nessuno rispose. Alcuni bambini corsero a nascondersi dietro le donne. Esteban scese dal carretto, scaricò le sue due valigie e tese una moneta al legnaiolo.
«Se vuole, l'aspetto, padrone», disse l'uomo. «No, rimango qui», si diresse verso la casa, aprì la porta con una spinta ed entrò.