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Il Viaggio degli Artisti in Italia

Non posso fare a meno di osservare da quali sconosciute e particolarissime sensazioni fui colmato quando per la prima volta attraversai questa splendida e pittoresca regione. Ogni scena sembrava prefigurata in un sogno, pareva un paese incantato. Come veniti, Vecchies, su di me? Autore dei sottotitoli e revisione a cura di QTSS Nella seconda metà del Settecento, il viaggio in Italia costituisce una tappa fondamentale nella formazione degli artisti. Pittori che vengono dalla Francia, dall'Inghilterra, dalla Germania, dai Paesi Bassi e da quelli scandinavi, giungono in Italia per studiare le rovine antiche, i capolavori dei maestri del Rinascimento, la natura idilliaca e sublime del paesaggio. È soprattutto il paesaggio a catturare la loro attenzione e ad imporsi come vera e propria rivelazione. Da Villa Medici, sede dell'Accademia di Francia a Roma, nel 1818 il giovane pittore Léon Cogné scrive al proprio maestro Pierre-Narcisse Guéron. Una domanda che mi ponete mi imbarazza molto. Mi chiedete cosa mi colpisce di più la scultura degli antichi. antichi, la pittura dei maestri o la fisionomia della gente. Qualcosa mi ha colpito più di tutto questo. Voglio parlarvi della bellezza della natura. Folgorati dalla bellezza e dalla luce dell'Italia, i pittori iniziano a dipingere en plein air, a diretto contatto con la natura. Il paesaggio italiano diviene così protagonista di una ricerca artistica che, modificando la visione e le tecniche, aprirà verso soluzioni innovative e moderne. In Italia gli artisti arrivavano al seguito di mecenati facoltosi, oppure, come i francesi, grazie a borse di studio offerte dalle accademie d'arte. Molti però giungevano in modo autonomo, affrontando le spese di un'esperienza che giudicavano imprescindibile per la loro crescita artistica. Il viaggio era lungo e difficile, sia via mare sia, più spesso, via terra. Chi poteva permetterselo viaggiava in carrozza o su un cabriolet, un calesse a due ruote decappottabile trainato da un cavallo. I più compivano il lungo viaggio a piedi, con setudine normale a quei tempi, o a dorso di muli presi in affitto. I pericoli e le fatiche erano enormi, soprattutto nell'attraversamento delle Alpi, effettuato spesso in condizioni meteorologiche avverse. A metà del Seicento lo scrittore inglese John Evelyn racconta Il sentiero si svolgeva fra orridi, spaventosi di lupi. abitati da orsi, lupi e capretti selvatici. Non riuscivamo a gettare lo sguardo innanzi a noi, poiché l'orizzonte era delimitato da rocce e montagne, le cui cime coperte di neve sembravano toccare il cielo e in molti punti furare le nubi. Fra le spaccature si riversavano enormi quantità di nevi disciolta e di acque che facevano un fragore tremendo. Brennero, Moncenisio, Sempione e San Gottardo erano i valichi montani che davano accesso all'Italia. Il passo del San Gottardo con il Ponte del Diavolo era la via più diretta tra nord e sud dell'Europa. Situato tra gli incombenti precipizi e le orride gole del fiume Rois, costruito secondo la leggenda per mano del diavolo stesso, questo passaggio era uno dei più temuti, ma anche uno di quelli raffigurati più spesso dagli artisti che lo attraversavano. Meta principale del viaggio era Roma, la città millenaria che con i suoi secoli di storia si era trasformata da città reale al luogo del mito e del sogno. Roma è una, ma molteplici sono gli elementi di attrattiva che richiamavano nobili, intellettuali e artisti. Nelle sue lettere sur l'Italie del 1819, Antoine Laurent Castellan, compagno di viaggio dei pittori Louis Gauffier e François Xavier Fabre, così descrive il suo incontro con la città. Dalla mia finestra vedo molti palazzi, cupole marmore e la sommità della colonna traiana. La mia immaginazione si infiamma. Sono solo al centro di Roma, ma interrogo tutte le cose e tutte mi rispondono e mi dicono sei nel tempio delle arti antiche e moderne. Roma è la capitale dell'impero romano, la culla della cultura classica, la città delle rovine, dei ruderi possenti, e delle magnifiche collezioni di antichità. Ma è anche la sede pontificia, il cuore della cristianità, città delle mille chiese, dei palazzi principeschi di papi e cardinali, di magnifiche ville dai sontuosi giardini. È l'urbe ed è la campagna romana, luogo idilliaco descritto dai poeti latini e immortalato nella pittura di paesaggio del Seicento da Lorraine Poussin-Diuguay. A Roma la maggior parte degli artisti stranieri vive nell'area compresa fra Porta del Popolo, Via del Corso e Trinità dei Monti. La loro è una vita comunitaria fatta di scambi e confronti continui, di rapporti di amicizia, di frequentazioni e interessi condivisi. Vari sono i luoghi di aggregazione. I francesi alloggiano a Villa Medici, sede dell'Accademia di Francia. I tedeschi gravitano intorno a Villa Malta. I luoghi di ritrovo più frequentati sono però i caffè e le osterie, dove gli artisti consumano i pasti, leggono i giornali e si fanno consegnare la posta. Il caffè greco di Via Condotti era il preferito dai pittori provenienti dalla Germania, detto per questo il caffè tedesco. Vicino a Piazza di Spagna era invece il Caffè degli Inglesi, noto per la sua decorazione in stile egizio realizzata da Giovanni Battista Piranesi, che a parere di Thomas Jones ricordava più l'interno di un sepolcro che un luogo di conversazione sociale. Le trattorie erano quelle della Gensola, della Chiavica, della Barcaccia, della Lepre. Ma a Roma, prima di ogni altra cosa, gli artisti studiano, disegnando e dipingendo tutto ciò che la città offre al loro desiderio di conoscenza. Da Roma, Corot scrive all'amico Osmond nel 1826. Non puoi immaginare che tempo abbiamo qui a Roma. Da un mese ormai, la mattina vengo svegliato da un bagliore di luce solare che colpisce la mia stanza. È sempre splendido, ma per un altro verso, questa luce è per me causa di grande sconforto. Mi fa sentire tutta l'impotenza della mia tavolozza. In questo racconto di questi artisti che scendono per lo più dal nord, Francia, Inghilterra, Germania, e incontrano l'Italia, in particolare Roma, c'è un passaggio che è assolutamente cruciale. Da un lato l'Italia funziona per tutti come luogo di rivelazione, di scoperta. La luce, l'incontro con l'antichità, provoca dei cambiamenti molto profondi. E la seconda cosa che a queste date accade, è che gli artisti sono folgorati da un'esperienza che prima non esisteva. Per noi oggi è molto comune incontrare, o perlomeno è stato molto comune incontrare, delle persone che piantano il cavalletto nel paesaggio e si fermano. fermano a dipingere, ma fino alla fine del Settecento il pittore non era mai uscito dall'atelier. Questa esperienza di dipingere all'aperto naturalmente incide su molti aspetti, basta vedere alcuni dipinti in cui ci si accorge di come gli artisti si muovessero avendo una piccola valigetta, dei colori che asciughino in fretta, il bastone da viaggio, avendo un ombrello per riparare i riflessi del sole quando dipingevano e poi questi nuovi elementi su cui lavorare. In gran parte questi artisti prediligono la carta, l'acquerello che è velocissimo ad asciugare, che permette di dipingere a ritmi che prima non erano assolutamente concepibili, anche quando usano l'olio, usano l'olio su carta. Il che vuol dire che se un artista deve realizzare un'immagine, una veduta, in un tempo così abbreviato, per forza vengono completamente cancellati i dettagli. Tutto il modo molto analitico di raccontare... raccontare e prevale un effetto proprio di sintesi cromatica. Quindi il cambiamento della tecnica non è solo un fatto marginale, è che come sempre succede quando tu introduci un fatto nuovo, questo ti porta più in là di quanto tu avessi immaginato, è come una specie di accelerazione del pensiero. L'artista si trova che per catturare quella determinata luce, prima che cambi, deve, come scriveva uno di loro che è Valencien, cogliere la natura. sul fatto e per dipingere un tramonto tu non puoi utilizzare più di mezz'ora. Quindi il pittore astrae, sintetizza, utilizza insomma un modo di scrivere, cioè di dipingere, estremamente di sintesi e molto veloce. Ci sono dei dipinti che mostrano quanto questo fatto sia nuovissimo. C'è un dipinto di Richard Wilson che fa vedere come il pittore stesse lavorando all'aperto davanti a Tivoli, a un certo punto arriva un temporale e lui raccoglie. coglie in fretta le sue tele, proprio per spiegare che questo esercizio non è più un esercizio condotto a finestre sprangate nell'interno, ma viceversa davanti alla natura. Questo però è abbastanza sconcertante per il tempo, cioè questi bellissimi piccoli dipinti portatili, che loro stessi chiamavano jolis rien, cioè dei piccoli niente, non avevano assolutamente una prospettiva e un mercato. Attorno le persone non erano pronte per comprare o acquistare questi piccoli dipinti così poco elaborati, che raccontavano così poco, che avevano eliminato completamente l'elemento narrativo. E quindi restano questi dipinti nell'atelier dell'artista, però sono fondamentali perché poi ormai hanno inserito un processo di lavoro all'aperto così accelerato e vivace che questo inciderà moltissimo anche sul quadro. quadro finito. C'è un altro aspetto ancora che è importante. Gli artisti quando sentono questa attrazione verso la natura hanno due diverse strade e gli artisti lo raccontano. C'è un dipinto per esempio di Coignet che è eseguito a Roma quando lui è ospite di Villa Medici dove l'artista invece di uscire spalanca le finestre e la finestra funziona già come una cornice. E fuori si vede il paesaggio di Roma così riquadrato. Quindi da un lato c'era la possibilità di immergersi e camminare nella natura, secondo quello che diceva Rousseau, cioè il pittore deve, come l'Emile, viaggiare a piedi e camminare, oppure viceversa quello di far entrare la natura dentro. Gli artisti con il tempo favorevole della stagione estiva escono da Roma alla ricerca di nuovi luoghi. In alcuni casi si tratta di luoghi celebri, spesso tappe obbligate nell'itinerario del Grand Tour. Napoli e la Sicilia sono tra le mete principali. I pittori di solito vi ritraggono la costa, il golfo, il Vesuvio, l'Etna. Thomas Jones invece si sofferma su soggetti più banali, anti-eroici, tetti, balconi, muri scrostati. Sedotti dal paesaggio italiano, sono però i piccoli borghi dei dintorni di Roma a diventare meta privilegiata delle escursioni oltre le mura della capitale. Ariccia, Albano, Nemi, Tivoli, Olevano e Civita Castellana Disegnano la mappa dell'itinerario di questi pittori alla ricerca di soggetti nuovi, di un contatto più diretto con la natura italiana. Gli artisti trascorrono le giornate lavorando en plein air, da soli o in piccoli gruppi. La sera, nelle locande, i quadri vengono finiti, ritoccati ed esposti ad asciugare in stanze comuni. Luoghi divenuti celebri come Casabaldi e le locande Ranaldi e Pratesi a Olevano o la locanda Martorelli di Ariccia sono le sedi di queste prime esposizioni, i luoghi dove i pittori si confrontano e scambiano esperienze. Racconta il pittore Ludwig Richter in Italia fra il 1823 e il 1826. Cercavamo di dipingere il paesaggio con la più grande fedeltà. Fummo molto sorpresi, guardando i nostri quattro studi, di vederli così diversi. I nostri occhi avevano visto lo stesso luogo, ma ognuno attraverso la propria individualità. Un'altra cosa che è molto particolare di questo passaggio di secolo e di questo inizio del secolo nuovo è anche la geografia dell'Italia che viene percorsa da questi artisti. Per esempio in questo puntare verso Roma. e verso i dintorni di Roma e verso il Lazio, Venezia non esiste. Poi diventerà nell'Ottocento una tappa assolutamente obbligata, però il paesaggio italiano di questi anni non contempla Venezia, cioè non contempla questa dibattita. dimensione così liquida e romantica. Questo per dire che la geografia è molto mutevole e gli artisti scoprono dei mondi nuovi e in particolare in questo momento gravitano sui dintorni di Roma, specialmente durante l'estate. Quindi intorno nel Lazio progressivamente si spostano verso nord per arrivare fino al luogo più estremo nei loro percorsi che è la Valle Ternana, oppure anche per un artista come Bidò è quello di scoprire questi luoghi solitari e desolati che sono negli Abruzzi, Montecavo. Un caso che forse vale la pena di ricordare è per esempio l'Approdo in alcuni luoghi che erano visti come dei luoghi biblici, come luoghi innocenti, come luoghi dei patriarchi ritrovati, perché una colonia di tedeschi da un certo momento in avanti tende a lavorare, vivere e sperimentare i dintorni razziali più a nord. e in particolare Olevano. Olevano è un caso molto speciale, un luogo rupestre con delle fessure di roccia molto violente, ma vicino per esempio a un bosco che ha una terra rossa molto calda, che è il Bosco della Serpentara, che sarà dipinto molte volte da Corot. Però sono soprattutto i tedeschi che in cerca di un misticismo, di una purezza, di una innocenza ritrovata, vivono ad Olevano. importante di questo capitolo di storia dell'arte viene scritta nella valle ternana. Agli inizi dell'ottocento il letterato Godfried Soime scrive, mi fu inondato il cuore quando alcune miglia prima di Terni si aprì davanti a me la valle del nera e di nuovo mi si spalancò davanti agli occhi il paradiso. Attraversata dall'antica via Flaminia e dal fiume nera, La valle è dominata a destra dallo sperone roccioso del Monte della Sgurgola e a dovestra da quello di Torre Maggiore. Valle incantata, paradiso perduto per l'abate Jérôme Richard, giardino dell'Eden per il viaggiatore Pierre Bruxelles. La valle è costellata di luoghi privilegiati dai pittori e si iscrive di diritto nella nuova geografia degli itinerari degli artisti fra 700 e 800. Da Roma i viaggiatori seguono l'antica via Flaminia per entrare nella valle di Terni. Dopo Tricoli, sotto Narni, si aprono davanti ai loro occhi le gore del fiume Nera, attraversate dalle grandiose rovine dell'antico ponte romano. Il ponte fu costruito nel 27 a.C. dall'imperatore Ottaviano Augusto. Con le sue possenti quattro arcate, il ponte fungeva da attraversamento del fiume fra il Monte Maggiore, dove sorge Narni, e il Monte Corviano. I suoi 30 metri di altezza e 160 di lunghezza Ne facevano una delle più importanti strutture del mondo antico. La parte superiore era crollata intorno al 1052, ma la condizione di rovina acuiva ancora di più il fascino di questo sito agli occhi degli artisti. Che il ponte di Augusto a Narni fosse uno dei soggetti più celebri fra le rappresentazioni del tempo, lo prova un tacquino di schizzi del pittore inglese William Turner. Nel 1819, Turner, in preparazione del suo viaggio in Italia, disegna una lista dei luoghi da visitare e raffigurare. Il ponte è fra questi. L'inquadratura del disegno di Turner è la stessa che troviamo in molti quadri finiti destinati al mercato, come quelli di Jean-Joseph Xavier Bidot, e di Pierre-Athanas Chauvin. Queste tele ritraggono una natura idealizzata, non l'Italia conosciuta dai viaggiatori, ma quella impressa nell'immaginario comune e vagheggiata nei paesi d'origine, senza però cancellare precisi riferimenti topografici. Più vicini all'esperienza reale del luogo sono gli oli su carta di artisti come Carl Blechien, Camille Corot. Il bozzetto di Corot rivela in modo eloquente la modernità di linguaggio raggiunta dalla pittura en plein air. La giusta posizione di forme, realizzate con pennellate di colori ocra, verdi e bruni, riesce a restituire la sensazione di calda fine estate. L'anno successivo, 1827, Corot presenta al Salon di Parigi un quadro finito di dimensioni ben più grandi. Nonostante l'aggiunta di soluzioni convenzionali come la quinta d'alberi e la scena pastorale in primo piano, l'opera non perde la freschezza e la luminosità dello studio en plein air. Nel desiderio di sperimentazione e di un contatto diretto con la natura, gli artisti si allontanano dal ponte, alla ricerca di punti di vista originali, non inflazionati dall'iconografia tradizionale. Bidò dipinge la foresta di Lecci del Monte che fronteggia la cittadina di Narni. e che scende fino al greto del fiume nera. Rifiuta la scrittura sommaria dei pleneristi per descrivere con minuzia il variare della luce sugli alberi e l'alternanza fra il verde e l'ocra delle rocce. Un cronista di quegli anni, Rochette, scrive nel 1849 Aveva spinto l'amore per il paesaggio fino al punto di andarsi a collocare per interi mesi davanti a un luogo e di dipingere dal vero tutto. tutto il giorno. Sulla riva del fiume, André Giroux volge le spalle al ponte per guardare la valle di Terni. Traduce in giusta posizione di macchie cromatiche differenti le pietre della riva, la vegetazione, il cielo su cui si addensa un temporale imminente. Da Narni, gli artisti proseguono in direzione della cascata delle Marmore, dalla parte opposta della valle. Salendo verso la cascata si incontra Papigno, piccolo borgo situato sulla cima di un colle, fra il monte della Sgurgola e il corso del fiume Nera. Un paese di pietra e roccia, allora come oggi sconosciuto ai più, che esercita un grande fascino sugli artisti. Ai loro occhi Papigno appare come un luogo fuori dal tempo, separato dal mondo. Come altri borghi medievali italiani, Papigno incarna un ideale di purezza pastorale e primitiva. I pittori, primo fra tutti Corot, colgono la bellezza dei muri scabri, delle forme geometriche e spoglie delle costruzioni, che traducono in composizioni semplificate di tarsie luminose, stagliate contro la montagna o contro la valle che si apre ai piedi del colle. Da Papigno il percorso sale verso il Borgo di Marmore. Seguendo l'antica strada si arriva sotto le falde rocciose del Monte della Sgurgola, da dove si domina l'intera Valle Ternana e dove si trova l'edicola sacra della cosiddetta Madonna della Sgurgola, di cui Goethe fece un rapido schizzo. Qualche chilometro e si è sulle rive del lago di Piediluco, al centro di un meraviglioso paesaggio montano. Un luogo inscindibile dallo splendido dipinto di Corot, che ne declina la bellezza silente ed arcana nelle variazioni di un'unica tonalità di colore. Un'immagine malinconica, che l'artista riutilizzerà quasi 40 anni più tardi nel souvenir di Tali, oggi alla Corcoran Gallery di Washington. Da Papigno si può scendere sulle sponde del Nera attraversando i boschi secolari che coprivano le pendici del colle e le rive del fiume. L'esercizio en plein air condotto dagli artisti comprendeva anche la visione ravvicinata, veri e propri zoom fotografici di dettagli naturali, come lo scorrere del fiume e l'intricata vegetazione del sottobosco. In alcuni quadri finiti, invece, I boschi sono interpretati in chiave idealizzata e trasformati in angoli fiabeschi frequentati da giovani bagnanti o inquieti romitori per monaci eremiti. Dalle selve di Papigno si può infine salire verso la meta principe del viaggio, la cascata delle marmore. Veloce come la luce, la lampeggiante massa spumeggia, scuotendo l'abisso. Un incessante scroscio che con la sua inesausta nube di mite fioggia, reca un eterno aprile al terreno attorno, rendendolo tutto uno smeraldo. Lord Byron. La Cascata delle Marmore è un luogo celebrato nella letteratura di viaggio fin dal 1600. Fra gli elementi di attrattiva è il suo essere al pari del ponte di Narni un'opera antica, testimonianza del mondo romano. Fu infatti creata nel 271 a.C. per volontà del console romano Curio Dentato. Per bonificare gli acquitrini e le paludi della valle di Erieti, le acque del fiume Velino vennero convogliate nella località delle Marmore e fatte precipitare nella sottostante valle del Nera. Nel 700 e 800 la portata delle acque era circa otto volte superiore a quella attuale, con effetti impressionanti che non mancano di colpire l'immaginario di moltissimi pittori. Artisti come Rudolf Ducrot, Carlo Labruzzi, Gian Battista Bassi, Thomas Pace, ne colgono la bellezza sublime, descrivendo l'impressionante altezza del salto della cascata e la potenza delle acque, invedute rigorosamente frontali. Pittori francesi come Achille et Nami Chaillon e Jean-Charles Joseph Raymond non rinunciano invece a composizioni di taglio classico, che restituiscono una visione armoniosa del luogo, mentre Francis Towney e Friedrich Salaté la ritraggono in forme semplificate, luminose, essenziali. A queste opere si aggiungono le raffigurazioni di altri pittori rimasti anonimi, oppure l'insolita veduta dall'alto di Bellerman e quelle in dettaglio di Eckert o di Corot. Capolavoro assoluto resta il piccolo olio di Corot. L'immagine che Corot dà sia del ponte di Narni che della cascata delle Marmore è qualcosa che cambia radicalmente la percezione di questi luoghi. Questo è un bozzetto bellissimo, si vede anche come Corot sia un grande innovatore per due ragioni. fondamentali. La prima è quella che è in grado di cambiare la prospettiva. In questa immagine, per esempio, protagonista assoluto è il verde dei boschi, molto misterioso, un verde stinto, opaco, bellissimo, e la cascata. viene collocata sullo sfondo, quindi lui è capace di rigenerare un'immagine ormai abbastanza consumata. Il secondo aspetto riguarda questa capacità di dipingere in una maniera così... di sintesi così potente da attribuire alla piccola dimensione del bozzetto una monumentalità e una dimensione eroica che mai gli altri petimetri avevano raggiunto in questo formato. Al termine del viaggio in Italia, gli artisti facevano ritorno in patria, lasciando per sempre queste terre e i luoghi che avevano amato. Portavano con sé le piccole tavole e le centinaia di fogli realizzati dal vero Ample Nair, un materiale prezioso con il quale avevano strappato un pezzetto di Italia da un'altra parte del mondo. portare in valigia e nel cuore. E' un bambino, un bambino Le immagini dipinte da questi artisti, ben prima della scoperta della macchina fotografica, ci hanno consegnato la visione di un'Italia magica, ancora bellissima, stupendamente vuota.