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Lezione sulla poesia provenzale

Buonasera a tutti, cari colleghi, gentili signore e signori. Sono lieto di dare il benvenuto a nome dell'Accademia e di accogliere stasera il professor Walter Meliga, che è anche socio corrispondente della nostra Accademia e professore ordinario di Filologia e Linguistica Romanza nell'Università di Torino, dove si è formato e dove ha... contribuito al successo di grandi opere della nostra identità, al grande dizionario dell'italiano dell'uso e al dizionario della lingua italiana, entrambi diretti da Tullio De Mauro. È un'autorità internazionale nell'ambito degli studi di cui ci parlerà stasera, cioè degli studi. della tradizione poetica provenzale e membro dell'Associazione Internazionale delle Etudes Occitan, non solo ma anche della Société de Langues et de Littérature Médiévales d'Oc e d'Oil e della Société de Linguistique Romane. Questo per dire come i suoi studi siano riconosciuti. in ambito internazionale, specialmente là dove la tradizione occitana è più, diciamo così, storicamente incardinata, anche se il Piemonte e una parte dell'Italia settentrionale ha pari titolo per ricordarlo. Tra i suoi molteplici studi ricordo l'Eructavit antico francese, uscito nel 1992, dove... Un libro che è importante per chi voglia iniziarsi a questa bella tradizione, cioè l'Aquitania trobadorica, ricordiamo Nervale, le princes d'Aquitaine alla tour Aboli, che è rimasto fino a oggi nella nostra memoria. Una bellissima maniera di ricordare l'Aquitania, che è tornata tra l'altro nelle regioni francesi. È sempre bene ricordare. Ha poi pubblicato il canzoniere, lo ricordavamo oggi insieme a Luciana Borghi Cedrini, il canzoniere di Bernarda Moros e molti altri dei testi, dei manoscritti di questa tradizione provenzale. Mi è particolarmente caro anche ricordare che è stato l'artefice della... La ripubblicazione di un grande classico di un maestro della nostra università, cioè Arturo Graf, Miti, leggende e superstizioni del Medioevo che rimane una pietra miliare negli studi medievali nel modo con cui il Medioevo ha ereditato e ha trasmesso a noi una grande serie di... di miti, di figure, di personaggi, di cavalieri erranti e non. Ha poi una competenza filologica agguerritissima, per cui non c'è manoscritto di tradizione provenzale che egli non abbia compulsato, corretto, edito, studiato. Sono dunque molto grato a Walter Meliga di parlarci. di questa tradizione che per l'appunto ci tocca da vicino, anche se ogni tanto ci dimentichiamo. Non tutto è stato trasferito nel trasferire la capitale da Ciamberia a Torino. Dobbiamo ricordare che rimaniamo per una parte occitani nel senso più profondo del termine. Grazie direttore, allora buonasera a tutti per intanto. Dei trovatori, questa sera tratterò, nella lunga storia dei trovatori, tratterò l'inizio, le cosiddette origini. Farei alcune osservazioni generali, mi scuserete se le cose sono abbastanza note, e cioè le seguenti. La poesia dei trovatori rappresenta, ricordiamocelo, la più antica tradizione lirica volgare, nonché la parte di gran lunga più importante della letteratura medievale in lingua doc. o provenzale o ancora occitana, come si preferisce dire oggi. Di più, nel quadro delle origini delle letterature europee, la poesia dei trovatori è il più sorprendente movimento poetico d'importanza capitale per lo sviluppo della poesia successiva, di tutta la poesia europea successiva, naturalmente per gradi. La sua estensione sia dal punto di vista cronologico che dal punto di vista geografico è impressionante. Dal punto di vista cronologico va, diciamo così, dall'inizio del XII secolo almeno alla metà del XIII, da quello geografico, ho qui una cartina semplice che riguarda le... Le corti dei trovatori riguarda sostanzialmente l'intero sud di quella che oggi si chiama Francia, ma c'è da osservare che sin dagli inizi i trovatori si sono espansi fuori dall'area linguistica, l'area del dominio linguistico nel quale poetavano, sia verso la penisola iberica, sia verso la Francia del Nord, sia un pochino più tardi in Italia. In questa storia che è molto lunga e molto articolata, la produzione, e vengo all'argomento di questa sera, la produzione dei primi trovatori rappresenta un fenomeno molto interessante, non solo perché si colloca agli inizi della tradizione. ma direi per la notevole portata ideologica dei loro testi. La lettura che farò stasera è una lettura, diciamo, più ideologica e più culturale che letteraria. Dicevo, la notevole portata ideologica dei loro testi che rappresentano dei documenti importanti per comprendere i modi dell'edificazione di un nuovo modello di società che... Vediamo sorgere in quel periodo, diciamo almeno bene dai testi e da certi documenti, nella prima metà del XII secolo, la società cortese, ovvero, come la chiamavano al tempo, la cortesia. La cortesia che possiamo definirla come un preciso sistema di valori. unito allo stile aristocratico. Questa combinazione si ricava da numerosi vari testi, sia latini che volgari, a partire dal secolo precedente, direi almeno dall'inizio del secolo undicesimo, ma questa visione dura ancora molto tempo perché vale ancora per Dante, che nel convivio Scrive che cortesia e onestade è tutt'uno, e però che nelle corti, anticamente, le virtudi e i belli costumi, i valori e lo stile di vita, no? Le virtudi e i belli costumi si usavano, si tolse quello vocabolo dalle corti. corti e fu tanto a dire cortesia quanto uso di corte. Possiamo fidarci quindi della definizione di Dante che conforta l'impressione che ne abbiamo noi. Nella corte si realizzano le condizioni della produzione letteraria cortese e si raccoglie il pubblico al quale essa è destinata. Naturalmente la promozione della cortesia non ha toccato soltanto la nobiltà della Francia del Sud, quella che vedete in questa cartina, ma ha trovato in quest'ultima e in questo periodo, diciamo la prima metà del XII secolo, una condensazione del tutto particolare, soprattutto a proposito di quella che potremmo chiamare l'ideologia dell'amore perfetto. o, come la chiamavano i trovatori, la finamor. La finamor, mi permetto di ricordare che amore è un sostantivo femminile in lingua docca. La finamor è caratterizzata dall'essere diretta ad una donna esistenzialmente lontana, distante, generalmente una dama, e poeticamente nascosta, una donna che non si vede nei versi. di cui la sua qualità, la qualità della fine amor, di un amore sublimato che si nutre nel segreto e nella rinuncia ma che è al tempo stesso fonte di gioia e di affinamento morale. La vicenda amorosa non contempla nessuna soluzione. Il raggiungimento del piacere d'amore, come pure il definitivo allontanamento della dama, annullerebbero di colpo il processo di educazione cortese che l'amore comporta. La fine amore non è quindi un evento sentimentale, ma un ideale morale e sociale. Essa ha per scopo non già il possesso dell'amata, ma l'acquisizione di valori che si realizzano in una condotta approvata e in una cultura comune. Il primo trovatore, almeno il primo del quale ci è stata tramandata la produzione, è ampiamente coinvolto in questo articolato processo, anche se come vedremo in una posizione particolare. Di lui sappiamo parecchio e non assomiglia affatto all'idea di poeta che abbiamo noi. Si chiamava Guglielmo, era il nono duca di Acquitania e il settimo conte di Poitiers, quindi un potente signore territoriale, nominalmente vassallo del re di Francia, ma di fatto a capo di un territorio ben più ampio di quello controllato dal suo sovrano. di cui sappiamo molto ovviamente per la alta posizione sociale che occupava, Guglielmo nasce nel 1071 e muore nel 1126. Dopo una quarantina di anni di governo, due crociate, altrettante mogli e scomuniche e una serie di contese guerre feudali nell'interesse della casata di Aquitania. Un grande signore, insomma. Se noi andiamo a vedere il primo dei testi che ho preparato, e cioè l'antica biografia provenzale, la tradizione trovadorica, faccio una breve parentesi, ci ha consegnato una serie di prose anonime, chiamate vidas, cioè vite, di autore ignoto e di epoca tarda, che narrano la vita di un trovatore. con dati ora storicamente versimili, ora di fantasia. Beh, questa è la biografia, la vida, come possiamo dire, del conte di Poitiers, di Guglielmo IX d'Aquitania, e viene chiamato soltanto con il suo titolo, il conte di Poitiers. E cosa vediamo? Ho sottolineato alcune cose. Un aristocratico, un aristocratico protagonista della vita di corte, uno dei più grandi cortesi del mondo, cioè delle persone meglio educate alla cortesia, antenato naturalmente di personaggi molto famosi perché Guglielmo Nono, e ce lo spiega qui sotto la nostra biografia, Guglielmo Nono era il nonno di quella celebre Eleonora d'Aquitania che fu regina d'Inghilterra e che fu a sua volta madre di un personaggio famosissimo nel Medioevo e anche dopo che è Riccardo Cuordileone. Ma la cosa più interessante è che era un poeta, sapeva sia poetare sia cantare, cioè esibirsi pubblicamente. Aveva l'abitudine di cantare pubblicamente le sue... composizioni, i suoi componimenti, come un giullare. L'anteriorità di Guglielmo, per noi il primo, è un'anteriorità tematica e stilistica. La sua produzione offre già motivi e luoghi poetici presenti poi nei trovatori delle generazioni successive. L'impressione è che naturalmente la tradizione trovadorica, o meglio, la tradizione letteraria della cortesia, più precisamente la tradizione poetica della cortesia, fosse già iniziata. Ma noi dobbiamo forzatamente partire da Guglielmo, che è il nostro primo documento. E quindi lui certamente ci fornisce una serie di elementi che troveremo poi nella tradizione successiva. Ma non basta, perché accanto al sistema informazione dei valori e delle convenzioni cortesi, I versi di Guglielmo ne attestano anche la parodia e la contestazione, con una complessità di riferimenti e di rimandi che ne rendono difficile l'interpretazione. Guglielmo ha scritto una decina di componimenti, io ho scelto di mostrarvi molto rapidamente, mentre parlo, alcuni di questi. Questo componimento, «Posvesem de novel florire», è un componimento molto interessante perché tocca le relazioni fra il soggetto e l'amore e soprattutto le regole di quest'ultimo, dell'amore, che evidenziano la centralità della corte e della nobiltà. Nelle strofe quinta e sesta Si dichiara che la pratica dell'amore è sottoposta a regole precise, una specie di galateo in qualche modo, da applicarsi nei confronti del soggetto e della società. In particolare, osserviamo l'obbedienza. Chi vuole amare deve portare obbedienza a molti. Ora, l'obbedienza, certo, è virtù cristiana, ma non possiamo esimerci dall'osservare che era anche... La condotta raccomandata per esempio da Ovidio, autore molto noto nel Medioevo in ambito amoroso, era ovviamente disposizione d'obbligo nei rapporti feudali, sui quali, lo vedremo, si modella la pratica dell'amor cortese. Gli studiosi chiamano metafora feudale questa particolare similitudine per cui nei gesti ritualizzati dalla letteratura dell'amor cortese si ritrovano i gesti e le posizioni del rapporto feudale. Ma questo testo è ancora più interessante perché nelle strofe precedenti Guglielmo ci informa anche del difficile stato in cui versa la sua propria ricerca d'amore e qui dopo aver ammesso non sappiamo con quanta sincerità la frustrazione dei suoi sforzi, Guglielmo riassume questa condizione con un verso che non possiamo interpretare se non come la citazione, traduzione, eccolo qui, no? Faccio molte volte o molte cose, a seconda delle varianti, che il cuore mi dice totes nien, tutto. Tutto e niente, ma tutto e niente, tutto e niente è esattamente la traduzione in lingua doc del versetto 1.2 dell'Ecclesiastico, dell'Ecclesiaste, domando scusa, e la citazione, la frase prima, il cor mediz, richiama ancora l'Ecclesiaste. Naturalmente, vanitas vanitatum et omnia... Omnia vanitas, tot est nienx. E ancora Ecclesiaste 2.1 Dixi ego in corde meo, fauc maintas ves che il cor meditz. Ora ci dobbiamo chiedere quale intenzione, è un'intenzione seria, ovvero ironica e parodica. Muove Guglielmo in questa subitanea emergenza dell'interiore consapevolezza della vanità dell'agire. Sì, perché il resto della produzione di Guglielmo ci fa pensare che la soluzione è la seconda. Ancora, sempre in questo componimento, se noi andiamo al fondo, in quelle che i trovatori chiamavano le tornadas, che equivalgono ai congedi delle canzoni, di tradizione italiana, cioè le strofe più brevi che chiudono la canzone, noi osserviamo che Guglielmo manda il proprio componimento, come si faceva all'epoca, probabilmente attraverso un messaggero, un giullare che l'avrebbe cantato, lo manda a Narbona, città piuttosto lontana dalla corte di Poitiers. Naturalmente noi Usiamo questo riferimento per supporre che a Narbona probabilmente esisteva già una corte in cui un gruppo almeno dei suoi componenti era appassionato di poesia. Ma noi, se andiamo a vedere la storia personale e pubblica di Guglielmo, possiamo forse trovare un'altra spiegazione. Sì, perché... Il visconte che governava Narbona a quel tempo e che si chiamava Aymeric era un vassallo diretto di Filippa Matilda di Tolosa che era la seconda moglie di Guglielmo. Ora Guglielmo in forza del suo secondo matrimonio tentò ripetutamente di impadronirsi della contea di Tolosa senza riuscirci poi alla fine. E noi sappiamo dalle cronache che il visconte Aymerich si schierò dalla sua parte, i vassalli della contea di Tolosa in parte si schierano dalla parte di Guglielmo, in parte rimasero fideli alla famiglia, alla casata originaria e Aymerich si schierò dalla parte di Guglielmo. E quindi l'invio di questa canzone che è una specie di riflessione sull'amore, sulla corte, Una specie di manifestazione, non sappiamo quanto seria o quanto ironica, della propria capacità e della propria cultura, citando l'ecclesiaste, può avere anche un'altra funzione, quello diciamo di, se vogliamo, di propaganda. E quindi è un componimento in cui la didattica cortese, un'interiorità, io direi, ironicamente esposta, e la propaganda politica si uniscono in un testo che ha una decifrazione possibile ma articolata. Dicevo della parodia e dell'ironia in Guglielmo. Beh, questa è... è probabilmente la cifra, per esempio, di quest'altro componimento, un componimento interessante in cui, Guglielmo l'ho evidenziato, si rivolge ai suoi compagni. Il compagno è un termine marcato nel mondo feudale, vuol dire colui che condivide con te, etimologicamente, il pane, ma, diciamo, la vita militare. I compagni di Guglielmo ... del conte, duca, Guglielmo, saranno stati dei cavalieri, diciamo il suo entourage più stretto. E a questi cavalieri lui promette una canzone, un componimento, qui viene chiamato vers, perché all'epoca non si usava il termine canzone ma si usava il termine vers, che è un termine di origine medio latina, indica il componimento. Un componimento che avrà più follia che senno e che sarà tutto commisto d'amore, di gioia e di giovinezza. Qui Guglielmo ci pone davanti rapidamente una serie di concetti che sono anche una serie di valori o di disvalori, nel caso della follia, del mondo cortese. Ricordo che follia naturalmente non è primariamente la pazzia, ma è la violazione delle regole. Il folle è colui che va oltre, pensiamo a Ulisse nella commedia di Dante, al suo folle volo, che non è il volo di un pazzo, è il volo di colui che va al di là, che va dove non dovrebbe andare. Però qualche volta nei trovatori questa follia veniva esaltata come manifestazione di vitalità. E poi ci sono altri due valori trovadorici, gioi, un sostantivo maschile, e che... continua il latino gaudium, che viene tradotto genericamente gioia, ma è qualcosa di più forte che la gioia. Noi potremmo tradurlo, o meglio, glossarlo con euforia, esaltazione. È un termine che troviamo anche nelle canzoni di gesta e che probabilmente ha un'origine militare, guerresca, e poi è stato rifunzionalizzato in ambito... amoroso e poi abbiamo il joven, joven che vuol dire giovinezza, dal latino juventus, anche qui la giovinezza è diciamo la disposizione all'avventura della gioventù aristocratica, anche qui poi trasportata nel mondo amoroso. Bene, in questo testo che si promette così ricco di... intenzioni cortesi e di valori cortesi, Guglielmo pone ai suoi compagni un quesito, e cioè quale dei due cavalli, lui ha due cavalli, dos cavalli per la mia sella, e non sa quale scegliere, non sa come risolversi a tenerne uno e a lasciare l'altro. Naturalmente alla fine noi capiamo che questo quesito veicola in realtà una contestazione irridente alle regole cortesi perché questi due cavalli non sono altro che due dame, Agnese e Arsenda. Non so proprio con cosa stare, non so proprio con chi, ma con quale stare se volete, con donna Agnese o con donna Arsenda. Due dame di cui non sarà da tanto... come facevano un tempo gli interpreti, da notare l'aspetto, se volete, offensivo del paragone di una dama, di una donna con un cavallo. Guglielmo è un cavaliere, stava più con i cavalli che con la propria famiglia, il cavallo è l'anomale totemico, quindi non c'è nulla di offensivo. No, la contestazione sta nel fatto che i cavalli sono due e quindi le dame sono due. in una violazione flagrante di quella che sarà poi, grazie alla regola dell'amor cortese. Ancora, questa è una poesia bellissima, famosissima, considerata la poesia, cosiddetta la poesia del biancospino, perché ha una bellissima strofa in cui Guglielmo dice che l'amore, l'amore che lega lui e la sua dama, funziona un po' come il biancospino che di notte si richiude per il freddo, ma poi la mattina quando il sole lo imbianca. che avrebbe da dire pensando ai famosi versi di Dante, perché c'è qualcuno che ha sostenuto che la famosissima similitudine di Dante, quali fioretti dal notturno gelo, chinati e chiusi, eccetera, sia stata presa proprio da qua. Dante si sia ispirato a questa strofa. Questa apparentemente delicata canzone è improntata alla fiduciosa attesa di un'altra. di un nuovo incontro con la dama all'interno di un rapporto già ricambiato, un rapporto che è segnalato dalla metafora feudale. La dama gli dà un dono tanto grande, il suo amore e il suo anello, simbolo di fedeltà, e poi lo copre con il suo mantello, tutti i gesti rituali del mondo feudale. Lo fa però non in una situazione normale, ma lo fa a un mattino. Aveva gettato questi versi, avevano gettato nell'incertezza molti interpreti. Ancora mi ricordo di un mattino che noi facemmo pace della guerra, ma che pace sarà mai e che guerra sarà mai stata? E bisogna qui ricordarsi che l'immagine... dell'amore come di una battaglia, di una guerra, un'immagine classica, ancora una volta Ovidio, Properzio, Lucrezio, anche se non lo conoscevano ancora. E quindi qui Guglielmo è raffinatissimo, non tutti forse alla corte l'avranno capito, ma non c'è altro motivo, non c'è altro modo per spiegare una guerra che si combatte con una dama amata di notte e che termina al mattino presto. al matì che è un po' più presto del nostro mattino, il matutinus dei monaci, diciamo è l'alba. Ma la cosa interessante, faccio osservare che qui, come dire, è Guglielmo seppure con una delicatezza di espressioni che non è così comune in lui, ci fa capire che però questa finamor sarà anche finamor ma è una finamor che ha raggiunto. un obiettivo che generalmente non viene raggiunto, ma la cosa più interessante, la spia più interessante è questa, è la chiusa. Perché qua a Guglielmo, vado in fretta, ma penso che si possa leggere abbastanza bene la traduzione letterale, mi scuso, molto brutta, ma fedele che ho messo in calce alle strofe. Guglielmo dice qui che non si preoccupa delle chiacchiere che possano allontanarlo dal suo buon vicino, questo è uno pseudonimo, il suo buon vicino è la dama amata, irrilevante che sia espresso in genere maschile, proprio in forza della metafora feudale. Molte dame sono indicate con pseudonimi maschili nella poesia d'amore provenzale ma anche nella poesia d'amore portoghese. Ma la cosa dice che a lui non interessa perché dice l'ultimo verso, il verso 30 Noi abbiamo, con questa immagine finalmente non così delicata, noi abbiamo il pezzo, il pezzo di pane, il pezzo di carne, il pezzo di ciò che si mangia e il coltello per tagliarlo. Ma il verso più interessante è il 29. Perché noi abbiamo, dice Guglielmo, il pezzo del coltello, invece ci sono altri, certi, tali, che vanno vantandosi d'amore. Ora, cosa vuol dire? Chi sono quelli che vanno vantandosi d'amore? Beh, qui dobbiamo... Gabar, da cui Gab e quindi l'italiano Gabbo, ma Gabar in provenzale conserva ancora, e a questa altezza nel XII secolo... Sicuramente doveva, e nell'ambiente aristocratico, militare, cavalleresco a cui appartiene Guglielmo e gli uomini alla sua corte, doveva conservare qualche cosa dell'antico gab germanico. Ecco, il gab germanico degli antichi guerrieri germanici, dei vichinghi, era un vanto guerriero. Ma la cosa interessante, e che permette di capire bene che cosa... Qui la filologia è importante, perché se no non lo capiamo. Per noi vantarsi ci si vanta al passato, ci si vanta di ciò che si è fatto. No, i vichinghi si vantavano di ciò che avrebbero fatto. Il vanto è una specie di promessa. al futuro, andrò, combatterò, conquisterò, eccetera. Come non intravedere allora in coloro che parlano d'amore al futuro, che cioè parlano di un amore che cercano ma che non hanno ancora, degli altri poeti. Sono loro che si gabbano d'amore, nel senso che parlano molto dell'amore al futuro, perché non ce l'hanno. Noi invece, verso 30... Noi abbiamo la Pesce del Cutel, gli altri cantano ciò che Guglielmo e la sua dama possiedono fermamente. Ultimo testo e poi arriviamo alle conclusioni. Mi attardo un po' su Guglielmo, ma Guglielmo è un... Non lo so che cosa penserebbe se sapesse che noi scrutiamo con così grande interesse i suoi testi, ma è certamente un personaggio di grandissimo talento. Il testo forse più interessante, uno dei più bei testi secondo me di tutto il Medioevo, è questo qua, un testo molto semplice, molto breve anche, un testo nel quale Guglielmo si congeda dal mondo per un esilio. Ricordo che esilio ha un significato preciso, è il viaggio in una terra sconosciuta, questo è l'exilium nel Medioevo, ed è un esilio verso la morte. Guglielmo tra l'altro lo esprime nel metro e probabilmente anche nella musica dei canti paraliturgici dei monaci. Non c'è alcun dubbio, ci sono versi chiarissimi a un certo punto, dice io, versi 28, 27 e 28, adesso me ne andrò verso colui dove tutti i peccatori trovano pace. C'è solo una, un essere, Dio, in cui i peccatori trovano pace. Ma la cosa interessante è che Guglielmo, pur congedandosi con mestizia dal Poitou, dal suo governo, dalla corte, eccetera, eccetera, che cosa fa? Pur nell'attesa. anche sincera probabilmente dell'incontro con Dio, celebra poi in realtà la sua potenza e la felicità della sua vita terrena. Nella strofa nona ci sono due versi, 33 e 34, che sono secondo me bellissimi nella loro capacità di condensare. Io non conosco, non ho mai incontrato versi che in una maniera così... Breve condensino quella che è l'ideologia aristocratica di un nobile dell'alto medioevo. Guglielmo dice, ho abbandonato tutto quello che amavo. E che cos'è che amava? La famiglia, il figlio di cui parla prima, le donne, le dame che ha amato. Assolutamente no, ha abbandonato cavalaria e orgheglie. cavalleria e orgoglio cavalleria lo sappiamo più o meno cosa vuol dire è la pratica cavalleresca la pratica del guerriero a cavallo Orgheglie va un po' glossato perché Orgheglie potremmo glossarlo come da quello che troviamo negli altri testi come manifestazione pubblica della propria potenza questo è ciò che Guglielmo amava Diciamo, ripeto, non ho mai incontrato un'espressione così forte e così precisa di quella che è l'autocoscienza aristocratica, naturalmente in quello che ho letto magari ci sarà qualcosa di meglio, ma io non ho mai trovato niente di meglio di questi due versi. Tutto ciò che Guglielmo, cioè un grande signore feudale del suo tempo, amava, ha amato nella vita, è stata soltanto la cavalleria e la manifestazione della propria potenza. Beh, la conclusione è obbligata. Guglielmo è il primo trovatore, ma non è affatto un poeta della finamor. Egli resta per noi, certo, il tramite indispensabile per dei caratteri tipici della fine amore, come fra quelli visti il vassallaggio amoroso, i valori del joy, del joven, ma la maniera ironica e parodica di trattare questi temi ci spingono a pensare che per Guglielmo essi non hanno lo stesso senso che per i trovatori delle generazioni seguenti. Guglielmo ci appare dunque ... piuttosto che un precursore, un autore dalla cortesia segnata da un considerevole ethos nobiliare e per questo estraneo alle dinamiche spirituali della finamorra. Adesso vedremo l'ultimo, il trovatore famosissimo. Le dinamiche spirituali, cioè le dinamiche del cuore, dell'interiorità, quelle che si stabilizzeranno. poi nella tradizione dei trovatori coi poeti della seconda metà del secolo, del XII secolo, e che al termine di un lungo percorso naturalmente ricco di varianti, articolati, eccetera, arriveranno fino da noi, arriveranno fino al cuore gentile di Guinizelli e dei suoi allievi dello stil novo. Guglielmo, insomma, è il primo trovatore... che non sembra affatto un poeta della fine amore, di quella che i trovatori canteranno successivamente. Un trovatore invece, anche lui un signore feudale, ci sono parecchi signori feudali, questo mi permetto di dire come dire, demolisce, smonta un po' l'immagine vulgata che a volte si trova del trovatore, come di questa specie di poeta un po' vagante che va in giro di corte in corte a cantare le lodi delle belle dame o peggio ancora del giullare saltimbanco improvvisatore. Ricordiamoci che trovatore non è assolutamente una indicazione professionale, vuol semplicemente dire colui che trova, cioè dal verbo trubar che vuol dire comporre, comporre il testo di un componimento e talora anche la musica. Ma se Guglielmo è il rappresentante, il rappresentante che per quelle strane... Vicende della tradizione manoscritta, noi naturalmente vediamo e possiamo interpretare soltanto ciò che la tradizione ci ha trasmesso. Noi non sappiamo quanto è andato perduto, noi non sappiamo nemmeno perché coloro che almeno un secolo, un secolo e mezzo dopo, ci hanno trasmesso nei grandi libri antologici che conserviamo nelle nostre biblioteche. coloro che ci hanno trasmesso la poesia dei trovatori, fino a che punto si rendessero esattamente conto della poetica di questo trovatore, del conte di Poitiers, come lo chiamano. C'è qualcuno che ha sostenuto che l'ingresso e la conservazione delle poesie del conte di Poitiers, di Guglielmo d'Aquitania, è dovuta al fatto che Guglielmo era un grande signore feudale, che più o meno... Molti sapevano che era il bisnonno di Riccardo Cuor di Leone e naturalmente il nonno di Eleonora d'Aquitania, cioè dei personaggi più famosi e più potenti della seconda metà del XII secolo. Ma se noi andiamo all'altro capo di questo breve periodo, periodo di all'incirca una cinquantina d'anni, troviamo invece un altro, un trovatore, anch'esso un signore feudale, che invece si colloca su tutt'altro versante. Mi riferisco a Geoffrey Rudel, trovatore famosissimo, uno dei trovatori la cui fama non si è praticamente mai spenta. A differenza di Guglielmo che è stato recuperato nella conoscenza soltanto dalla filologia ottocentesca. Geoffrey Rudel è un trovatore signore anche lui, signore di una piccola signoria che è questa qua. Bly, oggi Bly in francese, sull'estuario della Gironda, non molto lontana dalla Poitiers, vedete là su in alto nell'immagine dove viveva, dove c'era la corte di Guglielmo. Giauffre è attivo fin verso la metà del XII secolo, diciamo che non abbiamo più notizie di lui all'incirca dal 1148-1150. Geoffrey è un vero invece poeta della fine amore, perché nel suo canzoniere non molto grande esperisce un aspetto particolare della lontananza della dama. Crea un motivo che ha avuto molta fortuna, che è il motivo della lontananza geografica. Il motivo dell'amor dell'ogne, cioè l'amore di lontano. o l'amore di terra lontana. Eccolo qua, questo è il più famoso. L'espressione l'ogne, cioè lontano, o amore de l'ogne, è ossessivamente ripetuta come parola-rima due volte per ogni strofa. Questa poesia Ah, naturalmente, queste e altre hanno generato una sorta di leggenda che... di leggenda intorno alla figura di questo signore poeta che, per quello che noi sappiamo, abbiamo qualche documento e ci parla di Giauffre Rudel, per quello che possiamo ricostruire, partecipò poi alla seconda crociata, probabilmente come cavaliere templare. E ci morì, perché non abbiamo notizie di lui posteriori, diciamo, agli anni 1147-1150, 1149-1150, che sono quelle delle spedizioni in Terra Santa della Seconda Crociata. Abbiamo anche nel suo canzoniere, non in questa poesia, ma abbiamo anche dei riferimenti che naturalmente vanno interpretati, non sono certi alla... alla crociata, ma dicevo questa poesia in cui Giauffre esperisce semplicemente un motivo, uno dei motivi tipici, cioè esperisce un motivo che soddisfa una delle condizioni fondanti della fine amore che è la lontananza della Dama. La lontananza qui è una lontananza geografica, su questo naturalmente si crea la mostro perché non è così rilevante per il mio discorso, ma è naturalmente famosissima, si crea una, si scrive, si diffonde una, no, un po' più piccolino, una vida che è naturalmente è un piccolo romanzo, nel senso che l'amore di lontano della lirica di Geoffrey viene, come dire, ridotto a una soluzione romanzesca nell'amore che Giaufreia avrebbe avuto per la contessa di Tripoli, ovviamente Tripoli di Siria, che era una cristiana, naturalmente perché siamo nell'epoca delle crociate e degli stati crociati in Terra Santa. Questo amore per questa contessa che lui non aveva mai visto, altro motivo classico. ma dalla quale si era innamorato e per la quale era diventato poeta lo spinge a farsi crociato e a partire per mare. La soluzione, lo sappiamo, è la tipica soluzione che spesso la poesia d'amore cortese dà all'impasse che si genera, perché la poesia d'amore sta in un impasse, nel senso che... La tensione amante non deve mai scaricarsi, non deve mai soddisfarsi, altrimenti la condizione della poesia d'amore scompare. E cioè è una cosa che piace molto al pubblico occidentale, piace molto a noi lettori di storie d'amore occidentali, cioè la morte. E infatti il nostro Geoffrey si ammala sulla nave, viene portato a Tripoli come... morto, in realtà la presenza della Contessa gli fa recuperare per un attimo l'udito e il respiro e prima di morire, fra le braccia della Contessa, Giauffre loda Dio che l'aveva tenuto in vita fino a quando l'avesse potuta vedere, un altro riferimento come dire... probabilmente colto, questa volta biblico, nel senso che il richiamo è forse a Simeone che vede Cristo, vede Gesù bambino all'ingresso del Tempio. La lontananza e la distanza sono la chiave tematica, certo, per comprendere il canzoniere di Geoffrey, ma la cosa più interessante è l'interpretazione che noi diamo a questo canzoniere. Ora, su questo poeta, ripeto che questo trovatore ha avuto un'enorme suggestione, Sui romantici Edmond Rostand ci ha scritto addirittura una pietra teatrale, c'è una famosissima poesia di Carducci, ma già Petrarca nei trionfi. ci dice che Giauffre usò la vela e il remo a cercare sua morte. Era una cosa che ha colpito moltissimo, ma in realtà noi naturalmente non dobbiamo pensare di interpretare Giauffre con la vida, con la vita, con la vita. per mezzo dell'antica biografia che sicuramente uno scrittore di talento ha messo su più o meno tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo. Dobbiamo fermarci al suo canzoniere. Sul suo canzoniere, molti anni fa, un grande studioso dei trovatori, anche un grande italianista, un grande studioso di stilistica, cioè Leo Spitzer, scrisse un articolo E' un articolo fondamentale e ha costruito una teoria interpretativa di Jaufré ma nello stesso tempo anche della stessa... della stessa finamor e ha, come dire, da allora, l'articolo è del, nella traduzione il titolo L'amore lontano di Giauffrego Rudele, il senso della poesia dei trovatori, un articolo bellissimo ancora oggi, splendido come solo i grandi maestri sanno fare, un articolo del 1944, su quell'articolo si è formata poi in qualche modo poggia ancora oggi la nostra... interpretazione della fine amore. Cosa dice Spitzer? Spitzer dice che l'amore lontano di Geoffrey non è altro che la manifestazione di quello che lui chiama le paradoxe amoureux, il paradosso amoroso, che sta secondo lui alla base di tutta la lirica d'amore provenzale, un amore che non vuole possedere ma gioire dell'assenza di possesso. e che si risolve questo paradosso che trova la sua manifestazione, e qui sta la novità della poesia di Geoffrey Roudel, in una potente affermazione dell'autismo. Autonomia del fatto interiore, dell'avvenimento interiore. Spitzer dice, è il primo poeta europeo della nostalgia, partendo da questi versi, quando i giorni... I giorni sono lunghi a maggio, mi piace il dolce canto di uccelli di lontano e quando o poiché, perché can in provenzale vuole anche dire poiché, mi sono allontanato di là, mi ricordo di un amore lontano. Il fatto interiore entra già dalla prima strofa e sarà tutto un avvenimento interiore, eccola qua, l'emergenza. di quella che per noi sarà poi la fine amore e che sarà poi il carattere di tutta la poesia d'amore, naturalmente della poesia italiana, della poesia di Petrarca, il carattere fondamentale, il fatto interiore, non tanto più questa specie di raffinato e suadente, sensuale galateo che Guglielmo, il conte di Poitras, te ci propone ma un amore che viene vissuto nel ricordo e nell'interiorità. Jaufre diventa così uno dei fondamenti della moderna lettura dei trovatori. È stato osservato, secondo me con pertinenza, che la sua poesia si colloca all'interno di una riflessione sulla natura d'amore, sulla natura dell'amore e sulla figura del soggetto amante che troviamo sviluppata in maniera anche abbastanza ampia e articolata all'interno di ambienti filosofici e soprattutto mistici del XII secolo. Una riflessione che tocca anche, per esempio, un autore interessante, suadente, affascinante come Abelardo e le cose che Abelardo dice nell'Historia Calamitatum. E Abelardo è un coetaneo di Giauffre, avevano più o meno la stessa età. Ha questo dibattito, che è un dibattito culturale, è un dibattito su una visione del mondo poi. attraverso la finamor, a questo dibattito ha certamente partecipato a suo modo anche Guglielmo d'Aquitania, ma naturalmente nella modalità ironica e parodica che si è vista. Guglielmo è, come dire, se posso permettermi una battuta un po' triviale, è rappresentante di una cortesia d'antan, di una cortesia old fashion. Una cortesia vintage, mentre invece una cortesia che noi vediamo un pochino, che possiamo comprendere abbastanza bene dalle osservazioni dei cronachisti antichi, quelli che scrivono nella seconda metà dell'undicesimo secolo. Sono quasi tutti monaci, ovviamente, e ovviamente in quanto monaci non vedono di buon occhio questa nuova... diciamo vitalità del mondo aristocratico e battuta, mi perdonerete, ancora più triviale, Giauffre è la cortesia 2.0, cioè Giauffre è la nuova cortesia, non solo lui, ci sono molti altri poeti, dopo di lui arriverà la grande generazione dei trovatori diciamo così della Roncalia diceva dei trovatori della generazione del 1170, tra cui un trovatore famosissimo, Bernard de Ventadord, lì il cuore, le dinamiche spirituali dell'interiorità dilageranno, dinamiche che naturalmente non erano fatte per piacere a Guglielmo, che è un aristocratico e che crede che le virtù e anche l'amore, quindi anzi... Le virtù, perché c'è l'amore, perché questa gente, come ancora Dante, crede che l'amore sia generatore di virtù. Le virtù e l'amore che le generano stanno nel sangue, nel sangue blu ovviamente, e non nel cuore. Dunque Guglielmo ha lo sguardo rivolto al passato, rivolto al passato di un'aristocrazia del sangue rispetto a quella che... diciamo alla nuova aristocrazia del cuore che intorno alla metà del XII secolo comincia ad affermarsi. L'aristocrazia del sangue continuerà, c'è un trovatore molto molto bello, poco noto, che è Reinbaut d'Aurenga, che in un'altra modalità riproporrà ancora una volta l'immagine dell'aristocratico che è, come dire, per discendenza genetica. pieno di virtù, ma l'esercito del cuore, dello spirito, dell'interiorità oramai si è ingrossato e la poesia d'amore avrà preso una strada che non abbandonerà più. Grazie. Siamo molto grati a Walter Meliga per questa bella lezione, molto chiara e anche così bene dialettizzata, ponendo quindi agli estremi non solo temporali. Degli origini ma anche nei contenuti, Guglielmo Nono da Quitania e poi Geoffrey Rydell, quella che hai chiamato l'aristocrazia del sangue, da una parte e dall'altra l'aristocrazia. del cuore, con anche opportune convocazioni di testimoni contemporanei, almeno per Raudel, cioè a Belardo e quindi la nascita di una spiritualizzazione della vicenda amorosa. Molto bello e opportuno quello che hai ricordato di Spitzer, sul quale poi tutti gli studiosi contemporanei si sono formati. E ti cito, o cito Spitzer, insomma, l'autonomia dell'avvenimento interiore. Cioè il fatto che questi grandi poeti sono riusciti in quella operazione che nel mondo classico era riuscita solo a Sant'Agostino, cioè a evacuare la pressione dell'avvenimento storico e a rendere autonomo l'avvenimento interiore. Grazie. basti pensare a un erede sicuro di questa tradizione che è Petrarca. Petrarca vive di quello, scrive di quello. Canzoniere è diviso, poi va bene, le divisioni sono cambiate nel tempo, o erano per forme metriche, ma in sostanza quello che si è affermato in vita e in morte di Laura, che era, come dire, in presenza e in assenza. Ma anche quando era a presenza, era una presenza... sempre lontanissima in questo molto provenzale, veramente una lezione straordinaria. Penso anche al modo con cui ha tesoreggiato questa eredità Pound nei cantos che vivono in sostanza di questo. A un certo punto Pound parla del tempo presente, maledice il tempo presente, anche compromettendosi nella sua ingenuità politica, ma lo fa. sempre in nome di quelle citazioni che fa del mondo provenzale o dantesco, ma il Dante che gli cita è quello di Pound, cioè il Dante dello spirito romanzo, cioè il Pound 1909. Ecco, quindi è una lezione anche di, in verità, di letteratura contemporanea. Penso per esempio all'ultimo giudice, il quale essendo andato a Pound, una volta uno dei convegni di Folena, si fa persuadere a scrivere una specie di raccolta responsiva tra due dame provenzali. Quindi in realtà questa eredità continua proprio nel nostro tempo e direi che fruttifica nel nostro tempo, anche non soltanto negli studi ma direi proprio nella... visione del mondo quindi ti ringrazio di cuore di aver reso questi provenzali che hai scelto in due testimoni straordinari ancor più nostri contemporanei. Devo anche dire così avendo vissuto dalle due parti che oggi mi pare che gli studi italiani di poesia provenzale siano in un certo senso altrettanto se non più vivaci in un certo senso e ricchi della tradizione francese che si sta restringendo, tra l'altro, per ragioni anche proprio così di formazione universitaria. Quindi abbiamo anche il compito di difendere questa bella tradizione e non aver paura, come tu giustamente hai sottolineato, di ricordare che questa fine amore è una... Diciamo sì, è una categoria sì, ma dietro la quale si agita un mondo estremamente ricco. Tra l'altro per inaugurare le domande che sono ovviamente concesse, anzi auspicate. La vita di Geoffrey Rudel, che tu ci hai detto, che riesce ancora a... avere per miracolo e concessione la parola per poter un'ultima volta salutare la sua dama finisce portato in barchetta, un po' come quel racconto del novellino che poi si replica fino a Shakespeare, là è la dama portata su una barchetta, non so è una domanda che ti faccio, è possibile? È possibile, sì è possibile. La vida di Giauffre è interessante perché, se noi la guardiamo, è un piccolo romanzo, un piccolo romanzo di amore e morte. È sempre stata interpretata, noi sappiamo che questa leggenda viveva già prima, perché queste vidas sono testi che vengono fuori da una tradizione anche orale, ma nella forma in cui le leggiamo oggi sono testi dell'inizio del XIII secolo, nella forma, nella tradizione. Probabilmente tra l'altro hanno avuto l'ultima revisione editoriale in Italia e non nei territori occitani, nei territori doc. Si è creata in qualche modo, ed è curioso... E' già il segno, in qualche modo è il segno che la densità poetica di Giauffre non viene compresa. Non viene compresa già dai giullari, cioè da coloro che diffondono la sua poesia, probabilmente pochi anni dopo la sua morte. Si sapeva di questo poeta, di questo signore poeta che era andato in terra santa e che probabilmente ci era morto. Naturalmente ci... forse ci... era morto di malattia effettivamente molti crociati non riuscivano nemmeno ad approdare in Terra Santa erano decimati prima durante il viaggio dalle malattie sia sulla nave sia quando facevano quegli impressionanti percorsi via terra lungo i Balcani quindi era tutt'altro che uno scherzo arrivare in Terra Santa e qualche volta era molto più pericoloso che scontare incontrarsi con i musulmani. Su questa base che doveva essere una base storica si sapeva che Giauffre era un cavaliere templare, un signore cavaliere templare, poeta che era morto in terra santa. Si costruisce questa storia che è forse tra le prime, forse la prima storia di amore e morte. Qui chi muore è lui, non lei, cioè non muore l'amata. Per parafrasare il titolo di un libro di Sant'Agata, mi pare una cosa che era qualcosa come la morte dell'amata o una cosa di questo genere un libro molto bello, molto interessante che è uscito qualche anno fa qui muore il poeta d'altra parte la morte è l'unica soluzione possibile se no non si riesce a dare non so se c'è rapporto con quella storia narrata nel novellino, francamente non lo so credo che questa della vita di Giauret sia più antica se non altro perché diciamo Quando è attestata, se vogliamo essere positivisti, è attestata in manoscritti della seconda metà del XIII secolo, della fine del XIII secolo, ma è certamente qualcosa che arriva a condensazione nella forma che la vediamo oggi agli inizi del XIII secolo. Dopo una formazione della quale non sappiamo nulla, noi non sappiamo nulla. nulla della vita per esempio dei testi di Guglielmo o dei testi di Jaufré diciamo in quei almeno 70-80 anni che li separano dal primo manoscritto che ce li trasmette. Quello che è interessante è che si sceglie una soluzione narrativa perché è curioso ma probabilmente perché la... l'immagine metaforica della distanza non era più percepita in maniera così evidente. Qualcuno potrebbe dirmi, allora Spitzer è stato più capace di comprendere i trovatori dello stesso pubblico quasi contemporaneo dei trovatori stessi? Sì, secondo me sì. Borges dice di Dante noi comprendiamo meglio Dante che i suoi contemporanei che non vi arrivavano assolutamente anche un incoraggiamento a leggere questi autori non come autori del passato. Ti ringrazio molto ma c'è ancora qualche minuto di tempo per delle domande che vengano dai presenti Prego, forse venga qui per... ah ecco c'è il microfono per la registrazione. Una cosa qui ha accennato un attimo adesso, è un curioso di sapere come sono arrivate questi versi ad esempio. di Guglielmo a Dante allora sì dunque qualcuno ha sostenuto che la famosa immagine dei fioretti chinati e chiusi per il gelo notturno di Dante provenga dall'immagine del Biancospino. Non c'è assolutamente nessuna prova, non c'è nessun indizio che Dante abbia conosciuto Guglielmo, noi sappiamo bene quali sono i trovatori che Dante conosceva, con sicurezza perché Dante ce ne parla, ce ne parla nel De Vulgari, ce ne parla un pochino nel Convivio e poi ce ne parla ovviamente nella Commedia. E' meno probabile dal punto di vista della... la tradizione manoscritta è meno probabile che Dante abbia mai letto Guglielmo, per due motivi, intanto perché per noi è il più antico dei trovatori, ma se noi andiamo a prendere i manoscritti che ci hanno tramandato la poesia dei trovatori, Guglielmo è in mezzo a un sacco di poeti minori, di scarsa rilevanza, segno che chi ha compilato queste antologie poetiche, che dovevano essere Noi diciamo sempre i copisti, doveva essere qualcuno un po' più bravo di un copista, una specie di redattore, un editor come diremmo oggi. Chi ha compilato queste antologie probabilmente non aveva nessuna coscienza di chi fosse veramente questo conte di Poitiers. Questo è l'unico titolo, lo coms de peiteus, l'unico titolo che si trova nei testimoni manoscritti. Quindi è improbabile, diciamo, fatti tutti i conti che Dante abbia conosciuto. Io l'ho citata questa cosa perché naturalmente sono due immagini simili, non ve ne sono altre, ma i commenti alla commedia non dicono nessuno, e secondo me fanno bene i commentatori della commedia, nessuno si azzarda a dire che Dante ha tratto l'immagine da questa situazione. da questi versi di Guglielmo, come probabilmente Dante non ha nemmeno mai conosciuto, Giauffre e Rudel. Questi trovatori delle origini sono spesso sepolti. Dentro a queste antologie che sono molto importanti, grosse, sono grandi libroni, quindi sono libri deposito, sono libri archivio, sono mescolati, sono frammisti a poeti tardi, a poeti di secondo livello, di secondo ordine eccetera eccetera. Le grandi antologie dei trovatori si fissano sui poeti, incominciano, mettono nella posizione di rilievo esattamente. i poeti di cui parla Dante, cioè Ghiraut de Bornelli, Folchetto di Marsiglia, Bertrand de Born anche, sono tutti trovatori la cui attività diciamo è negli ultimi due decenni del XII secolo e che in qualche caso, come il caso di Folchetto che poi avrà tutta un'altra carriera, diventa vescovo e fa un sacco di altre cose, passano il confine del secolo e vanno nel secolo successivo. Naturalmente Dante ha letto sicuramente molti più trovatori di quanti lui ne cita nel De Vulgari e nella Commedia dove fa una specie di selezione, ma la questione dei trovatori noti a Dante, Dante poi li avrà letti in vari tempi, è una questione eterna della filologia sia trobadorica che dantesca perché ci si chiede sempre quale manoscritto Dante ha avuto per le mani. Non lo sappiamo, dei manoscritti che abbiamo. Sì, potrebbe. Dante li avrà letti sicuramente in molte occasioni, li avrà letti quando era molto giovane, perché già nella Vita Nova parla dei trovatori, quindi dobbiamo immaginarci. D'altra parte era la poesia che si leggeva. Chi voleva fare il poeta leggeva i trovatori. Dante li leggeva o li ascoltava. Il Dante della Vita Nova li conosce già, il Dante del De Vulgari cioè... agli inizi del Trecento, li cita, ma li avrà incontrati tante volte, li avrà incontrati nel suo soggiorno bolognese, li avrà sicuramente incontrati a Firenze, prima, quando era ancora giovane, anche se noi non possediamo dei canzonieri fabbricati in Toscana, probabilmente non così rilevanti, i migliori canzonieri vengono da altre parti, ma naturalmente non possiamo sapere. Intanto possiamo sapere quanti testi sono andati perduti, quanti libri sono andati perduti. Grazie infinite, grazie. È stata una lettura molto interessante professore, perché io che sono una psicologa, che vengo da essere psicologa dopo però aver fatto degli studi, una laurea umanistica con il professor della Corte, sicuramente a Genova. Questa autonomia interiore è una scelta non solo stilistica ma direi quasi solipsistica, come se ci fosse un inconscio che ci sussurra qualche cosa che noi produciamo. riproduciamo attraverso i nostri studi gli studi con una consapevolezza più o meno consapevole e ho trovato questa inconscio esiste inconscio esiste dicono tutti i grandi psicoanalisti l'inconscio esiste noi non lo conosciamo è proprio perché è inconscio ma questo non vuol dire che non esista non lo sappiamo e forse non ci interessa saperlo però questa sua lettura l'ho trovata davvero interessante rispetto alle cose che ha detto chi vuole gioire dell'assenza di possesso tutto interiore insomma qui fa capolino Freud e tutta la sua scuola sì sì Io sono poco ferrato nella lettura psicologica e psicanalitica degli autori e segnatamente degli autori del Medioevo, ma certamente sì. Si può osservare che anche un poeta come Guglielmo parla del cuore, la visione di Giauffre è molto più articolata e Giauffre lo dice davvero. E quindi tutto si riversa nell'interiorità. Però bisogna dire che anche Guglielmo parla del cuore. Il problema è che non sappiamo esattamente bene che cosa voglia dire il cuore per un poeta come Guglielmo. Possiamo aiutarci con le nozioni di tipo medico? che si ritrovano per esempio nei poeti dello stil novo, ci sono stati studiosi che hanno lavorato molto bene lì sopra, ma l'impressione è che questi termini, questi vocaboli possano essere ingannevoli. Naturalmente si sa che il cuore è la sede della vita e anche delle passioni, tutti lo sapevano, Guglielmo lo sapeva. E quindi sarei propenso a dare a cuore in Guglielmo un significato non particolarmente profondo. Giaufre invece no, sì è vero, Giaufre si presta. C'è una poesia nella quale qui devo dire... I commenti non sono straordinari, per esempio Giauffre è un poeta che pur essendo stato studiato tantissimo non è mai stato commentato, non abbiamo un'edizione commentata in maniera soddisfacente. C'è per esempio una poesia in cui Giauffre dice, parlando di questa passione d'amore che lo travolge, dice Traduco diciamo pedestremente e letteralmente e so che, io soggetto che parlo, so che la volontà mi inganna se la cupidigia, la cobesessa, lui dice, il desiderio ardente, me la toglie, che può essere la dama o l'amore. ha amore femminile e quindi non sappiamo mai quando c'è un pronome femminile se il poeta d'amore parla dell'amore o parla della dama. A me pare un verso, a me paiono, e sai che volers mengana, ecco mi è tornato in mente, e sai che volers mengana, si cobesse salam tol. A me sembrano due versi estremamente profondi, no? Che cosa sarà questa cupidigia che ci inganna, che ci tradisce, no? O scusate, questa volontà che ci tradisce quando sorge la cobescesa che è cupiditas, cioè il desiderio irrefrenabile, che però anziché concedere toglie. Quindi interiorità e come, qui i commentatori, devo dire, tacciono. anche perché bisognerebbe forse andare a scavare molto di più. Noi abbiamo, diciamo, alcuni di noi l'hanno fatto, per esempio Lucia Lazzerini, professore all'Università di Firenze, che ha studiato molto bene queste cose, dobbiamo andarli a cercare, secondo lei, e secondo me ha ragione, nella mistica. Perché i più vicini ai poeti d'amore sono i mistici. che si esprimono nello stesso modo e che articolano attraverso delle tante ipostasi la propria vita interiore. E qui noi letterati dovremmo cercare con più profondità nei testi dei mistici latini. Però sono d'accordo con lei, questa cosa si presta molto, cioè quando la poesia diventa interiorità, allora bisogna cercare di... di amministrarla, di conoscerla bene questa interiorità. Sono d'accordo, certo. Bene, abbiamo fatto, grazie a Walter Meliga, un bel percorso nella letteratura occidentale. Ti sono particolarmente grato perché questo Novecento resta spesso confuso perché è letto troppo da vicino. Quando invece si prendono queste linee profonde, queste lame, di fondo, allora si riordina molto più nettamente, cioè vedi allora Pound e poi Elliot e così via, arrivando appunto fino ai critici contemporanei che sono tali, quelli grandi, perché di questo appunto si sono nutriti. Dunque ti siamo doppiamente grazie per averci restituito le nostre radici, ma anche il nostro presente e do a te tutti appuntamento tra 15 giorni quando Diego Marconi ci parlerà della filosofia e di ciò che rimane dopo l'invasione logica questa è una mia interpretazione del suo titolo grazie ancora Walter Meliga a tutti voi grazie grazie grazie a te