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Il Pittorialismo e la sua Evoluzione

Una palla d'altare del Medioevo? No, un montaggio fotografico del francese Pierre Dubruy intitolato Mise au tombeau du Christ, trittico. L'opera risale al 1900. Dalla fine del XIX secolo fino alla Prima Guerra Mondiale, i più grandi fotografi d'Europa e d'America cercano di rivaleggiare con la pittura, tutta la pittura. 1910, sempre di Pierre Dubruy, una fotografia intitolata Interpretation Picasso Le Rapide. Il riferimento al cubismo è chiaro, l'immagine meno. Bisogna guardarla attentamente per riconoscere la fotografia di una locomotiva, il rapid del titolo, rielaborata e messa in risalto col carboncino finché la locomotiva e la fotografia non diventano apparentemente irriconoscibili. Questo travestimento, che chiamiamo pittorialismo, è la risposta a una crisi. Mezzo secolo dopo la sua invenzione, la fotografia mette in dubbio la sua vera natura. Un'altra locomotiva filmata dai fratelli Lumière nel 1896. Paradossalmente, la crisi della fotografia sopraggiunge proprio nel momento in cui l'industria fotografica è in pieno sviluppo. Questa folla di operai e operaie esce da una fabbrica di carta fotografica e l'invenzione del cinema testimonia. enormi progressi tecnici, proprio nel momento in cui sembra certificare la natura essenzialmente documentaria dell'immagine argentica. È una rivoluzione senza eguali, se non quella che conosciamo oggi con il digitale. L'industria propone obiettivi sempre più precisi. Apparecchi sempre più piccoli. Emulsioni sempre più rapide. La stampa si effettua ancora per contatto diretto del negativo e del positivo chiusi in un telaio di legno. Ma ormai la carta è così sensibile che la si può esporre alla luce di una semplice lampada a gas. Non vi fossilizzate. Utilizzate un obiettivo moderno per risultati all'avanguardia del progresso, dice questa pubblicità. Il pittorialismo è innanzitutto un rifiuto di questa imposizione. Quando Eduard Steichen pubblica il suo autoritratto in Camera Work, la principale rivista pittorialista, non si rappresenta come un uomo moderno, ma come un pittore dei tempi antichi. dell'anzian regime ci verrebbe voglia di dire. È la nostalgia del gesto artigianale, della mano e del pennello opposti al lavoro della macchina. La materia stessa dell'immagine cerca di far dimenticare la sua natura meccanica e chimica. Per diventare artistica la fotografia deve rinunciare a se stessa, divenire non fotografica. Un interno olandese dipinto da Pieter de Hoogh nel 1658. Un interno olandese alla maniera di Pieter de Hoogh fotografato nel 1908 dall'italiano Guido Rey. All'inizio del XX secolo, Guidorei è uno dei pochi che continuano a praticare questo pittorialismo di primo grado, antico quanto la fotografia stessa. Il risultato fa sorridere per il suo anacronismo. L'occhio meccanico dell'apparecchio registra freddamente la situazione per quella che è. Una ricostituzione volutamente illuminata da una luce talmente forte da obbligare il fotografo a ritoccare a matite il riquadro della finestra che la sovraesposizione ha quasi fatto scomparire. Bisogna dunque liberarsi dell'obiettività meccanica dell'apparecchio. Per farlo basta semplicemente sbarazzarsi dell'obiettivo, rimpiazzandolo con una semplice apertura circolare. Il foro stenopeico, la camera oscura conosciuta fin dall'antichità. È ciò che ha fatto l'inglese George Davidson nel 1890 e il risultato è questa immagine dai contorni imprecisi, il campo di cipolle, un'immagine diventata un punto di riferimento per i pittorialisti che tuttavia ricorreranno a mezzi più sofisticati, come questi teleobiettivi utilizzati non per fotografare da lontano e in incognito, ma per i magnifici sfocati che la loro scarsa profondità consente di ottenere, o ancora obiettivi speciali che generano lo sfocato, chiamati obiettivi artistici. Per i pittorialisti l'immagine nitida è il prodotto della correzione matematica, mentre l'immagine sfocata è più vicina all'imperfezione naturale dell'occhio. I dettagli, il soggetto principale, si attenuano lasciando emergere le grandi masse della composizione in questa fotografia dell'americano Alvin Coburn, Il ponte di Eastwich, 1903. In quest'altro cliché di Coburn, lo sfocato fa vibrare l'immagine. La casa e gli alberi sembrano animarsi di vita propria, in un inquietante tremito spiegato dal titolo, La casa stregata. In Francia, il comandante Puyot, inventore degli obiettivi artistici, ne dimostra l'efficacia con due immagini di uno stesso modello. A sinistra, un obiettivo normale. L'immagine è nitida, un po'troppo. A destra, l'obiettivo artistico del comandante Puglio che, miracolo, fa sparire tutte le lentiggini. È sempre per testare nuovi obiettivi che Alfred Stiglitz, capofila del pittorialismo americano, ha fotografato questa giovane modella, prendendosi la briga di precisare, stando alle sue memorie, che non la vedeva come una donna. Qui lo sfocato svolge due ruoli. Eroicizza l'immagine accentuandone il carattere intimo e allo stesso tempo la rende artistica, accettabile. Non è più una donna nuda, ma la visione dell'artista che dobbiamo guardare. Per Stieglitz lo sfocato è anche un modo per animare l'immagine fissa. In questo ritratto di Miss Heir, che risale al 1904, riesce a tradurre un'impressione fugace, una sensazione di presenza, come se la giovane donna stesse per girarsi verso di noi, un movimento ancora più accentuato dall'inclinazione del busto. Lo sfocato, che ormai chiamiamo sfocato artistico, diventa una ricetta che permette di nobilitare le immagini più disparate. A coloro che non hanno modo di acquisire ottiche speciali, le riviste offrono buoni consigli. Ad esempio, si può togliere l'obiettivo e sostituirlo con una semplice lente per occhiali. Si può inoltre attaccare una corda all'obiettivo bloccandola sotto un piede e strofinarla con un archetto di violino per far vibrare leggermente l'obiettivo durante lo scatto. Il risultato non è garantito. Nel 1894 Etienne Jules Marais fotografa la caduta di un gatto. La cronofotografia di Marais, che necessita di tempi di posa di qualche decimo di secondo appena, testimonia anch'essa i progressi della tecnica. Ma i pittorialisti disdegnano questo nuovo dominio del tempo, buono soltanto, secondo loro, per i cliché scientifici. A ciò che chiamano il movimento interrotto dell'istantanea, preferiscono il movimento immobilizzato, la posa. L'uomo in armatura autoritratto di Frank Eugène 1898 La posa va di pari passo con una predilezione per i temi eterni, la giovinezza che contempla la realtà, un'allegoria del fotografo spagnolo Juan Villaloba. Ma è senza dubbio l'americano Holland Day, che qui posa come artista rinascimentale per il suo amico Stuyvesant, ad aver realizzato l'esplua più sconvolgente, una sintesi di istantanea ed eternità, sette pose successive che illustrano le ultime sette parole di Cristo sulla croce, debitamente inserite e didascalizzate. Il Cristo è impersonato dal fotografo stesso. La successione delle pose cerca di tradurre lo spessore temporale del dramma della passione fino all'ultima immagine, dalla disinquadratura assolutamente moderna. Non contenti di imitare la pittura, i pittorialisti si interessano dei generi minori, come le sagome ritagliate, di moda a partire dal XVIII secolo. Profilo di Alfred Stiglitz. Profilo di Edward Station. Si tratta sempre di fotografie, la cui ricetta è stata data nel Camera Work. Il soggetto deve essere collocato davanti a una finestra in piena luce e fotografato con un obiettivo che costi almeno 100 dollari. La silhouette in controluce, al tempo stesso elegante ed enigmatica, è una figura apprezzata dai pittorialisti. Edward Steichen ne fa uso e abuso in questo ritratto di Rodin, dove è di profilo di fronte al famoso pensatore. Le due silhouette si stagliano con precisione su uno sfondo in cui Victoria Hugo, un'altra opera di Rodin, sembra fluttuare come un ectoplasma in una seduta di spiritismo. La silhouette crea profondità in tutti i sensi del termine, consente di mettere in opposizione un secondo piano d'atmosfera e un primo piano nettamente risegnato. Wapping, De Coburn, 1904. Questo tipo di composizione è fortemente influenzata dal giapponismo di moda all'inizio del XX secolo. L'influenza del giapponismo si traduce anche nella scelta di formati atipici, come quelli resi popolari dal pittore Bonnard. Benedicite, del francese Pierre Dubreuil, 1902. Per drammatizzare la distanza tra il bambino e il vaso di fiori, la fotografia si allunga come un segnalibro, un effetto un po'forzato, contrariamente alle due immagini di Stieglitz, in cui il formato verticale è naturalmente dettato dal soggetto. La silhouette dell'albero è quella del grattacielo Flatiron, il ferro da stiro, l'edificio preferito dai pittorialisti americani, fotografato sia da Steichen nel 1904 che da Coburn nel 1912, in un'immagine che rende con delicatezza e profondità l'atmosfera di una strada di New York all'imbrunire. È sempre dall'America che arriva la grande rivoluzione. 1889, il primo apparecchio Kodak. In tre movimenti, la fotografia è ormai alla portata di tutti. Per distinguersi dalla nuova massa di fotografi dilettanti, il fotografo pittorialista rifiuta questa semplificazione del gesto fotografico e, al contrario, cerca la difficoltà, l'exploit tecnico. Così come in questa istantanea scattata al volo intorno al 1910 su una spiaggia bretone dal francese Robert de Machy. A prima vista sembra ben lungi dall'estetica pittorialista, ma poco importa. Il fotografo la trasformerà, la pittorializzerà nel suo laboratorio, contrastandola, raddrizzando l'orizzonte e dando al bambino in primo piano la bellezza pittoresca di una silhouette in controluce. Analogamente nel 1914 il tedesco Heinrich Kuhn giapponizzerà questa fotografia a colori di un'escursione in montagna aggiungendo un primo piano di fogliame in controluce uscito dal nulla mentre in un'altra stampa in bianco e nero opta più banalmente per un secondo piano di montagna. Con il pittorialisti il lavoro di laboratorio assume un'importanza nuova. Più che lo scatto, la stampa del positivo diventa il momento decisivo. Il franco-americano Paul Aviland pratica la cianotipia, un procedimento di stampa caduto in disuso perché la sua tinta blu era considerata troppo artificiale. Aviland sfrutta questo effetto irreale per sublimare un ritratto intimo della sua modella Florence Patterson. In quest'altro cliché, l'assenza di sfumature del processo stilizza l'immagine riducendola a un gioco grafico di ombre e luci. Altri, al contrario, coltivano all'estremo l'arte della sfumatura. Così Styshan sceglie appositamente le situazioni più difficili, come questo stagno al chiaro di luna del 1904. Il negativo è in bianco e nero. L'immagine è sottilmente colorata in fase di stampa con l'aggiunta di successivi strati di diverse sostanze coloranti. Il segreto delle stampe di Steichen e della maggior parte dei pittorialisti è la fabbricazione artigianale di carte a base di processi chiamati pigmentari, fra cui il più conosciuto è la gomma bicromata. La carta viene cosparsa con una soluzione di gomma arabica, bicromato di potassio e pigmenti colorati. Quando la carta viene esposta, la gomma indurisce a seconda della quantità di luce che lascia passare il negativo. Di conseguenza l'immagine non viene rivelata come nei processi argentici, ma lavata con l'acqua tiepida, spogliata. dicono gli specialisti. Nelle zone chiare la soluzione sparisce, nelle zone scure resta, conservando il colore del pigmento utilizzato. Lo spoglio si fa col pennello. Il gesto del pittore qui diventa una realtà. I processi pigmentari richiedono grande virtuosismo, ma producono prove uniche di una finezza e una raffinatezza estrema, come questi paesaggi in miniatura del cieco Dritkoll. La presentazione su cartoni di colori differenti sottolinea la preziosità di queste immagini che oscillano fra naturalismo, il simbolismo, con una predilezione per le viste notturne che confinano con l'astrazione. In un registro più simbolico, un'allegoria del lutto intitolata In Memoriam, del fotografo Styshen, 1904. La pose è voluta, ma non è altro che il pretesto per un tour de force nella resa del chiaroscuro, nel vellutato della pelle e delle materie. Il soggetto sparisce davanti allo stile dell'artista, stile che Styshen rivendica firmando l'immagine non una, ma due volte. Grazie a insieme alla firma la presentazione stessa delle stampe montate e inquadrate come disegni o incisioni mira a far dimenticare che si tratta di semplici stampe fotografiche Forse ci accuseranno di cancellare il carattere fotografico, dice Robert Demachy, autore di questo ritratto, ma è questa la nostra intenzione. Per questo Demachy non esita ad affrontare lui stesso il negativo. È ciò che chiama ritocco al bulino. Il negativo di questo nudo è grattato e ridipinto in modo da attenuare l'immagine, qui lo sfondo, per far risaltare il soggetto di cui si accentuano determinati dettagli. La posa è accademica, ma l'effetto grattato creato intorno al modello genera una sorta di liberazione plastica, la traccia unica realmente lasciata dalla mano dell'artista. Qui, contrariamente agli effetti di stampa, è l'originale stesso ad essere interpretato in maniera irreversibile. Una delle immagini più sorprendenti di questo lavoro sul supporto lo dobbiamo al fotografo tedesco americano Frank Eugen. Questo semplice cavallo da tiro rimosso dal suo scenario naturale diventa il cavallo, un archetipo. Guardando più da vicino si scopre che il fotografo voleva soprattutto far scomparire dall'immagine un uomo col cappello che tiene il cavallo per le briglie. Più commovente è questa fotografia di Franck Eugène che mostra Adamo ed Eva dopo la caduta. I graffi proiettano l'immagine nel presente, dando l'impressione di assistere alla lotta dell'artista contro i limiti del suo supporto. Ma si tratta anche di un tema antico, un modo del tutto moderno di denunciare il trompe-l'oeil fotografico, di ricordare che quello che si vede non è altro che una superficie piana cosparsa di soluzione sensibile. Piuttosto che opporre l'immagine fotografica e l'intervento della mano dell'artista, Robert Demachy cerca di fonderle l'una con l'altra in quest'opera straordinaria chiamata Composizione girevole del 1905. Qui disegno e pittura mirano a dissolvere i bordi della figura fotografata per trascinarla nel vortice del loro movimento. Si ammira il tour de force tecnico, ma la combinazione non cattura. Questo pittorialismo radicale resta una curiosità, un unpass. Nel 1901, epoca d'oro del pittorialismo, la rivista Camera Work pubblica una parodia del monologo di Amleto. Dipingere o fotografare, è questo il problema. Dieci anni più tardi la questione è definitivamente risolta. Stiglitz pubblica in Camera Work The Steerage, il ponte di terza classe. È un manifesto della straight photography, la fotografia diretta, che rifiuta tutti gli effetti di stampa, tutti gli intrighi pittorialisti. L'accento viene messo di nuovo sullo scatto, sullo sguardo del fotografo, capace di trarre dal reale immagini perfettamente controllate, la cui composizione è tanto più forte perché sembra naturale. scoprendo questa immagine e picasso avrebbe detto staglitz e fotografa come io dipingo fotografare e dipingere ma solo con la luce pola raggi di sole Una fotografia scattata dal giovane Staglitz nel 1889, prima del suo periodo pittorialista. 28 anni più tardi ritroviamo le stesse linee d'ombra e luce in Veranda, opera di un giovane fotografo che loda l'obiettività assoluta, senza trucchi nei procedimenti. Si chiama Paul Strand. L'immagine viene pubblicata da Stiglitz nell'ultimo numero di Camera Work, l'epitaffio del pittorialismo, la fine di una lunga e bella parentesi. Styshen stesso, che nel 1903 si era fotografato nelle vesti di pittore, si fotografa di nuovo nel 1917 nelle vesti di fotografo.