Sì, ho questo che va bene anche lui, credo, sì, grazie. Ecco, sì, io però direi che forse prima di arrivare a mettere a fuoco questo nodo centrale che è il risorgimento, anche Walter ha detto l'ottocento, lo anticipo, ma lo lasciamo per dopo. Direi anch'io, vorrei ancora io prima fare qualche considerazione.
a margine del percorso nei secoli più lontani, prima che arriviamo a mettere a fuoco poi l'urto fra il Piemonte e il resto dell'Italia al momento del risorgimento. Perché, non so, sento il bisogno di aiutarci a chiarire alcuni dei concetti stessi che stiamo usando, a costo di dire delle terribili banalità. Però insegnando all'università si scopre che anche le terribili banalità è bene ribadirle in certi casi inizialmente.
E comunque ammettiamo che lo siano però così almeno ci siamo chiariti. Una prima cosa da dire è questa, noi in Italia siamo abituati all'esistenza delle regioni che quando eravamo bambini noi non avevano nessuna esistenza amministrativa e però esistevano già le carte geografiche, era dal tempo di Rattazzi appunto, erano divise con le regioni, con la loro forma che uno si imprime bene in testa fin da bambino e le regioni finiscono per avere un'esistenza. automatica nella nostra mente. In realtà le regioni italiane sono molto diverse fra loro quanto è forza dell'identità.
La Sicilia ha un'identità fortissima, per forza dirai, è un'isola quindi più che quello non può essere, ma la Sicilia è tutta Sicilia, non ci sono dubbi. Già il Lazio, l'Umbria, la Campania. che sono state modificate tante volte. Mussolini ha regalato dei pezzi di Campania a Lazio per creare la provincia di Littoria, poi diventata Latina.
Lì è già più difficile. Il Veneto, verrebbe da dire che l'identità del Veneto è molto forte, però in realtà il Veneto potrebbe essere più grande. Se Brescia fosse Veneto, nessuno si stupirebbe. Il Piemonte è una regione particolarmente composita da questo punto di vista.
Pensiamo a un caso clamoroso come l'Emilia-Romagna, che è una regione adesso, ma che è nata appunto negli anni di cui si parlava prima, nell'immediata sistemazione postunitaria, mettendo assieme gli ex ducati padani. Parma e Modena che possiamo chiamare Emilia è qualcosa che era sotto lo stato pontificio, le vecchie legazioni Ferrara, Bologna, per cui ancora adesso se dai dell'emiliano un romagnolo o viceversa è come chiamare uno scozzese inglese, ma noi chiamiamo indifferentemente Emiliano il bolognese, Emiliano il ravennate, cioè perché questa incrostazione che ha origini... banalmente amministrative se vogliamo, si imprime poi nella mente, nell'immaginario collettivo fino a far dimenticare le origini storiche e le contraddizioni storiche.
Infatti in realtà le identità poi mutano e col tempo uno può diventare più piemontese quando all'inizio lo era molto poco, però magari aspetti come l'aspetto stesso dei luoghi, delle città oppure gli accenti che senti nelle strade ti ricordano che le origini sono diverse. Se vai ad Acquiterme, ti trovi in una città ligure e per le strade senti accenti liguri. D'altra parte, se vai a Novara, senti accenti che possono suonare più lombardi che piemontesi. Se vai sul Lago Maggiore, poi più che mai. Se vai a vedere la storia, ti accorgi che Bardonecchia, che oggi può sembrare un posto molto piemontese, benché ci vadano anche tanti milanesi a sciare, ma insomma, ecco, Bardonecchia fino al tempo del Regno Sole e di Vittorio Amedeo II era Francia, era delfinato e non aveva proprio assolutamente niente di piemontese.
D'altra parte cent'anni fa, più di cent'anni fa ormai, tempo passa, quando Carducci scrive la sua poesia sul Piemonte, elenca le città piemontesi e comincia da Aosta, cosa che oggi non farebbe più nessuno. Ecco, Aosta ce la siamo persa. Ma fino a cent'anni fa chiunque venisse da fuori dava per scontato che la Val d'Aosta era piemontese come la Val di Susa, tale quale nessuna differenza. Quindi in realtà noi abbiamo una regione composita che all'inizio si chiama Piemonte semplicemente perché la gente che viene dall'Italia, dalla pianura padana, quando comincia a vedere in fondo le montagne, ecco, comincia a dire questa è la parte di pianura che sta al piede dei monti. E nelle giornate limpide...
Si comincia molto presto a vedere le montagne in fondo. Nel Medioevo, quando compaiono per le prime volte il termine Piemonte nei documenti, può indicare benissimo anche Novara, per esempio. C'è un documento, se non sbaglio, ufficiale dell'imperatore Federico II nella prima metà del 200 che dice io sono qui in Piemonte a Novara e ecco.
Quindi è molto generico come termine. Poi col tempo si comincia a usarlo in un senso più specifico, contraddittorio rispetto al primo. Si comincia a chiamare Piemonte i domini dei Savoia. tutta la contraddizione da cui siamo partiti e su cui torneremo e cioè ma è italia questa roba ecco se noi ci fossimo limitati all'accezione medievale di piemonte cioè il pezzo in fondo della pianura padana nessuno avrebbe avuto il minimo dubbio è certo che è italia tutti sanno puoi discutere una volta che ti arrampichi in montagna dove finisce l'italia per i romani finiva appunto quando cominciavano le montagne ad avigliana cominciava la Gallia, a Carema cominciava la Gallia, lì riscuotevano la Dogana, ma che fin lì, fino ad Avigliana fosse Italia era ovvio per tutti.
Invece poi si comincia a chiamare Piemonte quella parte di questi territori che è governata dalla dinastia Sabauda e l'identità che si afferma alla fine è quella, quindi in contrasto con l'uso precedente. luoghi che prima erano assolutamente Piemonte perché dal punto di vista geografico è chiaro che lo erano nell'uso dell'età moderna non sono più Piemonte così per esempio il Monferrato non è Piemonte perché è governato da un'altra dinastia e quando all'inizio del 600 Carlo Emanuele I invade il Monferrato ci sono testimonianze stavo per dire giornalistiche dell'epoca di testimoni che parlano delle atrocità commesse dai piemontesi in Monferrato, cioè da questi stranieri che hanno invaso il Monferrato e sono stranieri perché obbediscono a un principe straniero. Tra l'altro si parlava prima di Mantua, il Monferrato, poveretto, il suo legame con Mantua ce l'ha avuto per secoli, non che sia diventato molto più italiano o europeo per quello, ma insomma il Monferrato ce l'ha avuto.
Allora, a un certo punto si comincia a dire il Piemonte è ciò che obbedisce. ai Savoia, ma i Savoia sono stranieri, questo è il punto. Forse potremmo facendo un piccolo passo indietro dire che ci sono parti d'Italia dove con tutta la buona volontà l'estero è lontanissimo. Se tu stai a Firenze, prima di venire a contatto con una potenza straniera, una civiltà straniera, una lingua straniera e ne devi fare di strada.
Se invece stai a Gorizia... E sei a contatto diretto con una formidabile cultura, anzi due culture straniere, una tedesca e una slava e anche oggi quando uno va a Gorizia guarda i campanili e dice ma siamo in Italia? Dopodiché siamo in Italia a Gorizia ma in una zona dove un'influenza straniera è molto forte e lo stesso vale per il Piemonte.
Il Piemonte è un pezzo d'Italia che però diversamente da altre zone è... stato sempre a contatto molto ravvicinato con un mondo, una lingua, una cultura amministrativa e politica altre, salvo che a un certo punto questa cultura altra se l'è conquistato il Piemonte e se l'è ricostruito intorno, che i Savoia siano una dinastia straniera fino a Emanuele Filo vogliamo dire, grosso modo non c'è dubbio, parlano più volentieri francese fino a quell'epoca. assolutamente e appartengono a una tradizione culturale amministrativa altra in effetti il ducato di Savoia del tardo medioevo a me è venuto di chiamarlo uno stato franco italiano però anche italiano perché il punto è che mentre sulle carte geografiche che abbiamo visto prima può apparire come un'unica realtà di fatto lo stato sabaudo del 400 del 500 e credo anche quello del 6-700 che conoscete meglio voi, è un paese abitato da due popoli diversi che si odiano a vicenda. Fondamentalmente piemontesi e savoiardi nel 400 e nel 500 si detestano e ognuno fa tutto quello che può per contare di più nello Stato.
Per dire al Duca, ma tu cerca di stare a Torino e non in quel buco di Chambery, vieni di qua più spesso, gli uffici importanti a corte. Nomina dei piemontesi, almeno in parti uguali rispetto ai savoiardi. Quindi quello è davvero uno stato binazionale, che non a caso, man mano che assume, come Walter ha fatto vedere molto bene, un ruolo...
sempre più importante nella storia d'Italia, si libera delle parti di là dalle Alpi. È un processo irresistibile che non a caso è veramente anche una cosa simbolica, si completa con Cavour. Quando fa l'unità d'Italia, non è che lo fa per motivi simbolici, lo fa perché gli serve, però di fatto quando fa l'unità d'Italia si libera della Savoia.
Un po'per volta tutta la parte di là è stata lasciata andare. E anche di Nizza che non ho menzionato per non complicarci ancora la vita perché che cosa sia Nizza tra un'identità ligure, una provenzale, è una cosa assai complicata però certamente più italiana che provenzale certamente anche se poi il dialetto insomma ecco queste cose sono complicatissime quando uno entra in un singolo dettaglio non c'è un posto che stia al suo posto. Poi naturalmente le identità crescono col tempo e si sovrappongono. appongono io ho detto prima che Novara è in fondo una città lombarda e ancora oggi uno può notarlo sotto certi punti di vista però poi il più grande scrittore patriottico piemontese dell'ottocento più grande nel senso di più prolifico quel grande autore di romanzi storici Filo Sabauda che ha formato generazioni di patrioti piemontesi Luigigi Sardegna era del Novarese lui si sentiva piemontesissimo Il generale Cadorna, comandante dell'esercito italiano per gran parte della prima guerra mondiale, era del lago maggiore, di Pallanza, tecnicamente un piemontese, in realtà se uno va a vedere i suoi conoscenti lo consideravano assolutamente un lombardo, però questo lombardo naturalmente avendo studiato all'accademia militare a Torino se si trovava con il re Vittorio era in grado di parlargli in piemontese.
perché agli alti gradi dell'esercito ancora a quell'epoca si tendeva a parlare volentieri piemontese. Quindi in realtà le identità sono contraddittorie e scomponibili. Dopodiché, ultima cosa che volevo dire a titolo preliminare, appunto, stiamo attenti a non fare quello stesso errore che facevano gli italiani nell'Ottocento, di dire ma questi piemontesi sono stranieri, perché il punto è che erano stranieri Savoia. E con loro avevano portato al Piemonte un'impronta di una cultura appunto politica poco italiana.
Certo è strana l'Italia delle grandi città, della grande finanza internazionale e così via. Ma prima che il Piemonte diventasse quello, cioè diventasse il dominio dei Savoia, il Piemonte era stato un'altra cosa. Qui è il medievista che non può fare meno di sottolinearlo, anche se poi il medioevo appunto lo superiamo e veniamo a epoche più vicine a noi.
Ma nel medioevo, quando un'identità italiana più o meno sta cominciando a formarsi, il Piemonte è assolutamente italiano, ha piccole città nel senso che non ha, è verissimo, le grandi metropoli che dominano il mondo economico del medioevo e del rinascimento. Però l'Italia del Medioevo, più che quella del Rinascimento, è anche un paese di tante piccole città attivissime e in questo senso, non Torino che era un buco sonnolento, ma Asti, Chieri, Vercelli, sono alle stesse Alessandria, sono città attive. Noi studiamo tutti a scuola che c'erano i Lombardi nel Medioevo che andavano a Londra o a Parigi. a prestare, a portare quella merce poco conosciuta fuori d'Italia che erano i soldi.
Mai visto nessuno con tanti soldi e questi arrivano dall'Italia carichi di soldi, li prestano. Ecco, questi Lombardi erano in realtà in gran parte di Asti e di Chieri. Quindi in quella fase lì il Piemonte è Italia e lo resta anche dopo. nel senso che è la brava gente che non si occupa più di tanto di chi è il tuo duca ma si fa la sua vita, parla un dialetto che è un dialetto italiano, quando legge, legge opere italiane, quando incontra un forestiero che viene da un'altra parte d'Italia si arrangia a parlargli in italiano in qualche modo, a me ha colpito molto una lapide che c'è al santuario di Europa. di un signore che è morto nella seconda metà del 600 e ha fatto una donazione a Europa e ha detto, e c'è scritto sulla lapide, che voleva che a memoria di questa sua donazione venisse eretta una lapide nel santuario in lingua italiana.
Però, però appunto, attraverso il percorso che Walter ha raccontato, Gli altri italiani guardavano questo Piemonte nel senso di lo stato dei Savoia e vedevano qualcosa che gli sembrava strano. Da lì nasce l'equivoco di dire che anche i piemontesi siano italiani fino a un certo punto, mentre invece tutto sommato io da un lato spero e dall'altro temo che siamo italiani fino al midollo, anche noi, e lo siamo sempre stati. Se siete d'accordo avviciniamoci un po'di più a questo 800 che è il momento dell'incontro e delle reciproche definizioni, se vogliamo chiamarle così.
Le cose che hai anticipato prima, cioè queste differenze strutturali risaltano il momento dell'unità e dell'immediato post-unità. Ma io ho ancora un argomento che però non vuole sfuggire alla domanda, ma che ha radici precedenti. Se c'è una cosa che fra le altre, ma secondo me in modo principale, distingue il Piemonte da altre realtà italiane, è per l'appunto la dinastia dei Savoia. Non perché i Savoia siano migliori, più illuminati, più colti, eccetera, eccetera. No.
I Savoia sono una delle dinastie più longeve d'Europa, sono più longevi di tante altre importantissime. Cosa significa questo? Significa, a mio modo di vedere, una cosa straordinariamente importante, che ancora oggi vi viene proposta dalle televisioni, dai giornali, dal linguaggio della politica.
La stabilità di governo. Guardate, la stabilità di governo distingue in modo radicale l'esperienza del Regnogno di Sardegna, Ducato di Savoia, della storia sabaudo-piemontese da tutto il resto d'Italia. Perché mi preme sottolineare questa cosa?
Perché la stabilità... di governo permette quello che gli inglesi chiamano il trust, il rapporto di fiducia nella possibilità di stabilire contratti a lungo termine. Allora cominciamo col dire che quelli che oggi si chiamano ascensori sociali eccetera eccetera, bene in Piemonte hanno funzionato più che altrove. Perché? Perché per esempio diciamo fin dal 600, i mercanti, i banchieri, le persone che non avevano lignaggio aristocratico ma avevano danaro, potevano stringere con l'istituzione dei contratti a medio-lungo termine.
Sulla base di che cosa? Della fiducia che questi contratti sarebbero stati onorati. Ci sono dei contratti che dicono che un mercante di Chieri presta dei soldi alla dinastia perché in quel momento i Savoia devono andare a farsi una guerra e l'argento fa la guerra. Dunque hanno bisogno di soldi, ne pigliano ovunque di soldi. Ma il mercante di Chieri, che cito così come esempio, cosa dice?
Dice, caro Duca, io i soldi te li do, ne ho, ne ho. te li do e tu alla fine della guerra cosa mi dai? e l'altro gli dice beh ti restituisco i soldi il mercante che non è stupido sa benissimo che alla fine della guerra il re sarà più indebitato di prima i soldi non li ha non glieli darà mai e allora cosa gli dice?
va bene nel caso fortuito alla fine della guerra tu non avessi i soldi facciamo che mi dai una terra, la terra, una terra, ci aggiungi una piccola rendita, me la infeuderesti, che è la premessa per acquisire anche lui un titolino nobiliare, trattano molto, vanno avanti anni questi contratti, alla fine, tanto per farla breve, cosa succede? Succede che il re sa benissimo che i soldi non li ha, che la terra gliela dà, non gliela infeuda, ma il suo interlocutore dice benissimo, su mio figlio... Facciamo così, intanto mi dai la facoltà di una ereditarietà per cui questa terra con tutti i suoi benefici passerà a mio figlio e poi mi fai una promessa supplementare che mi sottoscrivi e cioè che mio nipote potrà avere un posto nella organizzazione della tua corte o del tuo esercito o insomma potrà cominciare a camminare come se fosse un piccolo aristocratico. Allora, lasciamo stare le storie sociali. Sul piano economico questa cosa qui è fondamentale, perché il mercante aiuta la dinastia a rimanere, la dinastia aiuta il mercante a farsi dei contratti a lungo termine.
Mi spiegate chi oggi si sentirebbe di dire benissimo, compro dei bot, perché così... metto al sicuro mio figlio e poi anche mio nipote. Scusate, ma non è così. Non è così. Non è così.
Era così. Nel pieno della guerra contro un signore come Luigigi XIV, cioè uno che faceva paura a chiunque, Torino sotto assedio ha un monte dei pegni che chiede soldi per finanziare la guerra. I torinesi e le maggiori famiglie di quel Piemonte legato ai Savoia tirano giù i soldi di fronte al rischio di perderli, ma pagano. Questo vuol dire una fiducia straordinaria in una continuità di governo che non li tradirà mai. Questa cosa qui è il punto di nuovo di eccentricità.
che ci porta verso l'Ottocento. È chiaro che... Ma chi volete che la faccia in Italia la guerra contro l'Austria? Il Regnogno di Sardegna.
Siamo sicurissimi che la faccia esattamente con la finalità di andare a conquistarsi il Sud. Io su questo poi, casomai ne discutiamo un secondo, perché su questa faccenda... Sarebbe bene stabilire un minimo di dubbio in più, però intanto la fa. La fa perché il Piemonte si gioca la sua credibilità ormai da più di 150 anni in un contesto europeo che fa le guerre per assestarsi sul piano politico internazionale.
Piemonte vuole a tutti i costi gareggiare su quel piano lì. E ce la fa, ce la fa. Naturalmente la guerra, la prima guerra risorgimentale, sappiamo come va a finire, sappiamo che le illusioni dolenti di Carlo Alberto lo portano via.
Sappiamo anche che però, prima è stato citato Cattaneo, Cattaneo non è che abbia delle armi estremamente più robuste di quelle che lui attribuisca ai Savoia. A Cattaneo i Savoia stanno... antipaticissimi perché naturalmente Cattaneo interpreta i Savoia come spesso hanno fatto, come i detentori, come i possessori, gli ispiratori di uno stato caserma.
E ma non è così, non è solo così, non è quella cosa lì, è qualcosa di estremamente più robusto e complesso. E naturalmente Cattaneo, che era un individualista, è uno che è andato a farsi le quattro giornate a Milano, gli hanno proposto una carica istituzionale, se ne è andato nel giro di quattro giorni perché già questa cosa gli metteva l'ansia. Poi si è messo a trafficare con le ferrovie, è diventato un grande progettista e anche finanziatore della ferrovia che collega Milano con Venezia.
E naturalmente se voleste chiedervi come mai quella ferrovia non va diretta da Milano a Venezia e fa tutto un giro, è perché lui era convinto federalista, ma federatore di che cosa? Di città. Quindi la ferrovia la fa passare dalle città.
Perché questa è la sua idea federale, che è un'idea tutta padana. Cioè la sua idea di federalismo non ha niente a che vedere col Sud, dove di città ce ne sono due che si odiano profondamente, su cui vorrei poi, dopo che avrà parlato Sandro, spendere una parola, perché voglio dire, l'unità d'Italia ha anche una gamba in quella storia là. Se Palermo non odiava Napoli, i mille rimanevano sulla spiaggia, si facevano...
diciamo un barbecue e poi se gli andava bene le rimandavano indietro invece certo palermo palermo quella quella carta lì poi se la gioca ma lì veniamo dopo spesso si si dice che i piemontesi per l'appunto sono stati degli stranieri che hanno compiuto nei confronti dell'italia un ennesimo gesto di colonialismo interno io qui Vorrei solo, poi casomai lo riprendiamo tanto, dire un paio di faccende. I piemontesi si portano verso il sud grazie all'impresa Garibaldina che loro guardavano malissimo e poi sono costretti ad andare giù a stoppare questa storia che sta diventando troppo pericolosa. Il cavur come è noto non è mai andato sotto Firenze e del sud francamente non gliene importava molto. Dopo vi leggerò, perché stavo leggendo ieri sera, per puro caso, la corrispondenza con Cavour di alcuni agenti al sud importanti e la corrispondenza tra Cavour e Vittorio Emanuele II, che raccontano prima dell'unità d'Italia nel 60, mentre i garibaldini sono ancora da quelle parti, che cosa vedono. E qual è la situazione?
Poi ve lo leggo. Questa è corrispondenza intima, non è propaganda politica. Cosa si dicevano questi due? Benissimo. Mi preme di dire una cosa.
Noi adesso siamo di fronte molto spesso a rivendicazioni neoborboniche che dicono che i piemontesi, questo succede a tutti noi, quando andiamo giù da qualche parte ogni tanto qualcuno dice voi e noi stentiamo a riconoscerci. in padri e nonni e trisnonni che avrebbero violato, diciamo così, l'identità, la verginità del Sud. Allora, una cosa che si dice spesso è che il Sud era pieno di danaro e i piemontesi sono andati e si sono fregati la cassa. Allora, anche qui.
I piemontesi si affacciano all'unità d'Italia, Stato sabaudo, con un forte debito pubblico. È verissimo. Tenendo conto di un paio di faccende, che il debito pubblico piemontese è fatto di due grandi voci. Esercito, che è quello che si combatte tutte le guerre di indipendenza, se permettete. Due.
infrastrutture. Qui si aprirebbe un altro discorso che ci porta non a oggi, a domani mattina. Il Piemonte è lo stato più infrastrutturato d'Italia, nonostante le pretese cattanesche, milanesi, eccetera, eccetera. La Napoli Portici è uno sputo di ferrovia fatto per i borboni che non ha niente che vedere con la rete ferroviaria fatta per i borboni.
fatta da Cavour, che è la quarta rete ferroviaria europea nel 1856, quarta in Europa, la prima che apre verso Genova, la prima che si butta verso Milano e che si irradia in tutte le città che poi vanno verso l'Italia e vanno verso la Francia, perché naturalmente i piemontesi oltre a fare questo hanno fatto le strade, hanno fatto i valichi. La rete stradale, la rete, diciamo così, del genio piemontese, è la più ricca d'Italia. Dopodiché, con buona pace di tutti gli altri, compresi milanesi, Torino, nel momento in cui si affaccia all'Italia, è il luogo con il minor tasso di analfabetismo. Milano ha più analfabeti di Torino, la quale è la città.
in Italia ad avere una sua struttura premoderna di comunque scolarità pubblica più alta che in tutto il resto del paese. Chiunque di voi mi insegna che chi più studia è più forte. Tedeschi leggono otto volte quello che leggiamo noi italiani. Guardali lì. È un caso?
Eh, io che faccio l'editore vi dico che non è un caso. Allora, quando i Piemonti si affaccia È fortissimo, certo che è debole finanziariamente, ha un alto debito pubblico, ma vai in uno stato dove c'è una cassa piena di cash, ma non c'è niente, niente. Un'industria, sì, un po'di industria cantieristica, industria delle ceramiche.
Cioè stiamo parlando del confronto eventuale con un posto come Piemonte dove è già nata la metallurgia, dove è già nata qualunque tipo di esperienza di industria tessile, dove quel barlume di rivoluzione industriale che poi porterà ad un 800 particolarmente imprenditivo è già tutto pronto, dove c'è una cultura tecnica. Certo, non c'è la cultura umanistica, non c'è la cultura artistica di Firenze, certo che no. C'è la più sviluppata cultura tecnologica e scientifica che farà sì che Piemonte diventi il luogo con la più forte imprenditoria, con la più forte fabbrica, col più forte reticolo economico produttivo d'Italia. Il polo tecnologico sta esattamente tra Torino e Ivrea e il triangolo industriale. Mettendoci dentro anche la parte lombarda, sta con Torino al centro.
Questa è una storia che non ha niente a che vedere col colonialismo interno. Il colonialismo interno è una, come dire, una butade revanchistica. Se poi vogliamo discutere del comportamento dei piemontesi nel loro spostarsi verso il sud, allora qui il discorso. cambia perché se vogliamo essere onesti dobbiamo dire che le modalità con cui i piemontesi portano gli eserciti al sud non sono esattamente quelle di un vicino particolarmente amichevole ecco cioè i segni di insorgenza al sud vengono repressi in modo brutale su questo tornerei dopo eventualmente per capire, ma lo lascio ad un'altra fase del nostro dibattito, alla fine che cosa dà il Piemonte all'Italia e perché secondo me l'Italia aveva molto da guadagnare dal connubio col Piemonte e non ha saputo sfruttare fino in fondo questa opportunità.
Ne parliamo eventualmente dopo. Vorrei sottolineare un aspetto che hai cominciato a sviluppare, cioè la differenza culturale. Quando hai detto che non aveva una cultura umanistica, perché poi il Piemonte sembra sempre che abbia dovuto presentare le sue credenziali. Come dire, noi non siamo stati, ci dicono che non siamo stati così e non è che potesse effettivamente... portare degli argomenti persuasivi, perché le esperienze caratterizzanti di quell'Italia antica, perché prima ancora c'era l'Italia antica, medievale o rinascimentale, hanno allineato pochissimo.
Però in compenso si è sviluppato quel certo tipo di cultura. tecnologico, scientifico, anche statistico per esempio. C'è il passo che hai scritto tu nella storia del Piemonte che è molto eloquente a questo riguardo.
Sono le reazioni di alcuni di quei famosi esuli, degli esuli non solo meridionali ma anche esuli di altre parti d'Italia. Se sai, riesci tu ad arrivare... è un rinunciato proprio.
Ecco. Arrivare a quelle due pagine della storia del Piemonte, sono il pezzo di Walter. Ecco, non solo da parte di meridionali, ma anche da, diciamo, intellettuali o patriotti, chiamiamoli così, di altre regioni centrosettentrionali. Dicono che, sempre rifacendosi alla consunta metafora dello Stato casermo, dello Stato convento, dove però contano tutto, hanno sempre un modulo pronto, hanno qualcosa per incasellare, per studiare, per mettere in ordine e questo non piace. Sì, questa è una cosa interessante perché questa identità...
appunto organizzata, burocratica e militare e quindi efficiente, prussiana del Piemonte è una cosa verissima e che però va anche messa un po'in prospettiva, cioè dipende da chi guarda. Se ti guarda un toscano, il Piemonte è una regione burocratica con il culto dell'efficienza, dell'organizzazione, dell'amministrazione. Se ti guarda un inglese... E'un paese mediterraneo e arretrato, questa è una cosa che secondo me noi ci pensiamo poco ma vale la pena di rifletterci. Mi fermerei in particolare su un aspetto che in realtà apparterebbe a Walter ma lui l'ha appena menzionato e quindi glielo rubo, cioè l'aspetto militare.
Il Piemonte nel Medioevo e nel Rinascimento, il Piemonte e anche lo Stato sabaudo proprio, non sono... particolarmente brillanti dal punto di vista militare. Ancora nel 400 la cultura militare dei condottieri italiani è di un'altra categoria rispetto alle capacità della nobiltà savoiarda e non è solo e anche Per il fatto che gli stati italiani hanno un sacco di soldi e quindi si pagano i condottieri migliori e gli eserciti più forti.
È proprio una questione di know-how, di saper fare. Quando a Amedeo VIII e a suo figlio Ludovico, nella prima metà del Quattrocento, capita di dover combattere contro gli sforza o i colleoni, contro i veri grandi condottieri italiani, rimangono esterrefatti. Vengono regolarmente sbaragliati e dopo un po'... anche noi medievisti abbiamo le corrispondenze segrete che adesso leggiamo con grande soddisfazione e quindi sappiamo cose che all'epoca nessuno doveva sapere, Amedeo VIII scrive a suo figlio Ludovico dicendo guarda qui se vogliamo uscirne vivi l'unica cosa è assumere degli italiani perché senza degli italiani questa guerra non la vinceremo mai, l'arte e l'abitudine d'Italia sono assolutamente superiori ai nostri.
Le cose cominciano a cambiare un po' quando l'Italia si smilitarizza. L'Italia che nel Rinascimento e ancora nel Cinquecento, nonostante tutto dal punto di vista culturale e anche dal punto di vista degli ingegneri, delle fortificazioni e ai vertici della cultura militare europea, poi però pian piano smobilita. Pian piano i governi italiani spendono sempre meno.
Oggi in storiografia c'è tutta una tendenza giusta a dire beh non esageriamo. continuiamo a trovare ufficiali italiani che fanno carriera al servizio degli Asburgo o al servizio del re di Francia o della Spagna spesso anche generali di grandissimo livello Monti nel 600 e nobili italiani che vanno appunto a far carriera negli eserciti europei ma il punto è proprio quello che vanno a far carriera negli eserciti europei perché ormai gli eserciti italiani sono ridotti al minimo con un'eccezione i Savoia I Savoia spendono di più per l'esercito e tengono in piedi un esercito più forte e questo comincia abbastanza presto. Io mi ricordo un ambasciatore veneziano che scrive parlando di Carlo Emanuele II e quindi siamo intorno alla metà del 600, prima di Vittorio Emanuele Amedeo II che con buona pace dello Spini è il primo che traghetta il Piemonte in Italia. Già al tempo di Carlo Emanuele II c'è un ambasciatore veneziano che dice il signor duca di Savoia fra tutti i principi italiani è l'unico che tiene vive le antiche tradizioni del nostro popolo e cioè il fatto di avere grandi tradizioni militari. Una volta tutta l'Italia ce l'aveva adesso solo il signor duca di Savoia continua a farlo e su questa cosa si gioca tutto, si gioca.
nel Settecento il prestigio di un regno che combatte guerre vittoriose, ottiene grandi vittorie che hanno risonanza internazionale, Torino nel 1706, la Sietta nel 47 e anche dopo nel periodo di pace della seconda metà del Settecento continua a mantenere forze armate minacciose, minacciose se viste da Milano dove ci si chiede continuamente ma se scoppia un'altra guerra non è che ci portano via. Ci hanno già preso Novara, ci hanno preso la Lomellina, la prossima volta cosa vorranno prendere? Appunto, Savoia per esempio è sempre stata una bella cosa.
È lì che nasce già nel Settecento questa idea della politica del carciofo. Ci sono viaggiatori europei che la propalano. Qui si dice che il re di Sardegna si vuole mangiare l'Italia come un carciofo, una foglia per volta. Fin lì è visto come una minaccia, si vuole mangiare l'Italia. La cosa grandiosa che succede per un attimo con Carlo Alberto è che quello che c'era già prima, cioè i piemontesi hanno un forte esercito e prima o poi si mangeranno l'Italia, viene trasformato agli occhi di una parte dell'opinione pubblica come i piemontesi hanno un forte esercito e salveranno l'Italia e aiuteranno noi altri italiani che la vogliamo unificare.
perché la volevano unificare tutti, inutile che ce la contino, tutti quelli che sapevano leggere, fra tutti quelli che sapevano leggere e scrivere, leggevano il giornale, si occupavano di politica, il 90% voleva l'unità d'Italia. Poi c'era quel 10% fatto dai cortigiani, dei borboni o dai cardinali del Papa che non erano d'accordo, ma la grande maggioranza dell'opinione pubblica colta era d'accordo, che non toglie che i contadini analfabeti invece non ne sapessero nulla, ma questo è un altro discorso. Ma, oddio, anche lì, unita sì, però unita la voleva anche Cattaneo, dai, in un altro modo, federale, quello che vuoi, ma unita però comunque, cioè unita o no l'Italia, ecco, questo ce l'avevano in testa tutti, dai, assolutamente. Ora, questo esercito piemontese, cosa significa?
Significa che tu hai speso per secoli di più una porzione di budget, lo dicevi tu, perché il bilancio è in rosso. perché spendi per l'esercito e per gli eserciti bisogna spendere, non c'è niente da fare. E poi significa che devi educare l'aristocrazia all'idea che un giovanotto di ogni famiglia deve fare l'ufficiale e indossare l'uniforme di sua maestà e lo deve fare se l'aristocrazia vuole giustificare i suoi privilegi e significa che perfino il popolo che non ama fare il militare però è rassegnato all'idea che se ti sorteggiano il servizio nel reggimento provinciale lo devi fare e a volte anche qualcosina di più perché il popolo abituato al fatto che tanti ragazzi partono e vestono la divisa è anche abituato all'idea che quando arriva l'ennesima invasione francese arrivano ordini da Torino che dicono adesso formate delle bande partigiane in montagna e combattete l'invasore e la gente lo fa Però durante le varie invasioni francesi del 6-700 vengono proprio formate quelle che sono ufficialmente chiamate nei comunicati governativi bande partigiane che devono attaccare gli invasori, le retrovie, le strade eccetera.
Ora tutto questo negli altri paesi d'Italia c'è molto meno o quasi niente, dopodiché naturalmente visto dall'Europa del nord. Tutto questo è una cosa sempre un po'all'italiana, è quello che dicevo, visto dal resto d'Italia il Piemonte è una specie di Prussia, visto da fuori fino a un certo punto. Gibbon, che è uno dei viaggiatori più divertenti da leggere sulla cos'era il Piemonte e Torino nel Settecento, Gibbon che arriva a Torino e dice sì, è una città molto bella, un po'noiosa a dire il vero, diversa dalle altre d'Italia. E poi va a corte e a corte a Palazzo Regnoale gli viene da dire mamma mia ma quante sale, quanto oro, quante decorazioni, quanti ufficiali, quanti domestici in livrea, se penso a quei montanari savoiardi che pagano tutto questo con le loro tasse, non sapendo peraltro che le tasse erano molto basse nel Regnogno di Sardegna del Settecento ma comunque. Dopodiché Gibbon vede marciare il reggimento guardie.
E devo dire, devo confessare, dice una truppa malmessa, non ho mai visto niente di più scalcinato, ma basta perché nel resto d'Italia non c'è neanche quello, non è la Prussia. Vittorio Alfieri è uno di quei nobili a cui viene detto, giovanotto, i nobili devono fare il militare. Allora si dà un po'da fare e alla fine scopre che sì, fare l'ufficiale in un reggimento provinciale non è quella gran fatica. lo dice testualmente nelle sue memorie, alla fine ho accettato il posto da ufficiale nel reggimento d'asti perché offriva una grandissima possibilità di non far niente. Mentre quando va in Prussia e trova un vero regno militarista, Alfieri rimane inorridito.
Quella è la universal caserma e dalla Prussia Alfieri scappa di corsa, segno che il Piemonte non era proprio la stessa cosa diciamo. E però... E però appunto per l'Italia basta, il Piemonte ha un esercito, combatte quanto basta al tempo della rivoluzione francese, le prende sì ma ci mettono anni per smontarlo comunque e poi deve arrivare uno che si chiama Bonaparte per riuscire a sfondare davvero la resistenza e arrivare a Torino.
E a quel punto però naturalmente la nobiltà piemontese una volta che il Piemonte viene annesso all'impero francese... si arruola negli eserciti di Napoli. Gli eserciti di Napoli sono pieni di giovani ufficiali, pieni di italiani in genere, ma specificamente tutta una generazione di giovani nobili piemontesi fa il suo apprendistato nella cavalleria napoleonica. Non è un esercito invincibile, anzi quando andiamo alla prima guerra di indipendenza si scopre che è un esercito invecchiato, ecco, che non ha capito tante cose, che ha pochissima fanteria leggera, che non ha cavalleria leggera, capite? E'un esercito e non vedi niente, non capisci niente, è un disastro.
Però ci sono le basi per imparare. Nei dieci anni, fra la prima e la seconda, si imparano un sacco di cosine. Si introduce la cavalleria leggera, si moltiplicano i bersaglieri, si svecchiano i quadri, si riducono gli organici, prima avevamo battaglioni pesanti, reggimenti pesanti, insomma, si fanno un sacco di cose. Perché la tradizione militare vuol dire anche quello, tu puoi aver lasciato un po'decadere le cose, ma se hai delle radici poi le tiri fuori.
E così come dal punto di vista militare, dal punto di vista amministrativo e burocratico. Non badate dal punto di vista, per esempio, della legislazione. Una delle cose che succedono quando viene unificata l'Italia è che si estende la legislazione piemontese e nello stesso Piemonte c'è più di uno che dice, Massimo D'Azeglio lo dice, ma anche altri, abbiamo fatto malissimo.
Le leggi napoletane erano ottime, avremmo fatto meglio a prendere quelle. E poi però invece appunto è la burocrazia, la burocrazia che per qualcuno vuol dire noi a fatica, registri, questi scrivono tutto, un sacco di scartoffie, però questo sacco di scartoffie è ciò che fa del nuovo Stato italiano uno Stato che può permettersi di far finta di essere l'ultima delle grandi potenze europee, diciamo ecco. Poi ci si crede fino a un certo punto ma quasi ci siamo. Vorrei chiudere però ribadendo, perché è una cosa che ho incontrato di recente e mi ha molto colpito, che noi dobbiamo stare molto attenti appunto quando parliamo di un Piemonte che nell'Ottocento è di gran lunga lo Stato, l'amministrazione, l'esercito più organizzato ed evoluto, il fatto che guardati dall'estero questa gran differenza loro non la vedevano, poi in particolare quando parli del paese più evoluto del mondo, cioè l'Inghilterra.
Ecco, i confronti con l'Inghilterra fanno male al cuore effettivamente, perché ti accorgi proprio che è un'altra categoria, probabilmente era solo l'Inghilterra che era così, però io penso a Quintino Sella, che quando fa il suo primo soggiorno abbastanza giovane, negli anni 40 mi pare, a Londra, ed è... membro di una grande famiglia di industriali quintino sella da londra scrive a casa dicendo qui è complicato vivere a londra pensate che bisogna cambiare mettersi una camicia nuova tutti i giorni e certe volte due volte al giorno e bisogna farsi la barba tutti i giorni per andare in società sono cose dice quintino sella che io non mi sarei mai immaginato e uno a quel punto si immagina l'inglese che viene in italia cosa vede E non è che attraversando il Piemonte vede cose molto diverse. Chiudo dicendo che ho queste cose in testa perché ho letto di recente quel librino di Antonio Gallenga, esule piemontese d'adozione, lui era di Parma mi pare, ma comunque piemontese d'adozione, esule a Londra a metà ottocento, che scrive un fantastico libro che si intitola Country Life in Piedmont, quindi la vita di campagna in Piemonte, per raccontare cos'è il Piemonte al pubblico inglese.
E questo libro è un libro caloroso, pieno di cose, ma il tono fondamentale è di dire agli inglesi non spaventatevi, lo so che troverete un paese che vi sembrerà arretrato, sporco, in ritardo su tutto, le strade sono un disastro, gli alberghi da terzo mondo, il popolo è ignorante, pigro, non si muove, ecco, però sappiate che in realtà è un po'meglio del resto d'Italia intanto. E che poi questi piemontesi sono in realtà pieni di buona volontà, possono imparare, ecco, un giorno diventeranno qualcosa. Però visti dagli inglesi, ecco, devo dire che è una cosa che ti rimette subito, ti fa passare gli entusiasmi, diciamo. Passerei la parola ancora a Walter per concludere, avevi ancora qualcosa a dire?
Ma sì, direi... poche cose, cioè in fondo questa recriminazione di alcuni italiani nei confronti del... Il Piemonte e delle sue tradizioni mi sembra ingeneroso per almeno due o tre motivi. Cosa porta il Piemonte all'Italia?
Allora, cominciamo dalle cose molto serie, che tra l'altro ci raccontano come e perché Torino fosse la capitale che ha ospitato tutti e i diversi... Movimenti politici culturali finalizzati all'unità nazionale. Nel 1848 a Torino viene promulgato lo statuto, una costituzione. In nessun altro luogo d'Italia c'è una costituzione che garantisca libertà di associazione, libertà di stampa, libertà di culto. Non sono cose da poco.
E infatti, nel giro di dieci anni, a Torino arrivano qualcosa come 45.000 persone, cioè l'equivalente degli abitanti della città, tra città e circondario. Vale a dire, tutti gli intellettuali napoletani, romani, vengono a Torino. Garibaldi viene a Torino. Quindi Garibaldi viene a fondare la sua associazione nazionale a Torino perché è l'unico posto dove può pubblicare un giornale, dibattere senza essere messo immediatamente in galera a certe condizioni. Certo Mazzini no perché Mazzini veramente è troppo anche per i Savoia quindi Mazzini se ne sta sempre a Londra dove parla.
con Charles Dickens e qui non ci viene, lui è condannato a morte Mazzini, ma non solo dai Savoia, non c'è stato italiano che non abbia su Mazzini una taglia. Ma a parte questo Torino ospita l'intelligenza politica, culturale italiana. A Torino si fa il primo dizionario di italiano.
che non è fatto da un piemontese, però stava qui perché era un intellettuale. Cioè tutti i vari, i Tomaseo ed intorni stanno qui. Tutte le targhe che vedete in giro, qui, qui, abitò, sono tutti gli italiani che vengono qui. Questo non è un lascito da poco, lo statuto albertino dura fino al 27 dicembre 1947, data di promulgazione della Costituzione italiana, che viene... come dire, in funzione il primo gennaio del 48. Certo in mezzo ci sono stati vent'anni di fascismo che la Costituzione Albertina l'hanno calpestata in lungo e in largo, però all'Italia questo secondo me è un lascito di enorme importanza.
Due, la legge Casati è una legge piemontese. ed è la prima legge italiana che prevede il telaio di una scuola pubblica. Certo, ci vorrà la legge Coppino del 77 per, diciamo così, sancire l'obbligatorietà della scuola primaria.
Però, intanto, un'idea di apparato pubblico di istruzione generale parte dal Piemonte. Questa non è una cosa indifferente, noi oggi siamo un paese debolissimo sotto il profilo delle strutture dell'educazione, della formazione, della ricerca e scusate se è poco quella cosa il Piemonte la trasferisce all'Italia. Poi stiamo a vedere quando mette radici una scuola pubblica primaria in Italia, in realtà fra la fine dell'Ottocento e i primissimi del Novecento. Perché?
Perché l'Italia fa fatica ad adeguarsi e perché il Piemonte preferisce un altro tipo di scuola. Vale a dire, in Piemonte al nord, dopo il 1861, la scuola che andrà per la maggiore è una scuola professionale, perché nel frattempo il Piemonte si prepara a diventare un luogo industrialmente importante e ha bisogno di maestranze specializzate. tecnicamente da usare nelle fabbriche privato e pubblico perché poi qui si aprirebbe un altro discorso che il modo con cui la chiesa sta in piemonte che non è la stessa cosa di come sta in calabria don bosco è diverso al cardinale ruffo e anche questo come dire fa parte se mi permettete un termine un po così di un genius loci.
Le scuole operaie dei cattolici sono importanti. Sono importanti tutte quelle scuole che fanno parte del telaio pubblico piemontese. Terza questione.
L'esercito. Si è parlato dell'esercito. In un saggio di Alessandro Barbero di alcuni anni fa c'è una citazione di una cronaca medievale che riporta il giudizio sugli italiani, se non vado errato, che dice che sul piano della loro capacità militare gli italiani non valgono niente perché sono cacarelli e merdacoli.
Se la fanno sotto, riporta lui, io cito la fonte. E questa cosa non è che venga detta allo stesso modo ovviamente i piemontesi, tanto che la loro fama diventerà tutta un'altra. Però guardate, adesso si capisce con gli occhi di oggi, è tutta un'altra faccenda.
Però uno degli aspetti unificatori dell'Italia, oltre alla scuola, è il telaio costituzionale. è l'esercito, perché dal Piemonte arriva la coscrizione obbligatoria, naturalmente farà una fatica bestiale ad imporsi in regioni che poi naturalmente cercheranno in ogni modo di sfuggire a questa realtà. Detto tutto questo, se noi andiamo a vedere dove sono le prime prove di una sensazione di appartenenza ad un telaio nazionale...
Ce l'abbiamo con la prima guerra mondiale. Perché? Perché è la prima volta che l'Italia mobilita con una stessa uniforme 5 milioni di persone. Questi 5 milioni di persone, al di là di tutte le storie drammatiche o retoriche sulla trincea, sul fango, sulle morti, sulle mutilazioni, su quello che volete, sono 5 milioni di persone che per la prima volta si staccano dai loro villaggi della Sicilia, del sud, del nord, di dove volete e si ritrovano uno accanto all'altro.
Al di là della retorica questa cosa qui è una cosa profonda, talmente profonda che questa esperienza di guerra... che in realtà non si iscrive in un'epica leggendaria, si iscrive in 650.000 morti, 2 milioni di feriti e di mutilati. Cosa fa?
Fa la prima storia iconografico monumentale italiana, vale a dire che dopo la prima guerra mondiale non c'è un paese, un villaggio, un luogo di 10 persone dove non ci sia un cippo, dove non ci sia un pezzo di marmo, un pezzo di bronzo. che ricorda i morti che sono morti nel corso della prima guerra mondiale. Questa è la prima prova di una italianità, sia pure vissuta nel cordoglio, vissuta nel lutto, però che unifica fortissimamente persone che prima, al di là di ogni ispirazione dei colti, si sentivano divisi gli uni con gli altri. Questa cosa qui non è una cosa indifferente. Perché?
Perché in definitiva il Piemonte, portando un apparato giuridico costituzionale, portando l'idea di un'istruzione pubblica e portando l'idea di un servizio alla nazione attraverso la difesa, regala l'idea storica, profondissima, che già avevano tutti gli altri grandi stati europei, di che cosa sia stare insieme in un telaio che si chiama Stato. Cosa che ancora oggi gli italiani, genericamente intesi, mi sembra che si rifiutino di capire. Il Piemonte ha provato ad insegnarglielo. Non siamo stati così bravi.
Vorrei aggiungere una cosa. E poi lasciamo spazio alle domande. Non è un caso che dopo lo sfacelo dell'8 settembre proprio in Piemonte si, diciamo, nascano delle formazioni resistenziali guidate da militari che avevano prestato giuramento al re. E quindi in un modo o nell'altro malviste sono qualcosa che arriva di là in sostanza.
Ci sono ancora una ventina di minuti per la discussione, se qualcuno ha domande da fare. No, no, no, non necessariamente. Poi ovviamente quando uno invece ha il microfono in mano a quel punto ti viene subito in mente qualcosa da dire. Non so, il tema su cui io avevo scritto questa paginetta che tu hai messo così in exergo del nostro incontro era proprio il tema di come immediatamente dopo l'unificazione italiana si diffondono le maldicenze contro i piemontesi sostanzialmente.
che sono riprese anche da Massimo D'Azeglio il quale a un certo punto lo dice noi piemontesi abbiamo unificato l'Italia e come ricompensa siamo venuti in tasca dice lui a tutti gli italiani, siamo diventati antipatici a tutti. Dopodiché devo dire che io non me ne sono mai occupato molto ma non credo che questi sentimenti vadano molto al di là di un po'di pettegolezzi o di battute in quei decenni. Perché in realtà la spinta ideale a unificare il paese è molto forte.
Cioè le classi dirigenti e le classi colte sono molto lanciate sull'idea anche l'Italia è diventata una potenza ed è l'Italia che vedono. E giusto mi sembra nella cultura, nel mondo intellettuale meridionale che c'è qualche grande intellettuale, Nitti per esempio, che... continua a riflettere sul fatto che l'unità è stata fatta male, che il sud poteva essere valorizzato di più e così via e poi naturalmente ci sarà poi il grande dibattito marxista sull'unificazione insufficiente, mancata, limitata, ma non mi sembra che nell'Italia di fine ottocento e di inizio novecento e poi a maggior ragione con la prima guerra mondiale e col fascismo E poi a maggior ragione in realtà dopo la resistenza e la Regnopubblica si respirasse quel clima di qui l'unificazione non c'è stata veramente, vorremmo essere da un'altra parte, stavamo meglio separati e così via.
Mi sembra che sia un tema che è entrato nel dibattito pubblico giornalistico ma anche politico con molto più impatto negli ultimi decenni, prima quasi non c'era. Così come adesso... E buffo, col passare del tempo nella vulgata arretra sempre di più o avanza sempre di più verso di noi l'epoca in cui si è cominciato a parlare italiano.
Una volta si diceva se non altro con la prima guerra mondiale, l'esercito, la coscrizione si è cominciato a parlare italiano. Adesso senti gente che ti dice ma fino agli anni 50 con la televisione nessuno parlava italiano. In realtà poi leggi le testimonianze.
i diari, le lettere, qualunque cosa sull'Italia della prima guerra mondiale per esempio e vedi benissimo che l'italiano si arrangiavano a parlarlo tutti, poi a casa si parlava il proprio dialetto naturalmente ma l'italiano non era affatto una cosa estranea, oggi più che in passato c'è un compiacimento di dire ma in fondo questo paese non è mai stato veramente unito e così via, a me tutto sommato non sembra che sia così, mi sembra che invece tra 8 e 900 e fino alla metà almeno del 900 l'idea di un'Italia unita fosse molto più forte di quanto non lo fosse la sensazione delle differenze. Poi ci sarebbe anche a dire un'altra cosa, che noi oscillavamo fra diversi modelli europei e se un modello era la Francia con la sua unificazione totale anche a livello linguistico, l'inesistenza di qualunque autonomia, la scomparsa dei dialetti, Dall'altra c'era e c'è tuttora la Germania che è un paese profondissimamente diviso in regioni con una loro identità, un loro dialetto, una ostilità reciproca che non è sparita neanche adesso ma che all'inizio del Novecento era fortissima. Nella prima guerra mondiale si incontrano racconti di ospedali bavaresi che rifiutano di ammettere i feriti prussiani. E tuttavia i tedeschi riuscivano a fare questa cosa che dal punto di vista italiano è miracolosa, cioè tenere insieme delle fortissime identità, diciamo in virgolette regionali o statali in realtà alla fine, dialettali e così via, senza che nessuno si sogni di dire che per questo non siamo tutti tedeschi e che la Germania non si muove tutta insieme come un carro armato.
Ecco questa cosa qui noi italiani invece effettivamente è... In questa fase sembrerebbe che non siamo tanto riusciti a farla. Direi a questo punto che possiamo lasciare spazio a domande e curiosità. Prima di tutto confesso di essere profondamente piemontese e ci tengo e ho l'orgoglio proprio, lo dico in tutte le forme, le salse e le occasioni.
Però sposo proprio quello che ha detto adesso il professor Barbero e lo ringrazio perché mi ha dato un ulteriore aiuto. Del resto sono piemontese quanto lei. Di questo principio che è bella.
quello che è il principio europeo della sussiderietà, cioè del valore locale, della cultura locale e dell'identità anche locale, però noi che siamo una comunità di eredità, che quindi ereditiamo tutto quello che ci circonda attorno e dobbiamo avere dei valori importanti, sentirci italiani è sicuramente profondamente importante e che supera qualunque regionalismo o localismo locale. E a questo allora faccio una domanda proprio... perché mi porti una testimonianza, se può, al professor Barbero su questo. Luigi ha fatto una mostra che per me è stata il simbolo del 2011 fare gli italiani. Cosa ha riportato da quell'esperienza di quella mostra e di come l'hanno vissuta quelli che sono passati lì dentro in quell'anno specialissimo che è stato per Torino e per l'Italia?
Ma quella è stata un'esperienza straordinaria. Perché nessuno di noi, quando ha concepito quella mostra, che naturalmente può essere discussa in mille modi, può essere criticata in mille modi, si immaginava che a Torino, per quanto le celebrazioni avessero sottolineato la centralità del luogo, la storicità del luogo, eccetera, eccetera, sarebbero arrivate tante persone a vedere non una mostra d'arte perché là dentro non c'era niente che avesse, sì c'era in realtà un cubetto con alcuni importanti dipinti che avevano una caratteristica unificante, cioè erano stati dipinti da patrioti. Quindi il senso di quella piccola raccolta di quadri, alcuni enormi, era quella di dire Qui dentro c'era una militanza artistica che andava di pari passo insieme ad una militanza, diciamo così, di carattere politico patriottico. A parte quello, tuttavia, che era giusto, diciamo, la seconda delle tappe di quell'esposizione, tutto il resto era fortemente evocativo di una storia italiana, vista sotto diversi profili, che tendeva a sottolineare una cosa. non era una storia d'Italia, che allora avrebbe potuto essere discussa e allestita in mille altri modi.
Tentava di dire a chi avesse voluto osservare quel tipo di percorso quali erano stati, secondo i curatori, io d'accordo, ma Giovanni De Luna insieme con me, e una squadra, devo dire, di storici con i quali abbiamo lavorato e con i quali ci siamo... confrontati per quattro anni prima quali erano stati i punti di unificazione questa che era una mostra che bene o male doveva ricordare i 150 anni dell'unità a noi era parso che potesse trovare un filo logico indicando un percorso che era quello dei punti che avevano tenuto insieme sottolineandone alcuni che viceversa, secondo noi, avevano costituito e forse costituiscono ancora dei momenti di assoluta criticità. C'era un'area in cui si prendevano in considerazione i grandi delitti di mafia e insomma questo è un punto debole della storia italiana. Certo su alcuni siamo stati particolarmente fortunati.
Sono arrivate 500.000 persone, la mostra è stata prorogata di altri sei mesi. È chiaro che è stato un successo insperato, ma devo dire personalmente, io non l'ho vissuto come una soddisfazione personale, una specie di gratificazione, perché poi alla fine carneade chi era costui, cioè chi andava a vedere la mostra, non è che sapesse che io e De Luna eravamo i De Ex Mazzini di questa grande pensata. In realtà quell'allestimento tra l'altro era stato fatto da un milanese molto bravo, che poi purtroppo è subito mancato due anni dopo. E va bene.
Però era una mostra che naturalmente aveva una sua capacità evocativa. Suggeriva delle cose. E naturalmente le sue aree forti, io ricordo che l'ho percorsa allora per motivi d'ufficio col Presidente della Regnopubblica, col Presidente del Consiglio che allora era Monti e naturalmente Monti era un uomo di freddezza assoluta ma per fortuna era accompagnato da una moglie più desiderosa di dialogare eccetera eccetera e altre persone. Tutti rimanevano abbastanza stupiti da questa...
come dire, innervatura di una storia italiana che aveva trovato punti di unità, alcuni dei quali effettivamente, per esempio, molto piemontesi. Qui lo dico perché è chiaro che quando noi parliamo di prima guerra mondiale, faccio per dire una cosa che è stata detta prima, parliamo di una situazione anche dove l'affaccio di queste persone che io prima ho detto si conoscono, si... si guardano, si toccano, vivono insieme, ahimè, si feriscono insieme, muoiono.
C'è un aspetto, la quantità di analfabeti è altissima, ma c'è un'esigenza, di nuovo per la prima volta, una vera esigenza, che è un'esigenza di scrittura. Perché? Perché tutta questa gente è lontana da casa e c'è un'esigenza di scrittura da parte dei soldati che vogliono scrivere alle famiglie e c'è un'esigenza di scrittura da parte delle famiglie che vogliono avere notizie dai soldati. Se non che questa è una situazione difficile perché gli alfabetizzati a questo livello così basso dei soldati più semplici e più umili è un problema. Qualcuno li istruisce.
Sta di fatto che tra il 1915 e il 1918 le poste italiane movimentano tra il fronte e le città. E dalle città al fronte, scorporata l'altra corrispondenza, diciamo così, privata, due miliardi di pezzi. Cartoline, lettere, biglietti eccetera. Due miliardi di pezzi sono una quantità di scrittura impressionante che noi oggi abbiamo in larga misura depositati in archivi meravigliosi che ci permettono di avere sì come si dice le testimonianze dal basso perché noi molta di questa letteratura diciamo epistolare ce l'abbiamo a disposizione che ci dà delle informazioni strepitose su tante.
delle questioni che possono essere interessanti per fare una storia della Prima Guerra Mondiale. Ma intanto fanno la storia d'Italia, perché da lì in avanti la gente scrive. Un'altra cosa che io riconduco al Piemonte e che mi piace ricondurre al Piemonte, perché anch'io ho i miei, come dire, punti deboli e sentimentali. E'la fabbrica.
Tutta quella tecnologia e quell'apparato scientifico che cresce dalla fine del settecento in avanti è la premessa della grande fabbrica fordista è chiaro che ford e ford però in italia gli unici a importare ford stanno qui fanno le automobili e ci fanno tutte le industrie che come dire corredano la grande industria principale che fa da perno la grande industria è un centro di saperi impressionante, ma è anche un grandissimo centro di italianità, perché arrivano da tutte le parti. Arrivano da tutte le parti. È chiaro che l'industria, insieme con questa, tra virgolette, unità d'Italia, messa dentro i grandi capannoni industriali, si porta dentro anche il conflitto.
È del tutto evidente, ma questo era già evidente nella rivoluzione inglese, quando nasceva il Cavour. quando nascevano non solo i sindacati, le unions, questo vale per l'Italia, il conflitto è l'altra faccia, starei per dire, sostanziale. Ma io mi permetto di aggiungere una cosa, quel conflitto era talmente corroborato da una cultura colta del conflitto che Torino non solo era, per così dire, il luogo della grande aristocrazia tecnologica e produttiva, ma come è stato detto in mille modi, Era anche il luogo della più grande colta aristocrazia operaia.
Tutta questa roba qui è roba di questo contesto. E questo contesto, secondo me, in quel momento ha dato moltissimo, moltissimo all'Italia. moltissimo ecco la presentazione di questi problemi adesso non andiamo nel dettaglio è stata ampiamente apprezzata il pubblico guardava queste cose le guardava con grande interesse ci spazio ancora per una domanda Massimo Firpo e Diego Novelli giusto per mettere qualche riserva su questo di montesità così osannata di questo, negli ultimi interventi avrei alcune osservazioni nella pagina precedente c'era quella pagina del libro di Alessandro Barbero dove si diceva una cosa molto diversa da quello che diceva Walter prima in relazione alla Piemonte, al Torino dopo 1848 come centro di grande cultura mentre lì si leggeva una frase del Sanctis che scrive una lettera per cui siamo ingegnati In Giappone siamo impaludati nella miseria culturale.
Questo mi piacerebbe sapere di più su questa così radicale diversità di opinioni fra i due relatori. C'è due punti che vorrei richiamare, se non altro come spunto di riflessione. Walter ha detto che la dinastia Sabauda ha questa eccezionale continuità.
Certamente è vero, ma questa continuità, mi permetto di osservare, è una continuità che conosciamo ex post. Perché un cittadino che cercava di fare un contratto per comprarsi un titolo nobiliare nel 1706 dal duca, mica lo sapeva che le cose sarebbero andate in un certo modo e quindi molto più probabilmente sfruttava un momento di debolezza della monarchia per avere un contratto molto favorevole. la gente si fidava della durata della monarchia e che i Savoia sono una monarchia hanno un esercito, cioè hanno gli strumenti della mobilità sociale, la nobilitazione i parlamenti, la nobiltà di Toga e la nobiltà di Spada attraverso le condizioni che tu hai descritto, questo è un punto essenziale che è un punto essenziale di diversità dalla storia d'Italia, che la storia d'Italia a parte i regni meridionali abbandonati alla loro feudalità, non è una storia che ha una continuità dinastica anche se i Medici furono abbastanza lunghi nel corso...
ma una continuità di governo di patriziati urbani. Questa è la sostanza. Le città italiane, la centralità di città, ha ereditato il governo dei patriziati. Un collega mi diceva una volta che, sarà dieci anni fa o vent'anni fa, i nomi dei cinque contribuenti più ricchi di Firenze portavano cognomi tutti nominati da Dante Alfieri. Questa è una continuità significativa della storia d'Italia.
E un ultimo punto, molto sommariamente. Vero, immagino che la vita delle trincesi è stato anche un calderone in cui si sono fusi identità diverse. Ma su un punto credo di poter esprimere un dissenso da quello che ha detto Walter.
Non credo che le gerarchie sociali e politiche di quegli anni insegnassero a quei poveri cristi che mandavano al massacro. Non gli parlavano di Stato, gli parlavano di patria. Ed è un'altra cosa e questo spiega anche le conseguenze che tutto questo, l'uso che fu fatto di questa...
retorica, patriotà nelle conseguenze del dopoguerra italiano. Grazie. Posso rispondere io per il pezzettino che riguarda questa pagina? Secondo me però Massimo non c'è in realtà contraddizione in questo caso perché qui abbiamo un giudizio di De Sanctis che è uno di quei 40.000 che emigrano a Torino, lui viene da una Napoli dove evidentemente era abituato a discutere di filosofia e di letteratura e di diritto E arriva a Torino e non trova nessuno con cui parlare di queste cose e quindi scrive a casa dicendo qui è il Giappone.
Però poi prosegue, tutte queste scuole meccaniche, lì sta tutto. La cultura di cui parlava Walter credo che sia la cultura delle scuole meccaniche, che ti impedisce probabilmente di fare la filosofia di Giambattista Vico, ma ti permette di fare la Fiat. Dopodiché l'Italia credo che sia nata da entrambe le cose ma insomma comunque in questo caso mi sembra che appunto non sia proprio una contraddizione. E ultimissima cosa, è vero, il Piemonte ha una nobiltà diversa da quella veneziana o fiorentina che è fatta di patrizi che hanno ereditato per secoli e secoli un ruolo di governo nelle loro città, è una nobiltà fatta di gente.
che ha fatto i soldi trafficando in tutti i modi nel 400 e nel 500, appalti, forniture militari e cose del genere, e che poi a un certo punto si è informata se bastavano 5.000 scudi per diventare conte. e normalmente il duca diceva sì bastano, come ti chiami? Benso, cosa vuoi diventare? Marchese di Cavour, va bene, marchese sono 7.000 scudi e l'uomo d'affari chi è reso e date citato era il trisnono del conte di Cavour naturalmente, quindi in realtà è vero che è una formazione, questo non è tanto italiano, è vero è una cosa un po'diversa, però poi su quell'aristocrazia i Savoia hanno basato appunto i quadri del loro esercito e della loro amministrazione.
Ma voi non avete ancora risposto per la Fiat? Scusa un attimo così mi... Come mai Torino è diventata una città industriale? Il mito è perché è nata la Fiat.
Non è affatto vero. Torino è diventata una città industriale quando... Con un colpo di mano si decide il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, tant'è che succede la prima strage di Stato avviene a poche centinaia di metri da questa piazza. Quando i torinesi scendono per protestare contro...
La negazione che aveva fatto l'allora Presidente del Consiglio che non si voleva trasferire la capitale mentre avevano già preso l'accordo con Napoli III e addirittura avevano già firmato. Nasce Torino Industriale perché è il sindaco di Torino. il Marchese Luna di Rorà lancia un appello a tutti i finanzieri, a tutti i grandi capitali europei di venire ad investire nella nostra città.
Ed è un testo bellissimo leggerlo ancora oggi, questo appello, che è del 1866. Prima ancora, cioè anticipa le conseguenze del trasferimento della capitale, perché sa che tutta una parte della burocrazia sarebbe stata trasferita e quindi la città si impoveriva. Ora, mandano questo appello e ci sono tre incentivi. Il primo è che i torinesi...
sono laboriosi il secondo non hanno grilli per la testa perché c'erano già in Inghilterra le prime organizzazioni sindacali eccetera eccetera terzo perché si offriva gratuitamente l'energia alle fabbriche a chi veniva investita l'energia idraulica grazie perché Torino aveva tanti canali d'acqua e quindi si potevano attaccare lì. E lì arrivano i primi, gli Angeli Fruga e tutti gli altri, i francesi, e nel giro di pochi anni nascono a Torino decine di piccole fabbriche, di piccole aziende, perché la FIA adesso, per carità. non vuole essere, arriva poi nel 99, cioè alla fine del secolo, mentre lo sviluppo industriale di Torino, cioè la nascita dell'industria a Torino e quello che si dice poi la vocazione industriale, è almeno 30 anni di anticipo su quello che poi porterà tutto lo sviluppo industriale della città. Per dare merito al comune, scusate non ne parlo.
Io sono d'accordo. Rilevo le osservazioni di Massimo Firpo e vorrei dissipare dei dubbi. È chiaro che in queste occasioni si assumono dei toni e si...
intonano dei discorsi, ma se poi scendiamo nel dettaglio. Allora, la tua prima osservazione, ma io la condivido, è ovvio che è il sistema complessivo del telaio statuale e sociale che permette di avere fiducia, ma permette anche di avere fiducia nel fatto che quel telaio lì tenga in piedi la monarchia. Non è che questi si immaginano che dopo domani i Savoia chissà che fine fanno, si immaginano che in virtù del fatto che ci hanno portato quel telaio lì, i Savoia lì, è verosimile che rimangano e questo è una buona motivazione per i contratti. Invece è giusto dissipare una... Immagine che va un pochino articolata.
Io non ho sostenuto che Torino al 1848-50-55 è il luogo più colto d'Italia. Dico che Torino in virtù dello statuto ospita il maggior numero di intellettuali che qui vengono ad animare una città che altrimenti era stata giudicata appunto... un luogo abbastanza smorto. Se vogliamo entrare nel dettaglio, possiamo anche dirci che i meno entusiasti dell'unità nazionale erano proprio Vittorio Emanuele II e, per certi versi, Cavour.
E se vogliamo fare un passo in avanti, dobbiamo dirci, così, una cosa che sappiamo tutti, che tra Cavour e Vittorio Emanuele II correva. Un tale sangue cattivo che Vittorio Emanuele II, che parlava in piemontese, adesso voi mi darete licenza perché io dico una volgarità, ma tra virgolette. Quando Vittorio Emanuele II per la prima volta riceve la proposta che Cavour diventi presidente del Consiglio, dice in piemontese ai suoi. Mi chieli an piasne, perché mi uludio ad es, chieli an lo fica a tutin tal pronio, pronio sta in antico gergo per.
Allora, questo è agli atti, è scritto, perché tutto rimane, gli archivisti sono meravigliosi da questo punto di vista. E quindi questo era il sangue che correva fra di loro. Detto questo, Torino ospita la maggior parte degli intellettuali che sono venuti qui, che certo non trovavano che fosse il luogo migliore del mondo, non lo trovava neanche Cavour, che per l'appunto conosceva benissimo l'Inghilterra, ma è qui, caro Diego, che arriva in Piemonte, oltre a quello che c'era, una grossissima cultura di carattere...
organizzativo e produttivo moderno. Cavour, che era anche uno che badava gli affari suoi, l'ha applicata nella sua agricoltura del riso, nella tenuta di Leri. Cavour ha fatto il canale. Cioè tutti questi arrivano e investono perché ci sono le condizioni infrastrutturali per farlo.
Quelle che oggi non ci sono. Quando uno dice, perché non vengono qui? Perché la burocrazia, perché le leggi, perché...
Per tutte le cose che noi sappiamo tutti i giorni. E invece allora queste condizioni c'erano. La Fiat non è che l'ultimo, diciamo, dei grandi gesti di una cultura industriale, però è difficile negarle quel posto che ha fatto qui, non a caso, un altro dei luoghi della cultura novecentesca importante, perché su quella roba lì ragionano Gobetti, ragiona Gramsci, ragiona Luigigi Sabauda.
Ci sono momenti di pensiero veramente straordinari che non a caso stanno qui, come non a caso il grande settecento illuminista stava a Milano e stava a Napoli. Con questa sospensione vi saluto.