Nella lezione precedente abbiamo discusso delle biotecnologie definendole come l'insieme delle tecniche che utilizzano organismi o parti di essi per ottenere delle sostanze dei prodotti che possono essere utili per l'uomo per migliorare le caratteristiche di piante alimentari e animali o ancora per ottenere microrganismi utili per scopi specifici. Nell'ambito delle biotecnologie un ruolo di primaria importanza viene rivestito dall'ingegneria genetica, argomento di cui ci andremo ad occupare in questa lezione. Il termine ingegneria genetica fu introdotto dal biologo statunitense Hotchkiss nel 1965 e si riferiva a quell'insieme di tecniche attraverso le quali era possibile trasferire nella struttura della cellula di un organismo vivente alcune informazioni genetiche che non erano presenti in essa. Per ingegneria genetica oggi si intende quello specifico settore delle biotecnologie che utilizzando tutte quelle tecniche di laboratorio in grado di isolare e manipolare in vitro molecole di DNA consentono di modificare in maniera stabile e in modo mirato il patrimonio genetico di un organismo creando in tal modo un organismo geneticamente modificato. Tutto ciò è reso possibile grazie a tre principi, quali l'universalità del codice genetico, lo sviluppo delle tecniche di amplificazione genetica e la scoperta degli enzimi di restrizione, le cosiddette forbici molecolari.
Sfruttando infatti l'universalità del DNA come molecola di trasmissione dei caratteri, noi sappiamo benissimo che il codice genetico è unico per tutti i viventi, ovvero il linguaggio con cui è scritto il mio DNA risulta identico al linguaggio con cui è scritto il DNA di un qualsiasi essere vegetale, per esempio di una mela, di un batterio. Quindi un enzima che sa leggere e duplicare il mio DNA saprà allo stesso modo leggere e duplicare il DNA della mela o di qualsiasi altro organismo vivente. Conoscendo inoltre e avendo approfondito le tecniche per ampliare un filamento di DNA e avendo scoperto degli enzimi, cioè delle proteine che riconoscono specifiche sequenze di DNA utilissime e fondamentali per far avvenire questo processo, gli scienziati hanno imparato a inserire geni selezionati di un determinato organismo nel patrimonio genetico di un altro organismo appartenente o alla stessa specie o anche appartenente a specie diverse.
originando in questo caso degli organismi geneticamente modificati. Nello specifico si parla di cisgenici o transgenici. Ne sono un esempio le colture microbiche in grado di produrre sostanze come l'insulina, l'interferone, l'ormone della crescita o di produrre vaccini o ancora reagenti immunologici ed enzimi industriali ecc. Il primo farmaco ottenuto ingegnerizzando un sistema vivente, in questo caso un batterio, è stato proprio l'insulina nel 1982. La premessa fatta è utile per introdurre il concetto di tecnica di DNA ricombinante.
che è proprio la metodica sperimentale attraverso la quale si potrà ottenere un organismo geneticamente modificato in campo biometico, in campo agricolo, chimico, zootecnico ecc. Per tecnica del DNA ricombinante intendiamo quindi l'insieme delle tecniche di laboratorio che consentono di manipolare il DNA isolandolo e tagliando brevi sequenze di DNA per poterle poi trasferire e inserire nel genoma di altre cellule. in maniera tale da modificare uno o più geni. Questa tecnologia permette interventi mirati che vanno a modificare in maniera specifica solo i geni dei caratteri su cui si vuole agire.
Inoltre ancora, le metodologie moderne consentono di trasferire DNA non soltanto tra individui della stessa specie, ma anche tra individui di specie diverse, spesso molto differenti l'una dall'altra. Si possono, per esempio, trasferire geni da un batterio a una pianta o introdurre in un batterio un gene proveniente da una cellula eucariota. Gli scopi di questa operazione possono essere diversi quali per esempio determinare un miglioramento genetico nell'individuo ricevente per esempio una maggiore resistenza agli attacchi parassitari o utilizzare l'organismo ricevente per clonare il gene introdotto e servirsi della cellula ospite come fabbrica per la produzione di molecole utili.
Il clonaggio dei geni è una delle principali applicazioni della tecnologia del DNA ricombinante che si inquadra nell'ambito delle moderne biotecnologie. Una molecola di DNA ricombinante deriva dall'unione di due molecole preesistenti che vengono appunto ricombinate fra di loro per produrre una specie molecolare artificiale. L'evoluzione della tecnologia del DNA ricombinante è stata possibile solo quando si è scoperto il modo per poter tagliare e ricucire molecole di DNA e cioè quando si è avuta la scoperta degli enzimi di restrizione.
Vediamo quindi quali ingredienti servono per poter attuare il clonaggio di un gene e successivamente attraverso quali fasi questo processo si realizza. Per quanto riguarda il materiale occorrente serve ovviamente un frammento di DNA contenente il gene di interesse servono gli enzimi di restrizione ovvero enzimi in grado sia di ritagliare un frammento di dna contenente il gene che di aprire i vettori genici i tagli che vengono prodotti da questi enzimi sono tali che tanto il vettore genico quanto l'inserto genico cioè il pezzo di dna ritagliato da inserire nel genoma del vettore genico presentano estremità complementari e quindi facilmente ricomponibili. Servono inoltre i vettori genici ovvero molecole di DNA in grado di ospitare un gene estraneo e infine sono necessari delle DNA ligasi cioè degli enzimi che sono in grado di cucire i frammenti precedentemente creati.
Essi fanno sì che il gene si integri nel vettore genico e ovviamente serve anche una cellula ospite su cui verrà poi inserito il gene ricombinato. Le tappe attraverso le quali avverrà il clonaggio del gene ovvero la formazione di una copia esatta di gene proveniente da un altro organismo con la tecnica del DNA ricombinante sono diverse e avvengono in maniera sequenziale. Schematicamente possiamo indicarle in tre fasi principali e cioè la fase 1 caratterizzata dal taglio del DNA in corrispondenza di un punto ben preciso cui segue una successiva separazione dei frammenti da utilizzare e la successiva individuazione ed isolamento del gene di interesse.
Poi abbiamo la fase 2 che consiste nell'utilizzo di un vettore su cui viene ad essere trasferito il gene, esempio il plasmide di un batterio. E quindi abbiamo la fase 3 che consiste nell'utilizzo di una cellula ospite su cui trasferire il vettore contenente il gene di interesse. Nella cellula ospite avverrà la replicazione del vettore e quindi la replicazione dello stesso gene. Volendo moltiplicare, quindi amplificare, un tratto del DNA contenente il gene di interesse, la prima operazione quindi che dobbiamo fare, come abbiamo anticipato prima, è quello del taglio del filamento di DNA. Per effettuare il taglio, così come la successiva cucitura, ci serviamo dei cosiddetti enzimi di restrizione, detti anche forbici molecolari.
Il ricorso agli enzimi di restrizione rappresenta la prima tecnica di ingegneria genetica utilizzata dagli studiosi in tema di DNA ricombinante. Sono enzimi che sono stati prodotti dai batteri per difendersi dai virus e come abbiamo visto nelle lezioni precedenti il virus nel momento in cui attacca il batterio introduce nella cellula batterica il proprio genoma che si sostituisce a quello del batterio stesso inducendo il batterio a replicare il genoma virale e portando quindi alla morte la cellula batterica per evitare ciò i batteri producono questi enzimi di restrizione che possono essere paragonati ha delle forbicine molecolari che si mettono in azione quando il virus inietta il proprio filamento di DNA o di RNA all'interno del batterio. Il batterio reagisce tagliuzzando il filamento genomico e rendendo così inattivo il virus.
Il taglio avviene in corrispondenza di specifiche sequenze di basi. Gli enzimi di restrizione agiscono solamente sul DNA estraneo e non tagliano mai il DNA della cellula batterica che li ha prodotti. Il batterio infatti protegge il proprio DNA attraverso un meccanismo che prende il nome di metilazione. Gli enzimi di restrizione agiscono sempre su specifiche sequenze di basi.
In genere queste sequenze sono lunghe da 4 a 12 basi o 4-12 nucleotidi, anche se le più comuni sono lunghe 4-6 nucleotidi. Un esempio di enzima di restrizione è rappresentato dall'enzima ECOR1, prodotto dalle scherichia coli, il quale effettua il taglio sul DNA dell'ospite sempre in corrispondenza di una sequenza di basi palindrome. Esempio GAA-TTC, guanina, adenina, adenina, timina, timina, citosina di un filamento di DNA cui corrisponde nel filamento complementare CTTA-AG.
Questa sequenza è una sequenza palindroma in quanto sia che la leggiamo da destra sia che viene letta da sinistra Il significato è sempre lo stesso, quindi un palindromo è una sequenza di caratteri che può essere letta in entrambi i sensi mantenendo sempre lo stesso significato. Un nome palindromo ad esempio è Anna, una frase palindroma è ad esempio i topi non avevano nipoti. L'enzima E.C.O.R.1 scansiona quindi il DNA del virus e quando trova sequenze palindrome opera un taglio obliquo o dei tagli obliqui se ne trova più.
più di uno dando luogo alle cosiddette estremità coesive che possono poi essere risaldate da una dna ligasi perché completamente e perfettamente combacianti per il fatto di tagliare il dna in specifici punti ciò fa sì che gli enzimi di restrizioni vengono anche detti endonucleasi mentre le esonucleasi tagliano il dna invece partendo dalle estremità Supponiamo adesso di voler creare un DNA ricombinante utilizzando l'enzima di restrizione ECHOR1 e utilizzando il DNA umano. Questo enzima agisce, come abbiamo detto, solo in corrispondenza di sequenze palindrome. Pertanto scansione il DNA umano fino a quando non troverà delle sequenze palindrome. Vedasi la figura 1. E qui andrà a operare un taglio obliquo, figura 2 e 3. che interesserà entrambi i filamenti della doppia elica.
Con lo stesso enzima vado successivamente ad effettuare il taglio sul DNA batterico in corrispondenza della stessa sequenza palindroma, vedasi figura 4 e 5. Dopodiché prendo un'estremità tagliata dal DNA umano e l'altra estremità tagliata dal DNA batterico e poiché le due estremità sono coesive, quindi incollanti, Li unisco utilizzando un enzima e specificatamente la DNA ligasi che opera appunto l'intervento di cucitura. Si ottiene in questo modo un organismo geneticamente modificato perché ho inserito un gene proveniente da un filamento di DNA di un organismo nel DNA di un altro organismo. Un esempio pratico di quanto detto. può essere rappresentato dalla produzione di insulina attraverso le tecniche del dna ricombinante se io prendo il gene umano in cui sono contenute le istruzioni per produrre insulina e lo inserisco nel dna di un'escherichia coli questo batterio si mette a produrre insulina umana quindi praticamente faccio lavorare il batterio che in questo caso diventa una biofabbrica di insulina da utilizzare poi per le persone diabetiche La scoperta degli enzimi di restrizione è opera di tre diversi studiosi, precisamente Haber, Nathans e Smith, che studiando i batteri e precisamente come i batteri si difendevano dall'attacco di un batteriofago, si accorsero che i batteri producevano questo enzima che tagliando i filamenti di DNA delle entità virali ne impedivano l'infezione.
Questi studiosi furono insigniti nel 1978 del premio Nobel. Ovviamente gli studi iniziati da questi studiosi furono poi approfonditi da altri che si è accorso delle possibilità di utilizzare questi enzimi di restrizione per permettere il trasferimento di geni da un organismo a un altro. Nel corso di questi ultimi 50 anni dalla scoperta degli enzimi di restrizione e le loro possibilità di utilizzazione sono stati isolati tantissimi enzimi di restrizione, pertanto per la loro identificazione è stato adottato un'azienda di risoluzione. un metodo che consiste nell'utilizzo di una sigla costituita da una sequenza di lettere da un numero.
Ad esempio Ecor1 significa che l'enzima è stato isolato dal batterio Escherichia coli, R sta a indicare il ceppo, 1 sta a indicare il primo enzima isolato dal ceppo R del batterio Escherichia coli. Nella slide possiamo osservare altri enzimi di restrizione isolati da altri batteri. Abbiamo visto che tramite gli enzimi di restrizione possiamo tagliare la molecola del DNA, o un gene contenuto nella molecola del DNA, in diversi punti. Ma ora che abbiamo tutti questi pezzettini di DNA, o questi frammenti di DNA, come facciamo a manipolarli e a replicarli? E successivamente trasferirli in un altro organismo?
Per fare tutto ciò bisogna utilizzare un vettore che sia in grado di permettere il trasferimento e la replicazione. La scelta del vettore idoneo a veicolare il gene dipende dalla quantità di basi che possono essere veicolate dal vettore stesso. Ad esempio i plasmidi sono vettori in grado di veicolare frammenti di DNA contenenti fino a 10.000 basi. Se le dimensioni del frammento sono più grandi si dovrà ricorrere come vettore all'uso di virus, di cosmidi, di cromosomi artificiali, batterici, ecc.
Il vettore più comunemente utilizzato è il vettore di DNA. e comunque il plasmide. Il plasmide è una piccola molecola di DNA circolare caratterizzata da qualche migliaio di basi presenti in molti batteri, non in tutti, in aggiunta al filamento di DNA sempre presente nella cellula batterica.
Questi plasmidi non sono indispensabili per la sopravvivenza della cellula batterica ma sono importanti perché contengono informazioni che possono conferire al batterio una certa resistenza agli antibiotici ed inoltre contengono informazioni necessarie alla produzione di esotossine. La scelta dei plasmidi è legata al fatto che sono presenti in elevata quantità all'interno della cellula batterica, fino a circa 500-1000 per ogni cellula batterica, si possono isolare, manipolare facilmente, in vitro possono essere ricombinati e una volta ricombinati e reintrodotti nella cellula batterica si replicano con la stessa intensità della cellula batterica stessa. L'inserimento del gene di interesse nel plasmidio avviene in corrispondenza di una zona del proprio DNA chiamato sito multiplo di clonaggio.
In corrispondenza di questo sito, ad opera dello stesso enzima di restrizione, verrà effettuato il taglio del DNA plasmidico, l'inserimento del frammento proveniente dall'organismo donatore e la successiva cucitura ad opera della DNA ligasi. Il risultato finale è la formazione di un plasmide ricombinante. Ottenuto il plasmide ricombinante, questo dovrà essere quindi trasferito all'interno della cellula batterica. Tutto ciò avviene attraverso un processo che è chiamato processo di trasformazione, ovvero quel processo che permette alla cellula batterica di acquisire materiale genetico proveniente dall'ambiente esterno. All'interno della cellula batterica il plasmide ricombinante andrà incontro a replicazione.
contemporaneamente alla replicazione della cellula batterica dando così luogo a numerosi plasmidi contenenti tutti quanti geni modificati. Questi geni verranno poi isolati e utilizzati per poter essere inseriti in altri organismi o utilizzate le proteine come nel caso dell'insulina da utilizzare per i soggetti diabetici. La funzionalità di questo processo ha fatto sì, come nel caso dell'insulina, che i batteri diventassero delle vere e proprie fabbriche della proteina desiderata, mettendo in atto una vera e propria produzione industriale. Spesso infatti queste tecniche vengono utilizzate per la produzione di proteine esistenti in natura in quantità ridotte. Con la tecnica del DNA ricombinante si possono provocare mutazioni mirate per ottenere proteine con le caratteristiche desiderate.
Cambiando infatti un nucleotide si può ottenere un aminoacido nuovo e ciò può cambiare le caratteristiche della proteina. La tecnica del DNA ricombinante ha segnato inoltre l'inizio della nuova era dei vaccini, contribuendo a rispondere alle mutate esigenze che via via emergevano dai vari contesti epidemiologici. Nel 2002 nasce infatti il primo vaccino prodotto con la tecnica del DNA ricombinante, quello contro l'epatite B. e come vettore di espressione per il clonaggio in questo caso è stato utilizzato il comune lievito di birra.
Un altro esempio di vaccino sviluppato è il vaccino di birra. con la tecnica del dna ricombinante è quello contro la meningite batterica grazie al quale è stato possibile ridurre l'incidenza della malattia del 90 per cento e infine il vaccino contro la pertosse sviluppato sempre con questa tecnica ottenendo un ceppo di batterio capace di produrre una tossina mutata della pertosse che è del tutto identica a quella del ceppo patogeno ma priva di tossicità che viene pertanto purificata e impiegata come vaccino.