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Esplorazioni Polari: Scott, Amundsen e Shackleton

Robert Falcon Scott, 1868-1912, marinaio ed esploratore britannico che divenne famoso per la competizione con il norvegese Roald Amundsen per il raggiungimento del polo sud. Roald Amundsen, dopo aver confermato l'esistenza del passaggio a nord-ovest, aveva organizzato una spedizione con lo scopo di arrivare per primo. al Polo Nord. Quando però prima Frederick Cook nel 1908 e poi Robert Perry nel 1909 reclamarono la vittoria nella competizione artica, Amundsen decise di rivolgere le sue attenzioni al Polo Sud ancora inviolato. Nel 1909 la rivista fece colpo quando pubblicò la relazione di Robert Peary sulla conquista del Polo Nord. Peary scrisse un giorno non sarò convinto di aver fatto del mio meglio finché il mio nome non sarà conosciuto da un capo all'altro del mondo. La sua ambizione lo aveva condotto sempre più a nord, senza mai riuscire a raggiungere il polo nonostante ripetuti tentativi. Ma dopo diverse spedizioni aveva acquistato una notevole esperienza sui ghiacci e aveva vissuto tra gli eschimesi, che lo avevano accettato come uno di loro. Il più intimo amico di Peary fu il nero Matthew Hansen, un pioniere dell'esplorazione. Nel 1908 i due diedero il via alla quarta spedizione polare. Peary aveva 52 anni, ne aveva spesi 22 nel tentativo di raggiungere il polo e aveva perduto otto dita dei piedi per congelamento. Il primo marzo 1909 salpò verso il polo. Come programmato, quasi tutti gli uomini tornarono indietro appena le scorte cominciarono a esaurirsi. Dopo un mese, soltanto Peary, Hanson e quattro eschimesi proseguirono verso nord con le slitte. Il resoconto dei pochi giorni che seguirono è ancora oggi oggetto di controversia. Peary registrò tempo favorevole e notevoli progressi. In seguito molti ritennero che la sua relazione fosse troppo ottimista per rispondere alla realtà. In ogni caso l'esploratore riferì di aver raggiunto il polo il 6 aprile 1909. Piri scrisse nel suo diario il polo finalmente la meta agognata da tre secoli e mia finalmente in quel momento la sua rivendicazione fu accettata da tutti Stringendo la mano a Roald Amundsen, che due anni più tardi raggiunse il polo sud, Robert Peary conseguì quella fama cui aveva anelato così a lungo. Nel 1913 i due esploratori si incontrarono per la prima volta in occasione dei festeggiamenti che la National Geographic Society aveva organizzato in loro onore. Amundsen salpò così con la nave Fram, in italiano Avanti, ufficialmente diretto ad esplorare la zona intorno allo stretto di Bering nell'Artico. Nessuno tranne il fratello Leon e il capitano del Fram Thorvald Nielsen conoscevano la reale destinazione. Amundsen, che probabilmente non voleva allertare Robert Falcon Scott, suo maggiore competitore nella corsa al Polo Sud, Una volta arrivato a Madeira, informò l'equipaggio delle sue vere intenzioni e mandò un telegramma informativo a Scott. Back to inform you, from proceeding Antarctic, Amundsen. Mi permetto informarla, Fram diretta Antartide, a Munsen. Il 14 dicembre del 1911 arrivò al Polo Sud 35 giorni prima dell'arrivo di Scott. Scott, nella marcia di rientro al campo base, perse la vita insieme a tutti i membri della sua spedizione. Il brutale, magnifico mistero a sud del pianeta. Un deserto di ghiaccio. D'inverno, il sole non sorge mai. D'estate, non tramonto. La temperatura più bassa mai rilevata, 93,2 gradi centigradi sotto zero. Il vento più violento, 320 chilometri orari. Eppure, la scienza indica che il settimo continente è la chiave per capire il futuro del nostro pianeta e della nostra specie. Spinti dalla sete di scoperta, gli umani si sono ricavati uno spazio in questa landa abbandonata. Nelle condizioni spietate e tra le molteplici insidie di questo deserto ghiacciato servono sforzi prodigiosi solo per sopravvivere. Ci sono più di 70 basi, costruite da 30 nazioni e distribuite in tutto il continente. All'imboccatura del canale McMurdo, nel cuore della regione del mare di Ross, c'è la base scientifica Scott, avamposto di ricerca permanente della Nuova Zelanda. La base prende il nome dall'esploratore britannico Robert Falcon Scott, che guidò una delle prime spedizioni scientifiche al Polo Sud nel 1912. La strumentazione di ricerca della sua squadra fu recuperata dieci mesi più tardi, ma nessuno degli uomini tornò indietro vivo. Gli scienziati che sono qui oggi portano avanti la loro coraggiosa eredità. Dicembre 1911 Alcuni uomini ricoperti da pelli di foca avanzano nell'immensa distesa bianca dell'Antartide. È in corso una sfida tra due spedizioni, quella guidata dal norvegese Roald Engelbert Amundsen e quella capitanata dal britannico Robert Falcon Scott. Entrambe lottano per realizzare un'impresa apparentemente impossibile, raggiungere il polo sud. All'inizio del Novecento, gran parte del pianeta è ormai stato esplorato. L'ultimo baluardo da conquistare rimane il Polo Sud, al centro del continente Antartico. Amundsen e Scott sanno di perseguire il medesimo obiettivo. Solo uno di loro, però, riuscirà ad arrivare per primo. Per compiere l'impresa, i due esploratori scelgono strategie differenti. Scott fissa il campo base a Capo Evans. Amundsen invece stabilisce come punto di partenza la Baia delle Balene, un centinaio di chilometri più vicino al Polo Sud. Il 19 ottobre 1911 Amundsen lascia il campo base e parte equipaggiato con scii, slitte e 52 cani. Insieme a lui ci sono altri quattro uomini. Quasi due settimane dopo, anche l'esploratore britannico si mette in cammino. È il primo novembre 1911. Scott decide di usare motoslitte e slitte trainate da poni siberiani. Una scelta che si rivelerà ben presto un errore imperdonabile. Le motoslitte infatti si dimostrano inaffidabili, mentre i poni non sono in grado di sostenere la fatica della marcia e vengono presto abbattuti. Scott e i suoi quattro compagni sono costretti a proseguire a piedi, trainando le slitte. Nel frattempo a Munsen comincia ad abbattere alcuni cani della spedizione, per avere ulteriori scorte di cibo. Sopravvivono solo gli animali necessari per proseguire nell'impresa. Il 14 dicembre 1911, dopo oltre 50 giorni di viaggio e più di 1000 km percorsi, Amundsen e i suoi raggiungono l'obiettivo. Sono i primi uomini a conquistare il Polo Sud. Il 18 gennaio 1912, anche Scott arriva alla meta. Lo attende però una grande delusione. Oltre alla bandiera norvegese, trova piantata una tenda e al suo interno una lettera che testimonia la vittoria del rivale. Mentre Amundsen ritorna a casa, per Scott e i compagni inizia il tragico epilogo. Scoraggiati ed esausti, uno dopo l'altro muoiono tutti sulla via del ritorno. I corpi vengono recuperati solo alcuni mesi dopo. La conquista del Polo Sud racconta di una tenacia umana pronta a sfidare tutto, persino l'immensità dell'Antartide. Amundsen trionfa e consegna il proprio nome alla storia. Anche Scott però, l'uomo che muore di freddo e di fame, lascia una traccia indelebile. Quella di chi è morto in nome di un sogno. Ernest Henry Shackleton, 1874-1922, esploratore britannico di origine irlandese, divenne famoso per la sua spedizione in Antartico del 1914-1916, nel corso della quale, nonostante il mancato attraversamento del continente antartico, lo schiacciamento della nave Endurance ad opera del PAC con successivo inabissamento. riuscì a portare in salvo tutti i membri dell'equipaggio. Nella primavera del 1914 appare a Londra questo annuncio. Cercasi equipaggio per viaggio pericoloso. Paga misera, ritorno non garantito. In caso di successo, fama e onore. Alla partenza dell'Enginance, il primo agosto del 1914. A bordo si trova un equipaggio selezionato attraverso quel drastico annuncio in cui si cercavano uomini per un viaggio pericoloso, con paga minima, un ritorno non garantito, ma assicurando in caso di successo fama e onori. Solo degli uomini forti e duri, e anche un po' matti, in cerca di emozioni, potevano imbarcarsi per un tale viaggio destinato a durare anni. Su, veloci, cerchiamo di metterci in ordine. Sparpagliatevi di dietro. Mac, vieni qui vicino. Sì, carino. A bordo, Shackleton ha portato con sé, oltre ai membri dell'equipaggio e al genio operatore, anche due medici, un biologo e un fisico. La spedizione, infatti, ha anche un carattere scientifico, per osservare e registrare tutto quello che ci sarà da scoprire in quelle terre sconosciute. Completano il gruppo un meteorologo e un artista, come era abitudine a quell'epoca, un artista disegnatore. Siamo arrivati a uno dei momenti cruciali del viaggio. Prima ancora di riuscire ad approdare sul continente antartico, la nave si ritrova imprigionata tra i ghiacci del mare. Ormai non ho più dubbi, non riusciremo a liberare la nave dalla morsa del ghiaccio entro l'inverno. Pertanto dovremo concentrare le nostre attività in modo tale da trasformare l'imbarcazione in una base invernale. Capitano? Sospenderemo i turni di guardia, a parte quello notturno, per sorvegliare le stufe, visto che spegneremo le caldaie per risparmiare carburante. Vediamo in un plastico la situazione in cui si trovano Shackleton e i suoi uomini. Questo è più o meno il percorso che hanno seguito. Arrivando dal Sud America si dirigono verso l'Antartide per riuscire ad approdare in questa zona. La nave invece rimane intrappolata tra i ghiacci, molto lontano dalla costa. Ormai sono passati cinque mesi dalla partenza e non c'è più speranza che a questo punto i ghiacci si sciogliano. L'inverno antartico è ormai alle porte e bisognerà quindi rimanere fermi a bordo per più di sei mesi al freddo e al buio prima che torni nuovamente il sole e i ghiacci possano sciogliersi. È un periodo molto lungo da vivere in condizioni estreme, non sanno però che un pericolo ancora più insidioso è in agguato. Ma vediamo attraverso le immagini originali come viene organizzata questa lunga permanenza. L'equipaggio si fa riprendere da Harley in posa sul ghiaccio. Nei giorni di sosta obbligata si fanno rifornimenti di cibo e di acqua per i cani e per gli uomini. Si carica sulle slitte. La slitta è la nutriente carne di foca che viene tagliata a strisce e un solo animale può fornire nutrimento per molto tempo senza dover ricorrere alle provviste in scatola. Anche i pinguini imperatore, che si mostrano socievoli, verranno sacrificati per avere riserve di cibo fresco. Nelle giornate in cui il clima lo permette, si fanno le esercitazioni con i cani per addestrarli a trainare le slitte. Ma il freddo è terribile. Anche i baffi si ghiacciano. Si prova una slitta a motore, una sorta di trattore cingolato predisposto con un cavo per un eventuale traino. Il trattore può andare a circa 10 km orari, ma il terreno è troppo instabile per questo tipo di mezzo. Grandi blocchi di ghiaccio vengono prelevati e trasportati sulla nave per farne acqua da utilizzare. in vari modi. Il ghiaccio, formatosi sulla superficie dell'oceano durante il lento processo di congelamento, è composto da un reticolo cristallino in cui non trovano spazio i sali, i quali rimangono nella parte liquida dell'oceano stesso. Dal blocco di ghiaccio marino però gli uomini di Shackleton non possono ricavare vera acqua potabile, cioè chimicamente pura, ma costretti dalla necessità e grazie alle loro conoscenze scientifiche riescono a ottenere un'acqua bevibile, presumibilmente lasciando squagliare e ricongelare. Il ghiaccio è stato scelto per non congelare più volte il ghiaccio fino a escludere le impurità. L'equipaggio sonda anche il fondo del ghiaccio. Tramite una rete calata in profondità si estraggono campioni di plankton, considerato la base della vita in Antartide, e altri materiali utili agli studi biologici. Durante i mesi invernali la nave stessa si è ghiacciata. Lo spettacolo è così straordinario che Frank Harley vuole immortalarlo di notte. Illumina la nave con 18 flash e il risultato è l'immagine incredibile dell'endurance stritta in una morsa di gelo, immersa nell'oscurità. Ma con l'imminente arrivo della primavera, il ghiaccio che circonda la nave spinto dal muro movimento della banchisa comincia ad aumentare la propria pressione. A questo punto la nave comincia a essere stritolata, si creano falle sempre più grandi, non si può più rimanere a bordo, bisogna abbandonare la nave e creare un campo sulla banchisa. Capo? Sì? Do l'ordine di abbandonare la nave? Gli uomini come stanno? Sono pronti. Ormai hanno accettato l'idea. Lo sa che cosa mi ha detto il re quando me l'ha consegnata? Mi raccomando, la riporti indietro. Sono state queste le sue parole. Lo faremo, gli ordini del re vanno eseguiti, non trova? Che fa lì, immobile? Di all'ordine, avanti. Sì, capo. Qui vediamo appunto la nave presa nella morsa dei ghiacci. Shackleton e i suoi uomini osservano da vicino i danni provocati nella chiglia. Con i picconi cercano di compiere un ultimo tentativo, cioè rimuovere il ghiaccio che sta premendo sulla fiancata. Ma è inutile, e nell'inquadratura successiva si vede la nave ormai inclinata. L'acqua è entrata abbondantemente nelle falle, e sembra ormai impossibile rimediare alla situazione. Gli uomini le sono intorno. Senza la nave, si ritrovano ora come naufraghi sulla banchisa. Sotto i loro piedi, infatti, c'è il mare e dall'acqua gelida li separa solo un sottile strato di ghiaccio che poi è destinato a sciogliersi. Shackleton sale un'ultima volta sulla nave per studiare come organizzare l'evacuazione. Vengono utilizzati degli scivoli di tela, un sistema analogo a quello adottato oggi dagli aerei. In questo modo viene portato fuori dalla nave tutto quello che può servire. La banchisa diventa così una specie di deposito di materiali, viveri, cani, tende, slitte e oggetti personali. Shackleton, tra l'altro, ha raccomandato di non dimenticare i diari, che sono delle testimonianze preziose che vanno salvate qualunque cosa succeda. Anche le scialuppe di salvataggio vengono recuperate. Rappresenteranno l'unico modo per uscire da questa situazione quando il ghiaccio si sarà sciolto, per tentare di raggiungere qualche costa o qualche isola dove peraltro non ci sarà alcuno ad accoglierli e ad aiutarli. Ma fra quanto si scioglieranno i ghiacci per poter fare questo tentativo? Shackleton e i suoi uomini dovranno in realtà rimanere qui accampati accanto all'Endurance sulla banchisa per mesi al gelo. con il continuo terrore che il rialzo della temperatura incrini improvvisamente il ghiaccio sotto i loro piedi e che la banchisa si trasformi magari in una piccola zattera di ghiaccio vagante. Al momento dell'abbandono... della nave tra le cose da salvare ci sono anche le lastre fotografiche e le pellicole girate dall'operatore di bordo si trovano però proprio nella parte inclinata della nave sott'acqua Che sta facendo? Sto cercando il mio materiale. E' qua giù, sott'acqua. I contenitori sono sigillati, l'acqua non entra ma non riesco a prenderli. Se però voi due mi tenete per le gambe, posso farcela. Ma è impazzito. Se scende là sotto, morirà congelato. Se non annegherà prima. Non ce la faccio da solo, non ce la posso fare. Da qui non me ne vado senza il mio materiale. Tira! Tira! C'è un altro! La nave si sta muovendo! Non preoccuparti, faccio presto! Dove ha finito? Che diavolo ne so Gli riattivo la circolazione Sta affondando! Portiamolo via! Sto bene, ho recuperato tutto! Tenitori! Poco dopo la nave non resiste più alla morsa dei ghiacci, si spezza e affonda. E anche di quella drammatica sequenza abbiamo i filmati originali, eccoli. Qui vediamo gli alberi crollare. È una vera agonia. I fasciami si spezzano con una serie di schianti. Gli uomini di Shackleton assistono sgomenti alla fine della loro nave. Qui il mare è molto profondo e la endurance scenderà lentamente fino a 4.000 metri di profondità e forse oggi si trova ancora qui in fondo, preservata dalla bassissima temperatura dell'acqua. un po' come in un eterno frigorifero. Con l'affondamento svaniscono per gli uomini di Shackleton anche le ultime possibilità di tornare a casa. È il novembre del 1915, sono passati un anno e tre mesi dalla partenza da Londra. Non pensavamo che l'Endurance sarebbe stata via tanto a lungo. Abbiamo l'obbligo di pagare i familiari dell'equipaggio, ma noi eravamo convinti che la nave facesse ritorno in Sud America al massimo a novembre. Quando si esauriranno i fondi? Il mese prossimo. Ma ci sono quelli della reale società geografica? Geografica, abbiamo usato solo metà delle mille sterline offerte. Sfortunatamente ci siamo impegnati a non chiedere l'altra metà. Per iscritto. Bene, dica loro che abbiamo cambiato idea. Le famiglie e i bambini dell'equipaggio sono sotto la nostra responsabilità. Responsabilità. Sono certa che mio marito non li abbandonerebbe mai. 500 sterline, signora Shackleton, coprirebbero più o meno quattro mesi. Se non stiamo ricevendo notizie, vuol dire che si trovano nei guai, vero? Temo proprio di sì. Quindi anche la reale società geografica dovrebbe cominciare a preoccuparsi. I soccorsi non arriveranno mai da Londra e comunque sarebbe stato molto difficile localizzare un gruppetto di uomini alla deriva sulla banchisa in movimento dall'altra parte del mondo. Il freddo intenso sta diminuendo ora, Shackleton e i suoi uomini si trovano ancora sul punto in cui è affondata la nave, ma sta per succedere qualcosa che li obbligherà a partire rapidamente. Vedete? E' allerta? Sì capo. Comincia a rompersi, si rompe, si rompe, si rompe! Ragazzi, molto presto, alzateli! Vabbè, adesso ci spazio, vogliamoci! Mi perso il mio meraviglioso tabacco! Sono mortificato! Sono veramente mortificato! Non dormirò mai più su Naif, per questo è sicuro! Il ghiaccio è meno stabile. Dobbiamo avvicinarci al mare il più in fretta possibile. Se ci organizziamo possiamo avanzare a una media di due o tre miglia al giorno. Non ce la faremo mai con tre barche. Dobbiamo assolutamente muoverci con due. Uomini possono farcela con due barche. Sì, io penso di sì. Se non ci sarà alternativa faremo così. Domani leviamo le tende. Non abbiamo più né nave né scorte. Quindi è ora di tornare a casa. È ovvio che tutti noi non vediamo l'ora di dormire sulla terraferma, in un bel letto caldo. Bene, la prova più vicino è qui. Guardate, l'isola di Robertson. Sarà la nostra nuova base. Con pochi uomini attraverserò la terra. la terra di Graham fino alla baia di Willemina dove passano le baleniere. È la rotta più breve verso la salvezza. Bene. Dobbiamo caricare tutto il necessario sulle slitte. Siete autorizzati a portare un chilo a testa di effetti personali, compresi i diari, i rasoi e gli utensili per mangiare. Tutto il resto va abbandonato. Tutto, sia chiaro. Queste non ci servono. Possiamo portare solamente quello che ci occorre per sopravvivere. E questo riguarda anche gli animali. Mi dispiace, Miss Chippy non può venire. Questa è la Bibbia che ci ha regalato Sua Maestà la Regina Alessandra. Conserverò tre pagine. Ve ne leggo una. Ora lo so, potrò anche attraversare l'arida valle della morte, ma non avrò timore del male, perché so che tu sei con me. Coraggio, diamoci da fare. Anche le lastre fotografiche vanno sacrificate. Freck, mi dispiace, non possiamo portare altro peso. Non le lascerò qui. Devo salvaguardare 28 vite. Anch'io, signore! Un anno di vita di ciascuno di noi è racchiuso in queste foto! Che senso ha sopravvivere se non abbiamo le prove di quello che abbiamo fatto? E se non ce la faremo? Le foto saranno tutto quello che resterà di noi, senza e come non aver fatto niente. A parte perderci come delle scolarette durante una gita. Quante sono? 520. Forse possiamo portare una scatola? Non è sufficiente. 200. E le sceglie lei. Facciamo insieme, ci sta? Facciamo 150. Ci sta? Ci sto. Pinguini, due, che guardano languidamente il fotografo. Basta con i pinguini. Quando l'ha fatta? La prima volta che abbiamo giocato a calcio sul ghiaccio. Non avevo mai visto la Endurance così bella. Le lastre negative salvate si trovano ora alla Royal Geographical Society. Sono tra le poche cose non finite in fondo al mare. Siamo andati a vederle. Eccone qui tre significative. Questa è l'endurance che spunta... tra i ghiacci. Qui c'è la scena della partenza della scialuppa, che vedremo in seguito, un momento drammatico. E questa è la nave ormai stritolata dai ghiacci mentre i cani guardano. Comincia così una marcia estenuata. Quanto sulla banchisa, con i cani che trascinano le slitte e gli uomini che trascinano le barche. Torniamo quindi a Shackleton e ai suoi uomini, sempre in marcia sulla banchisa in Antartide. Sono tutti sfiniti, le provviste stanno finendo, in quella zona non ci sono né foche né pinguini da cacciare. per rifornirsi di cibo. Rischiano tutti di rimanere senza nutrimento, sia gli uomini che i cani. I cani non ce la faranno, ce ne dobbiamo sbarazzare. Il ghiaccio si sta sciogliendo. Presto potremo riprendere a navigare. Forse a questo punto ci conviene aspettare. Ha notato qualche novità? No, nessuna traccia di vita. Niente da ormai tre giorni. Ne abbiamo provviste di carne solo per altri due. Non possiamo portare i cani con noi sulle barche. Non ci rimane altro che liberarci di loro. Almeno risparmieremo sulle provviste di carne. Su, torniamo. Non è giusto e anche grazie a loro se siamo arrivati fin qui. E' inutile che sprechi fiato, tanto il bastardo se ne frega. Se le vecchie signore inglesi che gli hanno dato i soldi sapessero che sta sparando ai cani, lo farebbero uccidere. Già, e troverebbero facilmente un volontario. Su, avanti. E a questo punto cosa succede? Succede che con il progressivo scioglimento dei ghiacci finalmente si apre un braccio di mare e le barche possono essere messe in acqua. Tre barche sulle quali si pigiano 28... La loro posizione è approssimativamente questa, ma dopo essere stati trasportati dalle correnti sulla banchisa in movimento, per loro è difficile capire dove li hanno portati le correnti. Allora, quanto manca ancora? Parecchio, capo. Siamo molto lontani. È impossibile! No, significa che non ci stiamo allontanando noi dal ghiaccio, ma lui da noi. Che rotta abbiamo? Nord-nord-est. Allora remiamo. Coraggio! Santo cielo, non sanno né dove siamo né dove stiamo andando. Risparmi alle forze. Prevare! Prevare! Che cos'è? Terra! Joe, forza! Coraggio Blackbeard, lei è il primo! Su, si muova! Datemi una mano! Si alzi Blackburn! Che cosa hai fatto? Mi chiedi? Credo che siano morti! Sono congelati! Su, andiamo! Complimenti Perci, lei è stato il primo a mettersi seduto sull'isola dell'elefante. Sì signore, grazie signore. Non è meraviglioso? È in assoluto la più bella spiaggia che abbia mai vista. ecco dove si trova l'isola dell'elefante che è un luogo completamente isolato lontano da tutto il nome deriva dalla sua vaga forma che ricorda un elefante uomini arrivati finalmente in salvo sull'isola delle elefante, dopo un primo momento di euforia, un po' come dei nafreghi che riescono finalmente a grapparsi a un relitto, si rendono però conto che sono in trappola, perché con quelle barche a remi… e non possono andare da nessuna parte, sono troppo lontani da tutto e nessuno sa che sono lì, in quell'isola sperduta. Ora stanno perdendo ogni speranza. Ma non tutto è perduto ed è proprio a questo punto che Shackleton tenta il tutto per tutto, cioè a riadattare una delle sue cose. le barche e tentare una traversata di 870 miglia, cioè quasi 1500 chilometri, per raggiungere una base di balianiere nella Georgia del Sud. È quasi un suicidio tentare questa impresa sfidando mari tempestosi con temperature proibitive, ma è l'unica soluzione possibile. Cipi, immagino che senza legno non puoi fare niente per rendere la James Card più robusta. Chi ha detto che non c'è legno? Cosa vuole fare? Renderla inaffondabile. Vuole coprirla? Fare un ponte? Sì, però è impossibile. Chi è il carpentiere qui? Io o lei? Posso portare con me solo cinque uomini e tutti quelli che si reggono in piedi si sono offerti volontari. A parte me, signore, non sarei di aiuto su una barca. Lei non è d'aiuto da nessuna parte. Siamo a 870 miglia dalla stazione delle Baleniere nella Georgia Austin. Ancestrale. Tempo permettendo, potremmo essere lì in 12 giorni, prendere una nave e tornare qui in meno di un mese. Un paio di bottiglie di brandy, qualche buona sigaretta e sono convinto che passeremo un bel inverno. Naturalmente, per chi lo vorrà, sarà organizzato il viaggio di ritorno. Chi resterà qui avrà il compito più difficile. Se non torniamo dovete elaborare un altro piano. Ho chiesto a Frank Wilde di comandare il gruppo e ai dottori Macklin e McElroy di prendersi cura dei malati. Hanno gentilmente accettato. Con me invece porterò il capitano, che negli ultimi giorni ha dimostrato di essere il più grande navigatore della Terra. Sì, capo. Mi dispiace non portarla con me sulla Caird. Ha un'ottima squadra. Ma è il fotografo della spedizione, è giusto che rimanga con loro. In un certo senso la spedizione è lei. Non so quante possibilità avremo con la Carrie, il 50% più o meno. Se moriamo le sue foto documenteranno la spedizione. Lei è la nostra storia. Se io non torno più, voglio che ci sia qualcuno che la possa raccontare. Ho scritto questa lettera. Se dovessi morire le garantirai i diritti su foto e riprese. Grazie, lo apprezzo molto. Ma c'è un piccolo particolare. Quale? Non intendo affatto morire. Questa è l'isola dell'Elefante e questa è la Georgia del Sud. Qui in mezzo, la distanza da coprire in barca, in mari gelidi, con venti e tempeste. Circa 1500 chilometri. Più o meno la distanza che c'è tra Roma e Parigi. Un'impresa davvero disperata. Queste sono le foto scattate nel momento in cui la barca viene messa in mare e parte per il suo viaggio. Con lei viaggiano anche le ultime speranze di chi rimane sull'isola dell'Elefante. Ma c'è anche la consapevolezza che potrebbe essere un'impresa senza ritorno. Temo che questa sia l'ultima volta che li vediamo. Va a farti fottere, bastardo! Sì, signore. Ti privilegio di vedere uno chef al lavoro. Ma il mare ben presto cambia e la traversata diventa una lotta continua per la sopravvivenza. Per tenere la direzione giusta bisogna continuare a fare triangolazioni, anche nelle situazioni apparentemente impossibili. Faccia attenzione, capitano. Quelle pagine ci servono. Da ieri, 93 miglia. Dobbiamo sperare che il vento tenga. Gli uomini debbono lottare sempre più non soltanto con i venti e le onde, ma anche con il ghiaccio che si forma sulla barca. Si potrebbe datteggiare il ponte! Dobbiamo cercare di non imbarcare altra acqua! Shackleton e i suoi cinque compagni, stremati, riescono finalmente a sbarcare nell'isola della Georgia del Sud, ma li attende un'ultima maledetta sorpresa. Dove accidenti siamo? Siamo nella Georgia australe, però sfortunatamente la stazione delle baleniere è dall'altra parte dell'isola. E in mezzo c'è la montagna! Non dovrebbero permetterle di leggere la bussola da solo. E' davvero il colmo dopo tutto questo viaggio pazzesco, perché ecco il punto dove sono arrivati i sei uomini. Qui, a base della barriera, si trova proprio dall'altra parte. In mezzo ci sono delle montagne e non solo. Sono montagne da poco, arrivano a 1300 metri con dirupi, ghiacciaie e poi venti, venti a cento chilometri d'ora. Una vera barriera in attesa, specialmente per chi è allo stremo e finalmente pensava di aver raggiunto la salvezza. Dobbiamo decidere sul da farsi. Credo sia difficile mettere in acqua la Caird. Lo credo anch'io. Dovremo andare via terra. Quelli che non possono camminare resteranno qui, torneremo a prenderli. Il nostro uomo è messo male, Cipi da solo non ce la fa. Resterà qui anche MacCarty. Ha mai scalato una montagna, capitano? No. Neanche io. Saranno accontenti gli Albatross. I tre uomini portano con sé un'ascia, una corda della vela per legarsi, e si piantano nelle suole delle scarpe dei chiodi della barca, per affrontare meglio il ghiaccio. Qui non si può scendere, proviamo ad andare più avanti. Un minuto solo, ne ho bisogno, devo dormire. Sveglia, sveglia! È già passata mezz'ora! Cosa? Avete dormito mezz'ora! A Londra nessuno sa niente di quello che sta succedendo a quegli uomini dispersi tra i ghiacci dell'Antartide. Solo più tardi Shackleton racconterà in famiglia le speranze, le fatiche e i tormenti di quell'impresa. A Londra vive la nipote di Shackleton, Alexandra, che porta oggi il titolo di onorevole e che conserva oggetti e documenti appartenuti al nonno. L'abbiamo incontrata al museo dedicato alle esplorazioni polari di Cambridge. Quei tre uomini non erano alpinisti, erano marinai, quindi era una scalata molto difficile per loro. No, non erano alpinisti, non avevano l'equipaggiamento adatto. Inoltre le montagne della Georgia... del sud erano sconosciute perché nessuno era mai penetrato in quella zona e tantomeno aveva scalato quella montagna. Avevano portato questo oggetto estremamente utile. Sì. È una pentola. È una pentola per cuocere su un piccolo fornello. Poter mangiare del cibo caldo era molto importante con quelle temperature. E qui sotto c'era il fuoco. Sì, e come vede il coperchio è un po' ammaccato. E questo è un boccale? Sì, per bere, ma dentro si potevano mettere la minestra, lo stufato, e aveva questo manico con le alette per poterlo ripiegare. Qui ci sono le iniziali di mio nonno. Durante questa scalata è accaduto qualcosa di strano, perché hanno avuto la sensazione che un quarto uomo camminasse con loro. Sì, quando erano stremati e a corto di cibo, in alta quota mio nonno ha detto di aver avuto la sensazione che con loro ci fosse una quarta persona. Era una presenza benevola, amica. Lui non la vedeva quella persona, ma ne avvertiva la presenza. Anche gli altri due hanno poi detto di aver avuto la stessa sensazione. Mio nonno non ne ha parlato molto, perché temeva di essere deriso. Allora, che ore sono? Alle sette più o meno. Esattamente, che ore sono esattamente? Alle sette, qualche minuto prima delle sette, perché? Sentite? Cosa? Il mio nome è Ernest Shackleton. Abbiamo... abbiamo perso la nostra nave e siamo ritornati su quest'isola. Ernest Shackleton, amico. Ci scusi, abbiamo un cattivo odore. È una stazione di baleniere. Qui un po' tutti abbiamo un cattivo odore. Shackleton organizza subito i soccorsi. Anzitutto bisogna salvare i tre uomini rimasti dall'altra parte della montagna. E questo viene fatto in tempi rapidi, grazie a una nave baleniera ben adattata. per navigare in questi mari. Il problema è quello di raggiungere gli altri 22 che aspettano di essere salvati nell'isola dell'elefante, a quasi 1500 km di distanza. prigionieri dei ghiacci. I mesi passano e sull'isola la situazione si fa sempre più difficile. Molti sono ormai debilitati, denutriti e un marinaio, quello che si era imbarcato clandestinamente, davvero è stato un'esplosione. Deve sottoporsi a un intervento di amputazione per congelamento. Un intervento realizzato in condizioni molto precarie. Quando lo appoggio sul viso respira profondamente, capito? Sì, signore. Pronto? Sì. Ti dispiace tenerlo, Frank? Venda, grazie. Mi puoi passare anche l'alcol medico? Sono ormai oltre quattro mesi che i 22 uomini si trovano bloccati nell'isola dell'elefante. A quel punto in molti c'è la quasi certezza che... che Shackleton non sia riuscito nella sua traversata in barca e che non ci sia più speranza di uscire vivi da questa situazione anche perché un nuovo inverno è alle porte non sanno più niente di quello che sta avvenendo e nessuno tranne Shackleton sa dove sono nessuno sapeva dove fossero avrebbero potuto anche essere su Marte nessuno avrebbe saputo dove cercarli in altre parole se Shackleton Shackleton non avesse raggiunto la base delle baleniere, sarebbero stati completamente perduti. Credo che sarebbero morti di fame lentamente e penso comunque che l'inverno sarebbe stato troppo duro da sopportare. Ma cosa mangiavano? Naturalmente c'erano una quantità di foche e pinguini, ma erano stagionali e ormai rimaneva soltanto qualche foca. Ma qualcuno non voleva mangiare i pinguini a cavolo? causa di una superstizione. Uno dei marinai inizialmente si rifiutava di mangiare i pinguini perché secondo la leggenda in un pinguino morto c'è l'anima di un marinaio, ma alla fine la fame ebbe il sopravvento. A volte dentro le foche si trovavano dei pesci. Bisognava essere molto fortunati, ma a volte capitava. Magari le foche non lo avevano digerito e allora il pesce era intero. Il morale di queste persone com'era? Perché praticamente erano prigionieri dei ghiacci in un'isola lontanissima. Il comando era stato affidato a Frank Wilde e la consegna di Shackleton era che bisognava sempre infondere ottimismo. ottimismo. Wild ogni giorno diceva agli uomini, mettete tutto in ordine, perché oggi potrebbe arrivare il capo. Non c'erano dubbi, il capo sarebbe arrivato, bisognava essere pronti. In questo modo la gente rimaneva unita. Shackleton cerca con ogni mezzo di tornare a prendere i suoi uomini. Fa persino arrivare dal Canada la Discovery, la nave della sua prima spedizione in Antartide con Scott. La Discovery arriva infatti fino in Sud America, a Montevideo. Ma a quel punto un'altra nave, un rimorchiatore cileno, riesce finalmente a trovare un passaggio fra i ghiacci e raggiungere i naufraghi all'isola dell'Elefante. È un momento di emozione indescrivibile per tutti. Dov'è Marston? Chi non c'è non mangia. C'è una nave! Una nave! Andiamo, presto! C'è una nave! Stiamo in operazione. State tutti bene? Sì, tutti bene, capo! Stiamo tutti bene! Tutti bene, capo! McElroy, McLean, White, Hudson, Holmes... Dopo ben quattro tentativi con navi diverse, finalmente... Shackleton raggiunse l'isola dell'Elefante il 30 agosto del 1916. Era partito con la James Caird quattro mesi e sei giorni prima. Il rimorchiatore a vapore Yelko era del tutto inadatto ai soccorsi, ma per fortuna il ghiaccio si sciolse e lo Yelko riuscì ad avvicinarsi. Ma per evitare che restasse intrappolato nei ghiacci durante il ritorno, Shackleton non mise neanche piede a terra. Questa è la foto scattata dal fotografo della spedizione nel momento in cui la nave viene avvistata. Un salvataggio insperato e atteso da oltre quattro mesi, quando ormai sembrava che tutto fosse perso. I 22 uomini vengono imbarcati con grande rapidità, per evitare che i ghiacci tornino a chiudersi, e il rimorchiatore riparte portando tutti in salvo. L'arrivo a Valparaiso è trionfale. L'annuncio del salvataggio dell'equipaggio dell'Endurance crea una grande emozione. Tutti accorrono per vedere questi uomini che hanno resistito così a lungo in una situazione estrema e a festeggiare l'eroe del momento, Shackleton, che con la sua impresa disperata è riuscito a salvare tutti. Shackleton con i suoi uomini rientra a Londra il 30 maggio del 1917, quindi quasi tre anni dopo essere partito. Non ha raggiunto l'obiettivo che si era posto, cioè la traversata a piedi dell'Antarctis. Perché prima ancora di approdare sul continente antartico, la nave è rimasta stritolata dai ghiacci ed è affondata. Ma l'impresa di Shackleton è ormai diventata una leggenda, superando ogni problema. ogni immaginazione, al punto che Raymond Presley, uno dei più autorevoli geografi ed esploratori inglesi, si spinge a scrivere, mettete Scott a capo di una spedizione scientifica, Amundsen per un ride rapido e efficace, ma quando siete nell'avversità e non intravedete via d'uscita, inginocchiatevi e pregate Dio che vi mandi Shackleton. Grazie a tutti! I compagni di Shackleton, sopravvissuti ai ghiacci dell'Antartide, si ritrovano tra le trincee e i mari della Prima Guerra Mondiale. Due di loro, il terzo ufficiale Alfred Cheetham e il marinaio Tim McCarthy, uno degli eroi della James Caird, rimangono vittime dei siluri tedeschi. Molti di questi uomini, a vario titolo e con diversi incarichi, legheranno la propria esistenza al mare. Chi nella marina militare, chi in quella mercantile. L'ufficiale di rotta Hubert Hudson morirà nel 1942 nelle acque dell'Atlantico, mentre Frank Worsley viene stroncato dal cancro nel 1943, mentre collaborava con la Croce Rossa nell'Europa sconvolta dal secondo conflitto. Se alcuni dei sopravvissuti hanno trascorso la loro vita tra il mare e gli impieghi più disparati, altri hanno avuto importanti carriere, chi nella medicina, come Alexander Macklin, James McElroy e Leonard Assey, il meteorologo suonatore di banjo. Decisamente avventurosa la vicenda del motorista e ingegnere Thomas Ordilise, che dedicherà la vita al paracadutismo e avrà un ruolo di primo piano nell'organizzazione della fortunata spedizione antartica di Fuchs e Hillary negli anni 50. Sicuramente più tranquilla la scelta di Frank Wilde, il secondo di Shackleton, che trascorrerà il resto dei suoi giorni nella propria tenuta in Sudafrica. Una citazione a parte merita Frank Harley. il fotografo della spedizione, che trascorrerà la vita sempre dietro l'obiettivo, sia sui campi di battaglia dei due conflitti mondiali, sia in Antartide e nella nativa Australia, divenendo un punto di riferimento per chi si cimenta nella professione di documentarista. A lui si deve South, il documentario del 1919, che costituisce la testimonianza più cruda della spedizione dell'Endurance. Quando non stava pianificando una spedizione, diceva sempre a mia nonna che non sarebbe andato via di nuovo, ma poi partiva. L'ultima volta mia nonna ha scritto, mi rendo conto che non puoi mettere un'aquila in gabbia. Il successo della spedizione era legato anche alla forte personalità di Shackleton. Sì, diceva spesso che l'ottimismo e il vero coraggio morale era un uomo molto romantico che scriveva poesie, ma aveva anche un grande spirito pratico ed era in grado di fare qualsiasi lavoro, anche manuale, cosa molto insolita per l'epoca. Lei ha portato qui un ricordo che lei è molto caro. Questa è la medaglia polare, con le sue tre spedizioni, Discovery, Nimrod e Endurance. È un oggetto che racchiude, per così dire, tutta una vita. Sì, e vorrei tanto aver conosciuto mio nonno. Grazie. Nel 1922 l'Aquila nuovamente decide di uscire dalla sua gabbia e di ripartire per l'Antartide per la quarta volta con una nuova nave e a lui si uniscono otto uomini che facevano parte dell'equipaggio dell'Endurance. Appena arrivato nella Georgia australe, Shackleton però improvvisamente muore di infarto. La moglie Emily, interpretando un desiderio del marito, chiede ai suoi compagni di seppellirlo là, in quelle terre che aveva tanto amato e dove aveva espresso le sue qualità più alti di uomo e di esploratore. E così, accanto a queste poche tombe bianche, nel cimitero della stazione baleniera di Great Weekend, nella Georgia del Sud, c'è un semplice cippo. con il suo nome e la data di nascita e di morte. A Cambridge, al Polar Institute, è conservato il diario della sua ultima spedizione in Antartide. L'ultima pagina, il 4 di gennaio, si conclude con una frase molto romantica. Dice, nella pelombra del crepuscolo ho visto una stella solitaria brillare come una gemma sopra la baia. E qui si conclude il suo racconto. e anche la sua vita. Ma altrettanto eroici erano i fedelissimi cani da slitta che subivano le stesse sofferenze degli uomini che li comandavano. Ma Scott, Amundsen e Shackleton non furono i soli a tentare di conquistare i poli. Gli italiani sono sempre stati protagonisti, fin dall'avventura della nave Stella Polare guidata da Luigi Amedeo Duca di Savoia nel 1899 alla conquista del nord. Un'impresa di tale coraggio da ispirare la poesia di Giovanni Pascoli, che dedicò agli ardimentosi l'inno al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni. Tu, dalle tenebre fulte dove si muove il gran carro, tu ci porti una vittoria. Eccolo, o Duca Latino. Ecco il pane di farro, pane del nostro cammino. Gloria, La spedizione passò ad Umberto Cagni dopo l'abbandono dell'imbarcazione incastrata tra i ghiacci e il comandante raggiunse tramite slitte tra i nati racani la massima latitudine per quel tempo, 86° e 34' Ma anche nell'emisfero sud i risultati sono stati di primissimo rilievo, soprattutto dal secondo dopoguerra in poi. Fu una spedizione indipendente, nel senso che avevamo l'autonomia sia delle ricerche scientifiche che avremmo dovuto fare, sia anche di percorsi alpinistici che i tre alpinisti che ci accompagnavano come guide avrebbero voluto fare. Prima di noi erano stati in Antartide solo pochissimi italiani a titolo individuale. La spedizione del 1968-69 era del Club Alpino Italiano e del Consiglio Nazionale delle Ricerche e costituì la base, grazie al fatto che portiamo indietro campioni di rocce e di vario altro materiale, per il Consiglio Nazionale delle Ricerche di lanciare due altre spedizioni negli anni 70. Nel 1926, sullo sfondo della crescita del potere di Mussolini, il generale Umberto Nobile, uno dei principali ingegneri aeronautici d'Italia, su un dirigibile a struttura semirigida da lui progettato, il Norge, insieme all'esploratore norvegese Roald Amundsen e al miliardario americano Lincoln Hillsworth, compì la trasvolata del Polo Nord. Due anni dopo, Umberto Nobile sorvola il polo con il dirigibile Italia, che precipita durante il viaggio di ritorno. 7 le vittime tra l'equipaggio, 8 tra i soccorritori E ora l'impresa da record dell'americano Colino Brady a traversare da solo e senza assistenza uno dei luoghi più inospitali della terra, l'Antartide. Obiettivo raggiunto e documentato su Instagram. Sentiamo Giacomo Segantini. Il 47° giorno, il più difficile, venti sferzanti, temperature proibitive, zero visibilità. Anche questo passerà il motto di Colin O'Brady, 33enne americano specializzato nell'impossibile. Dieci anni fa, dopo un'inferno, un incidente che lo aveva lasciato ustionato su un quarto del corpo, un medico gli disse che non avrebbe più camminato normalmente. Oggi è il primo uomo ad aver attraversato l'Antartide da una parte all'altra da solo e senza assistenza. venergli in compagnia soltanto un sole che in estate non tramonta mai e la sua slitta carica di provviste ed equipaggiamenti. 54 giorni di freddo, solitudine, fatica e dolore raccontati sulla sua pagina Instagram. 1482 chilometri sui sci di fondo di cui gli ultimi 125 percorsi tutti d'un fiato perché ad inseguire il suo stesso record c'era anche un rivale, Louis Rad, militare britannico che tentava l'impresa in ricordo di un suo comilico. morto due anni fa a un centinaio di chilometri dal traguardo ma ad arrivare per primo alla barriera di ross sul pacifico è stato colin una sfida degna della leggendaria corsa al polo sud del 1911 tra il norvegese a monsen e il britannico falcon scott