Nelle scorse lezioni abbiamo cominciato ad addentrarci nel pensiero di Hegel, il più grande filosofo dell'idealismo tedesco. Oggi iniziamo però, dopo questa lunga introduzione, a vedere anche le sue opere. In particolare affronteremo il primo capolavoro hegeliano che è la Fenomenologia dello Spirito. Spiegheremo il perché di questo strano titolo, spiegheremo di cosa parla e cercheremo di ricollegarci a tutti quei pilastri che abbiamo messo nelle precedenti lezioni. Andiamo a cominciare.
Musica Musica Come al solito il caffè c'è, Batman è presente anche lui, non serve far l'appello, è sempre qui con noi a seguire il nostro corso di filosofia, vuole sapere come va a finire la storia di Hegel e oggi faremo un importante passo avanti. vi dicevo affronteremo la Fenomenologia dello Spirito che è un'opera di capitale importanza. Prima però di vederla vorrei farvi una piccola premessa, cioè confrontare tra loro le due grandi opere di Hegel, le due opere di Hegel che sono le più importanti e le più importanti. due opere di cui parleremo, appunto questa Fenomenologia e l'Enciclopedia delle Scienze Filosofiche, perché in realtà questi due capolavori, questi due trattati affrontano sostanzialmente lo stesso tema, che è la risoluzione del finito nell'infinito, il grande tema da cui siamo in fondo partiti, abbiamo detto in principio che tutta la filosofia di Hegel è un tentativo di mostrare come il finito, cioè noi, le cose singole, l'unità, Si è in realtà solo una faccia di una unità più grande dell'intero, del tutto.
dell'infinito, che cioè il finito da solo non abbia alcun senso e che l'unica cosa che abbia senso nella realtà sia l'infinito, l'assoluto, il tutto. Ora questo tema, come vi dicevo, è centrale nell'una e nell'altra opera, però viene affrontato da due prospettive diverse, perché nella fenomenologia l'intento di Hegel è quello di mostrare come la coscienza individuale può compiere un percorso che la porta a renderci conto di essere parte del tutto. Quindi in questa prima opera partiremo dall'individuo, partiremo dal singolo, partiremo dalla coscienza, cioè da quello che c'è dentro ognuno di noi e poi tramite un percorso come sempre dialettico, triadico, arriveremo a mostrare come la coscienza individuale non ha senso da sola, ma è solo una faccia, un aspetto di una coscienza più grande, di uno spirito più grande, di un assoluto.
E questo è quello che avviene. Hegel fa nella fenomenologia dello spirito. Nell'enciclopedia invece affronta la stessa questione da un altro lato, potremmo dire, perché invece di guardare al singolo, invece di partire dal singolo, guarda alla realtà, non ha più una prospettiva che è prima introspettiva e poi si allarga. Studia l'assoluto nella realtà, come esso si manifesta nel mondo. Arrivando a parlare ad esempio dello stato arrivando a parlare dell'arte, lo vedremo, ne parleremo.
Quindi alla fine quello che mi preme farvi capire è questo, il tema è sempre lo stesso, le due opere non sono una in contraddizione con l'altra, né la continuazione dell'altra, sono la stessa cosa in sostanza, cioè compiono tutto sommato lo stesso cammino, il cammino che va dal finito all'infinito, solo che la fenomenologia lo fa partendo dal singolo, dall'uomo, dalla coscienza individuale e fa questo. cammino. L'enciclopedia lo fa partendo dalla realtà, da ciò che ci circonda. Non è un caso che la fenomenologia che Hegel scrive per prima poi venga in qualche modo fatta rientrare anche all'interno dell'enciclopedia, cioè quando Hegel, anni dopo, si mette a scrivere l'enciclopedia, riprende alcuni temi della fenomenologia, anzi la maggior parte dei temi della fenomenologia e li inserisce dentro il suo suo percorso enciclopedico, cioè in un certo senso, a distanza di qualche anno, la fenomenologia diventa una sorta di sottosezione dell'enciclopedia delle scienze filosofiche.
Questo per dimostrarvi come proprio queste due opere di fatto abbiano lo stesso tema. Quindi, come vi dicevo, la fenomenologia parte dalla coscienza individuale, anzi può essere definita così. È la storia romanzata, e lo vedremo per te. perché? Della coscienza che tramite un percorso di etico, complicato, fatto anche di cadute e di negatività, riesce ad uscire dalla sua singolarità, dalla sua individualità e riesce a riconoscersi come parte dell'infinito.
Per questo il titolo è Fenomenologia dello Spirito, cioè fenomeno va ricondotto alla radice greca del termine che già, se vi ricordate, Kant aveva ripreso, fenomeno è ciò che appare. Allora, la fenomenologia dello spirito è lo studio di come lo spirito appare alla coscienza, potremmo dirla così, è lo studio, il discorso, che mostra come il tutto si presenta tramite un percorso alla coscienza. Come vi dicevo è una storia romanzata e anche Hegel stesso insiste su questo tema e qui si vede anche in un certo senso l'influsso del romanticismo, cioè l'idea è quella che la coscienza compie un percorso che in fondo è una storia, è una narrazione, è un racconto. Ogni percorso, ogni strada, ogni sviluppo dialettico ha una storia dentro.
che è fatta di cadute e rinascite, di crolli e ripartenze. Allora anche questo si vede nella fenomenologia e in particolare si vede dal fatto che Hegel fa un grande ricorso a quelle che vengono chiamate solitamente delle figure. Cioè queste figure sono delle esemplificazioni narrative, in genere delle storie proprio, in certi casi. che servono a chiarire il percorso della coscienza tramite proprio degli esempi, cioè delle storielle potremmo dire, ma vedremo sono anche abbastanza complicate, sicuramente con un pesante influsso filosofico.
significato anche profondo, però degli esempi, delle figure appunto, tramite cui Hegel vuole mostrarci qual è il cammino compiuto da questa coscienza. Non a caso la fenomenologia Nomenologia dello Spirito era stata intesa dal filosofo come un'opera prettamente pedagogica, cioè un'opera che doveva non solo spiegare il sistema hegeliano, ma doveva anche spingere il lettore a compiere egli stesso quel percorso. Cioè Hegel nell'opera mostra come la coscienza faccia un cammino per riconoscersi parte del tutto, per riconoscersi unità di ragione e realtà. Ma questo percorso dovrebbe farlo anche il lettore.
il lettore dovrebbe sentirsi trascinato da questa storia e quindi anche da questo, tra virgolette, romanzo e riconoscersi in quella coscienza e riconoscersi quindi anche poi nel tutto, nella totalità, a cui quella coscienza del libro approva. In fondo l'opera era insomma un invito a lasciare la solitudine dell'individualità e abbracciare. La moltitudine del tutto, potremmo dirla anche così. Chiaramente la fenomenologia dello spirito è un'opera articolata sostanzialmente in tre momenti, in tre fasi.
Perché? Perché la legge della storia La legge dialettica, la legge del tutto, è una legge triadica, abbiamo detto l'altra volta, cioè è organizzata in tre momenti, in tre tappe, la tesi, l'antitesi e la sintesi, vi ricordate, nel momento astratto intellettuale e così via. Ora, anche l'opera è quindi strutturata in tre grandi sezioni, in tre grandi parti. Vedremo che questo schema triadico si ripeterà sempre, non solo... nel pensiero di Hegel ma anche proprio nella struttura dei suoi libri e dei suoi percorsi.
Quindi, ripeto, la fenomenologia è strutturata in tre parti che sono una triade generale che è costituita da coscienza, autocoscienza e ragione. Ricordatevelo, tenetevelo bene in mente, vi mostro anche schematicamente come funziona. Coscienza, autocoscienza, ragione.
Detta in parole semplici, poi le approfondiamo meglio, queste tre... tappe la coscienza è il momento in cui ci si rivolge si rivolge la propria attenzione all'oggetto l'autocoscienza il momento in cui si rivolge la propria attenzione invece al soggetto e la ragione è il momento in cui da buona sintesi finalmente ci si rende conto che soggetto oggetto non sono due momenti antitetici contrarie l'uno all'altro ma si comprendono nell'unità cioè sono parti del tutto, cioè il momento di raggiungimento di questa comprensione e di appartenenza all'unità, alla totalità, all'infinito. Partiamo dunque dalla prima tappa della tesi che è la coscienza, il momento in cui la coscienza individuale, l'io, ciò che siamo dentro, prende coscienza dell'oggetto, cioè di qualcosa che c'è fuori di noi.
È il momento di partenza, no? Quando noi ci troviamo parte del mondo, la prima cosa che cerchiamo di fare è capire dove ci troviamo, ci guardiamo attorno, no? E anche la filosofia ha fatto questo.
La filosofia è stata per un lungo tempo un tentativo di capire Che cosa sono gli oggetti e in che modo dobbiamo relazionarci con essi? Ora, questa coscienza dell'altro, dell'oggetto, di ciò che c'è fuori di noi, parte, secondo Hegel, da una prima tappa iniziale, che è quella della certezza sensibile. Cioè, è la conoscenza basata sui sensi. È quella che era stata esaltata dagli empiristi, in fondo, no? Io mi guardo attorno, vedo Batman, lo vedo con i miei sensi, e i miei sensi mi sembrano certi, mi sembrano sicuri, mi danno appunto una certezza sensibile che mi sembra solida, lo vedo e non mi viene sostanzialmente neppure in mente di negare che lui sia qui, che esista e che sia come io lo percepisco.
Hegel questo lo dà per scontato, è il punto di partenza di ogni percezione, di ogni conoscenza, però dice anche, attenzione, Io che cosa conosco coi sensi? Conosco quello che ho davanti ai sensi. Cioè io adesso guardo Batman, lo conosco, ma lo conosco perché ce l'ho davanti agli occhi. Se io lo lasciassi ai miei figli per qualche giorno e non lo vedessi più, non lo avessi più davanti agli occhi, non è detto che poi lo ritroverei come l'avevo lasciato.
Non è detto che la mia conoscenza di lui possa essere ancora valida tra qualche giorno. Perché da qualche giorno lui potrebbe essere cambiato, mutato, rotto, distrutto, colorato in molti modi, povero Batman. Capite? Cioè, la conoscenza che io ho... degli oggetti da medici e scienze ha una conoscenza parziale perché anche ammettendo che i sensi non mi ingannino io ciò che conosco lo conosco finché ce l'ho davanti agli occhi appena scompare dalla mia vista io non so più che fine lui faccia non so più cosa gli accada non so più se esiste oppure no o in che modo esista quindi la conoscenza è sempre una conoscenza di qualcosa qui e ora Ich et Nunc, usano i termini latini, no?
Io conosco Batman, ma questo Batman, in questo momento, in questo luogo. Domani chissà se lui sarà ancora così. Dopo domani, ancora peggio, in un altro luogo chissà.
Primo difetto. Secondo difetto, attenzione che i difetti sono vari. Secondo difetto, come dicevo, io conosco questo Batman, quello che ha davanti agli occhi.
Boh? Però mettiamo che io voglia parlare, ed è un pupazzetto di pezza, mettiamo che voglia parlare di tutti i pupazzetti che esistono nel mondo, perché in fondo quando si fa scienza, quando si vuole conoscere, non si si accontenta di conoscere la singola cosa. Il singolo uomo, si vuole parlare degli uomini, no? Io posso studiare come sono fatto, no? Ho due occhi, un naso, una bocca, eccetera però che me ne faccio di sapere come sono fatto io?
E basta! Uno scienziato vuole capire come sono fatti tutti gli uomini, giusto? E quindi guarda me, guarda un altro uomo, guarda un altro uomo ancora e poi cerca di astrarre, di trovare delle regole generali Ora, con la tritezza sensibile questo non si può fare, perché, rileva Hegel, io conosco sempre ciò che ho davanti, cioè mi guardo allo specchio, vedo me, come posso dopo aver visto me, conosciuto me, dire gli uomini sono fatti così? Eh non lo so come sono fatti gli uomini, so come sono fatto io, fine. Non so come sono fatti i pupazzi, so come ha fatto lui, e basta, perché io con i sensi vedo lui e non vedo tutti gli altri, capite?
Quindi la conoscenza sensibile è sempre una conoscenza sensibile. di questo, di qui, di ora, ed è difficile che una conoscenza sensibile ci possa, una certezza sensibile come la chiama Hegel, ci possa portare a parlare di tutti gli esemplari di un gruppo, cioè ci possa portare a universalizzare. Quello non è legittimo, capite?
Ci può indurre in errore. A questo punto Hegel si rende conto che il baricentro di questa coscienza non è tanto l'oggetto quanto il soggetto, perché vi ho detto... Quando io conosco questo signor Batman, conosco questo, l'ho già detto, questo, qui e ora.
Ma le parole questo, qui e ora non dipendono da lui, dipendono da me. Sono io che lo indico e dico questo, sono io che dico qui, sono io che dico ora. Se io mi sposto, il questo qui e ora, vado in un'altra stanza e guardo il muro, il mio questo diventa il muro, non è più Batman.
Il mio qui non è più qui dove sono adesso, è là dove andrò. Il mio ora non è più questo istante, è l'istante in cui sarò. Cioè, questo qui e ora sono termini mutevoli che cambiano a seconda di dove io mi sposto.
Cioè, non dipendono dal mondo quindi, dipendono da me, dal soggetto. E qua già... ci stiamo spostando, perché capite siamo ancora nella coscienza, che è coscienza di qualcosa che c'è fuori di noi, però gli equilibri mutano perché Hegel inizia a renderci conto, o ci sta portando in un cammino in cui dovremmo anche noi iniziare a renderci conto che il centro vero non è l'oggetto, è il soggetto, di fatti stiamo passando dalla certezza sensibile alla percezione che è la sua antitesi infatti nella percezione noi È vero che guardiamo le cose, ma ci rendiamo conto che noi non percepiamo mai l'unità della cosa, percepiamo le caratteristiche della cosa.
A unificare queste caratteristiche è l'io, cioè sono io che conosco. Diciamo un esempio, sono cose che in realtà, guardate, abbiamo già visto parlando degli empiristi, Sto riprendendo alcune riflessioni già fatte da altri, però usandole un po'per il suo ragionamento, per portarsi dove vuole portarsi lui. Allora, io guardo Batman?
Io vedo Batman? In realtà non vedo Batman. Io vedo il nero, vedo il rosa, vedo il bianco, tocco e sento un po'felpato, come dire, morbido.
Capite? Io non percepisco Batman. Io percepisco il morbido, il felpato, il bianco, il nero. Vi ricordate? Lo diceva anche Locke questo, no?
Percepisco queste cose. A dire se è morbido e felpato, nero con questi occhi fatti così, queste forme eccetera eccetera, allora deve essere Batman. Questo ragionamento che unisce... unifica le percezioni a delineare un oggetto, lo facciamo noi, è qualcosa di interiore, capite?
Allora la percezione è quel momento, dice Hegel, in cui ci rendiamo conto che a unificare le percezioni è sempre l'io e quindi che la conoscenza del mondo esterno deriva sempre da qualcosa che c'è dentro di noi più che da qualcosa che c'è fuori di noi, capite? Perché l'unità delle percezioni la stabiliamo noi. Questa riflessione Portaeghe è la prima parte del discorso, perché noi siamo partiti dalla coscienza, la coscienza è prendere coscienza di ciò che c'è fuori di noi, una presa di coscienza che parte dalla certezza sensibile, cioè dal... Usare i sensi e credere che quello che viene avanti sia reale, passare alla percezione, in cui ci rendiamo conto che più che fuori è il dentro di noi a unificare, infine concludiamo con la sintesi che è l'intelletto.
L'intelletto è il momento in cui ci rendiamo conto che gli oggetti Non esistono in quanto oggetti per noi, esistono in quanto fenomeni, cioè realtà rappresentata all'interno della nostra coscienza. Quando vi ho detto io non vedo Batman, vedo il nero, il bianco eccetera eccetera eccetera, dove li vedo? e dove li unifico, queste cose, dentro di me.
Ma allora la coscienza non è in realtà coscienza di qualcosa che c'è fuori di me, è in realtà coscienza di qualcosa che c'è dentro di me, perché le percezioni sono dentro di me, e unificare queste percezioni è qualcosa che c'è dentro di me. Allora capite? La coscienza non è mai in realtà coscienza, è il primo punto, è ingenuo pensare che io prenda coscienza del mondo. Mi rendo conto tramite questo percorso che io non prendo coscienza del mondo, piuttosto prendo coscienza di me, di qualcosa che c'è dentro di me, perché il mondo è dentro di me.
Quello che dicevamo già con Fichte e con l'idealismo, se vi ricordate, no? Il mondo è una mia rappresentazione, il mondo non è qualcosa che c'è fuori di me, perché io quello che c'è fuori di me, chi lo sa cos'è? Io conosco il fenomeno, non il numero.
Il fenomeno è il mondo visto da me. Quindi il baricentro sono io, non è il mondo. E se il baricentro sono io, allora è inutile ostinarsi a credere di voler capire il mondo, di poter capire il mondo. Dobbiamo invece capire noi stessi. E quindi bisogna passare dalla coscienza all'autocoscienza.
Abbiamo chiuso la prima parte, la coscienza, rendendoci conto che è ingenuo limitarci alla coscienza e che dobbiamo passare al suo posto. all'autocoscienza, cioè al prendere coscienza non di ciò che c'è fuori di noi, ma di noi stessi. E infatti questa è la seconda tappa del percorso.
Ora spero che il percorso fin qui sia chiaro, non sono andato particolarmente veloce, che semmai vi ascoltate, ma riassumo, magari semplificando anche un attimo, per farvi tenere il filo del discorso. Hegel vuole studiare la coscienza individuale e il modo in cui si rapporta col mondo. Ora, il modo più ingenuo di rapportare con il mondo, da portarsi col mondo è quello di guardarsi attorno.
Questo guardarsi attorno, usare i sensi, si porta, se ci riflettiamo bene, a capire che la colazione è una cosa che non La conoscenza basata sui sensi è una conoscenza molto superficiale e soprattutto che è una conoscenza che non è mai veramente dell'esterno, perché il mondo che noi conosciamo è un mondo più interiore che esteriore. Io ripeto, quando guardo Batman, Io cosa conosco di Batman? Conosco il colore, ma il colore cos'è? Il colore oggi diremmo è un impulso che arriva al nostro cervello. I colori non esistono, no?
I colori sono il modo in cui i nostri occhi percepiscono come le onde rimbalzano, no? Allora, i colori cosa sono? Sono qualcosa che esiste dentro di noi. Non nella realtà, se io qua spengo la luce e il nero non esiste più, il nero sì, ma il rosa non esiste più. Il rosa è il modo in cui noi percepiamo come la luce viene riflessa o trattenuta dagli oggetti, no?
Allora, le percezioni, queste cose, non esistono fuori di noi, esistono dentro di noi. Quindi la realtà che noi conosciamo è qualcosa che c'è dentro di noi. È un fenomeno, cioè è un oggetto scritto nella nostra coscienza.
Tutto la conoscenza, tutto il modo di conoscere che noi abbiamo è qualcosa che funziona dentro di noi. Appunto per questo non bisogna limitarsi a guardare fuori, bisogna prima di tutto rendersi conto che siamo noi a unificare ciò che c'è fuori, quindi passare alla percezione e finire rendersi conto che conoscere il mondo esterno significa prima di tutto conoscere la nostra coscienza e quindi riflettere su di noi. E quindi passare tramite l'intelletto alla autocoscienza che adesso affrontiamo. Autocoscienza che è la parte più importante della fenomenologia, non perché sia quella culminante, quella culminante abbiamo detto ha la ragione, è l'ultima, ma su quella diremo poche cose.
Perché è quella che ha avuto più successo storicamente, perché è stata ripresa da molti pensatori, perché ha influenzato anche scuole filosofiche ben diverse da quella hegeliana. Qui Hegel ha riversato alcune idee che insomma erano per l'epoca molto interessanti e quindi attenzione perché adesso arriva il clou. In particolare nell'autocoscienza Hegel sfrutta quelle figure di cui parlavamo prima cioè esemplifica proprio i suoi ragionamenti con dei racconti potremmo dire che hanno avuto un grandissimo successo. La prima di queste figure è quella che solitamente viene ricordata come dialettica servo padrone, oppure dialettica signoria servitù, la trovate a seconda dei libri di testo con nomi lievemente diversi, traduzioni lievemente diverse, ma è sempre quella.
Io lo chiamerò dialettica servo padrone. In cosa consiste questa figura? È una riflessione, diciamola così, sul modo in cui l'autocoscienza possa riconoscersi.
Allora, ogni autocoscienza... Cioè ognuno di noi, potremmo dirla così, interiormente, per capire chi è, ha bisogno di confrontarsi con un altro. Cioè ha bisogno di, in un certo senso, specchiarsi nell'altro.
Ha bisogno di lottare anche con l'altro, di mettersi alla prova con l'altro, di dialogare con l'altro, di appunto riflettersi e specchiarsi, perché da soli noi non ci vediamo, no? Abbiamo bisogno di uno specchio. che ci possa riflettere e dirci, mostrarci cosa siamo e cosa non siamo. Ora, questo bisogno era già stato sottolineato, affrontato da Hegel nei suoi scritti giovanili, cioè aveva già trattato in parte questo tema. Ed era arrivato a dire che, all'epoca, il modo migliore per autoconoscersi, per riconoscersi tramite l'altro, era passare attraverso l'amore.
Perché l'amore portava a questo... reciproco riconoscimento. Io riconoscevo te, tu riconoscevi me e così ognuno indirettamente finiva per conoscere se stesso. Questo amore viene però messo da parte da Hegel nella dialettica servo padrone e nella fenomenologia dello spirito perché sceglie una figura diversa stavolta. Ritiene passato qualche anno che l'amore non sia un esempio poi così calzante perché Nell'amore non c'è questa carica di lotta, di difficoltà, di caduta, che invece lui voleva mostrare.
L'autocoscienza è pur sempre l'antitesi, no? Coscienza è la tesi, autocoscienza l'antitesi e la ragione la sintesi. Quindi l'autocoscienza è un momento di caduta, di negatività, di scontro.
L'amore non manifesta troppo bene questo aspetto dello scontro. Scegli un altro modo, che è appunto quello del rapporto servo-padrone. dice questo Hegel quando due autocoscienze si confrontano?
Si confrontano cercando di dominarci a vicenda per lo più. E chi è che alla fine domina l'altro? Chi è che prevale sull'altro? Chi è che diventa padrone mentre l'altro diventa servo? L'autocoscienza che predomina sull'altro è quella che è disposta a mettere a rischio la propria vita.
Cioè quando noi entriamo in un rapporto con qualcun altro, un rapporto potremmo dire di forza e di lotta, chi è che vince questa lotta che noi mettiamo in piedi con gli altri? La vince chi non ha paura potremmo dire, no? Chi è più forte? Non è proprio così secondo Hegel, non vince necessariamente chi è più forte, vince chi non ha paura, cioè vince chi non ha paura di rischiare, la sua vita fino alle estreme conseguenze.
In fondo, pensateci, mettiamo che voi conosciate una persona che sembra voler rubare nel vostro territorio, che sembra mettere a rischio il vostro ruolo. ingaggiate con questa persona una sorta di lotta magari psicologica magari non dichiarata ma una sorta di lotta chi è che vince la lotta in questo caso chi è più forte non necessariamente per l'altro può essere in fondo debole fisica però può essere più determinato di voi, può essere magari meno astuto di voi, meno intelligente, meno spiritoso di voi, però può vincere lo stesso se non ha paura di rischiare. Perché se ci si confronta e questo confronto sale di tono, c'è un'escalation diciamo, il confronto può passare dallo psicologico al fisico e può anche sfociare in una lotta vera e propria.
Allora chi è che trionfa? fa quello che non ha paura di fare il passo successivo, di dare un salto di qualità a questo sconto, di portarlo ancora più alle estreme conseguenze, fino anche all'ultima e più estrema conseguenza di tutte che è la morte. Chi non ha paura di fare un passo sempre oltre, di andare sopra le righe vince. Chi invece ha paura di fare questo, che a un certo punto dice no non ne vale la pena, no stiamo esagerando, quello perde e si sottomette.
Allora tra due autocoscienze quello che è risposto alle schiave della la propria vita diventa padrone e quello che invece non è disposto a rischiare la propria vita diventa servo. Però attenzione, la figura non è affatto finita, questa è solo la premessa, perché dopo un po'di tempo, dopo qualche tempo in cui si è instaurato questo rapporto di servo da una parte padrone dall'altra, si assiste di Chegel a una paradossale inversione dei ruoli. Perché? Perché il padrone, che teoricamente doveva essere quello forte, quello libero, quello superiore, inizia a sentire di aver bisogno del servo, inizia a sentire di dipendere dal servo. perché senza il servo lui non sa fare le cose che il servo fa per lui, senza il servo lui non riesce a sentirsi importante, senza il servo lui non riesce a bastare a se stesso.
Al contrario, invece il servo si rende conto che non ha bisogno del padrone, che il padrone non gli è necessario, che è autonomo dal padrone, quindi quello che era libero e forte finisce per dipendere dall'altro e quello che era sottomesso finisce per liberarsi. In pratica il servo compie un vero e proprio percorso che Hegel ancora una volta struttura in tre tappe perché è una triade dialettica anche quella compiuta da dal servo. Una tele che è cominciata quando lui ha avuto paura della morte. Quella è la prima tappa, la tappa in cui si sottomette. Ha paura della morte e nel momento in cui prova paura della morte il servo si rende conto di essere qualcosa di diverso dal mondo, di essere qualcosa di distinto dal mondo.
Il mondo è fatto di certezze sensibili, di apparenti realtà solide e lui però non ha mai tutto questo, è qualcosa di diverso. è un essere per sé, si sente distinto dal resto, differente e quello è il primo momento in cui inizia a guardarsi dentro e quindi inizia il percorso, è la tesi. Poi dopo la paura della morte è venuto in servizio perché è diventato servo appunto del padrone e quindi ha lavorato per lui, si è sottomesso a lui, si è dato da fare per lui e questo servizio lo ha aiutato a comprenderci meglio perché perché ha imparato così facendo a gestire ciò che è, a gestire i suoi istinti, a gestire le proprie pulsioni, a lavorare su di sé.
Infine, quindi, prima tanto... La seconda tappa è la paura della morte, la seconda tappa è il servizio, la terza e ultima tappa è il lavoro perché adesso il servo è libero ed è libero tramite il lavoro quel lavoro che è distinto dal servizio, il servizio è essere servo di qualcuno il lavoro è creare qualcosa di libero, in maniera libera è sì lavorare e darsi da fare, però è darsi da fare per creare qualcosa di proprio Per creare qualcosa, dice Hegel, in cui l'artigiano e il lavoratore riesce a mettere dentro alle cose che produce la sua stessa identità, la sua stessa coscienza. Quando io creo qualcosa, ci posso vedere dentro la mia personalità, ci posso vedere un riflesso di me.
Ora, questo è il percorso dell'autocoscienza, perché prima ho capito di essere distinto dal mondo. poi ho imparato a dominarmi, poi vedo ciò che sono in ciò che faccio, capite? Quindi questa figura, secondo Hegel, ben manifesta ciò che avviene nell'autocoscienza.
Apro una brevissima parentesi prima di passare alla figura successiva. Questa figura della dialettica servo-padrone è stata ripresa da molti filosofi, perché effettivamente ha alcuni spunti che interesseranno a molti. In particolare... Vi cito un paio di scuole perché poi ne riparleremo magari l'anno prossimo in quinta e però cercherò di richiamarvi alla mente questa dialettica salvo padrone. Le due scuole principali che si sono rifatte a questa lettura di Hegel sono da un lato la scuola marxista e dall'altro la scuola esistenzialista.
Perché i marxisti? Beh, è abbastanza evidente. I marxisti perché questa figura mostra come A, il padrone, sia in realtà A.
non libero e quindi sia in realtà destinato a soccombere rispetto al servo, sia destinato a dipendere dal servo. In fondo la ricchezza del padrone è figlia del servo, il padrone da solo non basta a se stesso e quindi sfrutta il servo, quindi mette in cattiva luce ovviamente il padrone, cosa che ai marxisti ovviamente piace perché è quello che sostenevano e sosterranno, ne parleremo, ma già lo sapete notoriamente. Il secondo aspetto che piace ai marxisti è il fatto che il servo si libera.
C'è un percorso di liberazione, di autocoscienza, di presa di coscienza di ciò che si è ed è un percorso che passa attraverso il lavoro. Il lavoro, purtroppo la frase ha una brutta eco, però il lavoro rende liberi. Ha una brutta eco, dico, perché verrà poi ripresa dai nazisti, come saprete, che la metteranno... sul cancello di Auschwitz il lavoro rende liberi e con una fredda e glaciale ironia e sarcasmo ma in Hegel questo è proprio vero alla lettera cioè Hegel e i marxisti saranno da questo punto di vista d'accordo era convinto che tramite il lavoro le classi lavoratrici si sarebbero liberate dalla sottomissione, dallo sfruttamento e Hegel questo l'aveva in parte intuito quindi Questo è il motivo per cui questa figura piace tanto a Marx e ai suoi eredi. Ma, come vi dicevo, piace anche agli esistenzialisti, perché ne parleremo, adesso non sapete molto probabilmente degli esistenzialisti, ma ne parleremo molto.
Ecco, sappiate che anche per gli esistenzialisti il confronto con la morte e con la paura della morte è decisivo. È il momento in cui, generalmente, l'uomo impara a conoscere se stesso, impara a fare i conti con se stesso. e impara a capire chi è.
Questo, se vi ricordate, in parte c'era già anche in Pascal che perciò tivesse un preesistenzialista, ma lo rivedremo in Kierkegaard, lo rivedremo in Sartre, ne parleremo a Iosa di questo tema. È un tema che c'è effettivamente già in piccola parte, come accenno diciamo, anche in Hegel, perché effettivamente il percorso di liberazione, il percorso di autocoscienza parte dalla paura della morte. È lì che prenda avvio quella consapevolezza di sé che altrimenti non sarebbe sorta.
E passiamo adesso alla seconda figura famosa dell'autocoscienza, che è la figura chiamata di solito stoicismo e scetticismo. È una figura in cui Hegel riprende in mano due storiche scuole filosofiche ellenistiche, che sono appunto quella dello stoicismo e quella dello scetticismo, in particolare analizzando il rapporto che queste scuole delineavano tra la coscienza dell'individuo e il mondo visto che ancora stiamo parlando di autocoscienza, di rapporto tra noi e le cose e con noi stessi Hegel dice, vediamo cosa dicevano queste scuole due scuole che secondo lui dicevano l'una l'esatto opposto dell'altra senza però riuscire a risolvere veramente il problema. Lo stoicismo cosa diceva?
Lo stoicismo diceva che il saggio, il filosofo, doveva imparare ad essere autonomo rispetto alle cose, doveva staccarsi dalla materia, doveva non temere il mondo. esserne libero e indipendente tant'è vero che doveva fare un grandissimo lavoro su di sé per non cadere nel vizio per non essere legato alla materia i soldi e piaceri autocontrollo estremo questo era lo stoicismo se vi ricordate ora è che dice ok qui si si si Rapporta col mondo in un modo che tutto sommato a qualcosa di interessante perché invece di guardare il mondo si guarda a sé che si rivolge interiormente invece di aprirsi a cercare fuori noi le cose si cerca dentro di noi la regola e questo è un passo positivo però L'ostricismo commette un errore, perché l'ostricismo si riduce alla fine in una sorta di tentativo di libertà interiore, di sforzo interiore, senza però che ci si renda conto che tra l'interiorità e l'esteriorità non c'è vera distinzione. Per Hegel vi dicevo, il mondo fuori non è davvero il mondo fuori, in realtà è qualcosa che c'è dentro di noi. L'ostricismo questo non lo capisce. non lo comprende, non lo capisce.
Tanto è vero che il mondo esterno rimane, rimane una perenne tentazione per lo stoico, qualcosa contro cui lo stoico deve sempre lottare. La filosofia stoica è una filosofia di lotta, di fatica, di sacrificio, tutte cose che Hegel non comprende, perché secondo lui gli stoici hanno frainteso il senso di queste cose. Quindi il saggio stoico sì, Si diventa indipendente dal mondo ma finisce per non negare il mondo, il mondo rimane lì e lo tenta di continuo.
Il contrario fa invece lo scettico, perché lo scettico nega il mondo. Vi ricordate lo scetticismo è quella scuola filosofica che ritiene che non si possa dire nulla di vero sul mondo, perché è tutto incerto. Non c'è certezza. Una scuola ellenistica l'abbiamo vista ripresa anche da Hume, per dire che è un tipico scettico per il quale non si può conoscere nulla con sicurezza, neppure i rapporti di causa-effetto, neppure la realtà del mondo, neppure che domani il sole sorga.
Ora, anche lo scettico diventa indipendente dal mondo, però lo fa negando il mondo. Perché mentre lo stoico il mondo non lo nega e si mantiene stoico appunto, indipendente, saggiamente indipendente dal mondo, lo scettico fa il percorso inverso, nega il mondo. Ma così facendo lo scettico cade in una sorta di para rosso.
Perché qual è il dogma degli scettici? Qual è l'unica legge degli scettici? Queste sono cose che dice Hegel, eh. Qual è l'unica legge degli scettici? L'unica legge è che non c'è nulla di vero.
Ma la frase non c'è nulla di vero può essere vera. Chiaramente siamo di fronte a un paradosso, lo capite? Cioè, Hegel rimprovera agli scettici questo. Dicono che non si può essere certi di nulla, ma questa è la loro affermazione, virgolette. Non si può essere certi di nulla, virgolette, secondo la loro ricerca.
Com'è possibile? Se non si può essere certi di nulla, non si può essere certi neppure che questo principio sia certo. E quindi lo scetticismo è un'altra cosa. finisce per entrare in un circolo vizioso, finisce per cadere vittima di se stesso, finisce per non risolvere niente, cade in un paradosso irrisolvibile. Come vedete dunque anche nella storia della filosofia si è affrontato questo tema.
si è cercato di capire come l'autocoscienza si rapporta col mondo, ma le varie scuole filosofiche sono arrivate a degli impassi, a delle situazioni irrisolvibili. Non si è ancora compreso come risolvere la questione. E questo si vede nella storia della filosofia, ma si vede anche nella storia delle religioni. E difatti la terza figura famosa, celebre dell'autocoscienza è la figura della coscienza inferice.
È una figura molto importante. direi importante tanto quanto la dialettica servo padrone perché tutto sommato non serve solo a capire l'autocoscienza ma serve anche a capire tutta la filosofia hegeliana perché in un certo senso la riassume tutta intanto perché si intitola così? perché Egen in questa figura cerca di presentare il rapporto tra la coscienza e Dio e questo rapporto è stato spesso contrassegnato dall'infelicità per questo coscienza infelice perché la coscienza umana ha avuto la spinta ad andare verso Dio l'anedito di Dio il desiderio di prendere Dio, cioè l'infinito, l'intrasmutabile, la perfezione, l'assoluto, ma questo infinito, assoluto, eccetera, è sempre sfuggito, è sempre scappato via e questo non ha fatto altro che rendere nel corso dei secoli la coscienza infelice.
Questo si vede già nella prima tappa, perché anche la coscienza infelice è divisa a sua volta in una triade, come al solito, dialettica. La prima tappa, la tesi, Effettivamente è il momento di massima separazione tra la coscienza, tra l'uomo e Dio. E questo momento di massima separazione Hegel lo individua nell'ebraismo.
L'ebraismo è stata, ed è ancora secondo Hegel, una religione della lontananza tra uomo e Dio. Perché? Perché Dio è appunto lontanissimo, inconoscibile, trascendente, ma di una trascendenza assoluta, no?
Non si può neppure pronunciarne il nome. Sapete come nell'ebraismo, ad esempio, anche nella Bibbia non si può scrivere il nome di Dio, non si può rappresentare ovviamente, non si può mostrare. Quando Dio parla anche nell'Antico Testamento ai profeti, si manifesta come il fuoco, in altri modi non si manifesta mai direttamente.
Quindi Dio è lontanissimo, talmente lontano che anche il suo volere a volte è misterioso, talmente lontano che... a volte si viene a rinstaurare, dice Hegel, tra il fedele ebreo e Dio un rapporto di dipendenza simile a quello che c'è tra il servo e il padrone, di cui parlavamo prima. Cioè l'uomo si sente distantissimo da Dio che diventa il suo padrone assoluto, il suo signore con la S maiuscola e lui è un servo senza alcuna possibilità e chiaramente è infelice perché Dio è da un'altra parte, è lontano e irraggiungibile. Questa è però solo la prima tappa perché bisogna passare all'antitesi, anche qui sempre le triadi, no? Allora, la prima tappa è l'ebraismo, l'antitesi, la sua negazione, viene individuata da Hegel nel cristianesimo medievale.
Perché cristianesimo? Perché mentre l'ebraismo si fondava sulla lontananza di Dio, il cristianesimo si fonde invece sulla sua vicinanza, perché Dio non rimane qualcosa di puramente trascendente, ma si incarna. scende in mezzo a noi, si fa uomo e così facendo viene a contatto con gli uomini, si mescola tra gli uomini quindi apparentemente questa lontananza si annulla, Dio scende però ho detto apparentemente, perché apparentemente? Perché in realtà Dio per i cristiani si è incarnato ma si è incarnato in un certo momento storico e in un certo luogo nella Palestina dei primi anni dell'epoca dopo Cristo, diciamo così, no?
Cioè, in quei 30 anni lì, non prima, non dopo, è solo lì, solo tra Gerusalemme, Betlemme, Nazareth, quelle zone lì, sostanzialmente. Cosa significa? Che se tu eri un palestinerese che viveva, un ebreo che viveva in quei luoghi, in quel periodo storico, avevi forse l'occasione di entrare a diretto contatto con Dio.
Altrimenti, Dio per te rimane qualcosa di lontano, di trascendente. che non puoi toccare. Per questo Hegel parla non tanto di cristianesimo in generale, ma di cristianesimo medievale. Perché cosa accade nel Medioevo? Che il cristiano cerca di nuovo Dio, cerca il contatto indetto con Dio tramite ad esempio le crociate.
Le crociate cosa sono? Cristiani europei che intraprendono un viaggio, un pellegrinaggio, anche armati, per tornare sui luoghi sacri, sperando così di incontrare Dio. direttamente di annullare questa lontanza, questa trascendenza. Però cosa accade ai crociati?
Arrivano a Gesù Giolemme, arrivano al sepolcro e lo trovano vuoto. Questo secondo Hegel è il simbolo della sconfitta anche del cristianesimo. Perché sconfitta? Perché è vero che Dio si è avvicinato, ma rimane sfuggente, rimane lontano, la coscienza rimane infelice. L'uomo non riesce a soddisfare la sua sete di infinito.
perché il sepolcro è vuoto. A questo punto ci sarebbero anche delle sottofigure del cristianesimo medievale che sono la devozione, il fare, la mortificazione di sé, ma andiamo via un po'veloci sennò non finiamo più. Però capite che Hegel è critico nei confronti del cristianesimo, che ha fatto un passo in avanti ma ne ha fatto anche uno indietro in un certo senso, cioè ci ha illusi di avvicinarci a Dio ma ci ha lasciati comunque.
in questa infelicità. La vera sintesi del percorso, il momento in cui si supera almeno in parte questo impasso, questa allontananza con Dio, si ha nel Rinascimento e nell'Età Moderna, secondo Hegel. Il Medioevo è ancora il momento trascendente di Dio e della lontananza.
Il Rinascimento invece è il primo momento in cui di colpo, improvvisamente, ci si rende conto che Dio non è solo qualcosa di lontano, ma che Dio lo si può ritrovare, ad esempio, nella natura. Se vi ricordate, quando abbiamo fatto appunto proprio il Rinascimento, ma anche la stessa rivoluzione astronomica, abbiamo parlato, ad esempio, di Giordano Bruno, oppure... un po'dopo di Spinoza, che citavamo anche le altre volte, cosa abbiamo detto parlando di questi filosofi e anche altri che parlano di natura, di naturalismo, eccetera, che nel Rinascimento e nell'età moderna tra il 400 ma soprattutto il 500 e in parte anche il 600, in alcune scuole filosofiche Dio viene trovato nel mondo, perché Dio diventa qualcosa quasi di immanente o a volte anche esplicitamente immanente. Dio si confonde con la sua creatura, cioè col mondo. Dio e natura coincidono, questo in Spinoza è evidentissimo, ma in parte anche in Giordano Bruno.
Allora Hegel dice, qui nel Rinascimento, magari in forme ancora ingenue, ancora non ben codificate, però qui si è intuito qualcosa di corretto. Qui si è superata quella separazione, si è iniziata almeno a superare quella separazione. E non si è più visto Dio come qualcosa di irraggiungibile, trascendente, lontanissimo da noi, ma si è iniziato a vedere Dio come qualcosa di tangibile, come qualcosa di cui anche noi in qualche modo facciamo parte. Ora, questo percorso della coscienza infelice è in fondo il percorso stesso della filosofia hegeliana, che vuole partire da quelle filosofie che hanno separato il finito e l'infinito, Ma vuole giungere alla fine di questo percorso a mostrarci che finito e infinito sono un tutt'uno, che l'uomo e Dio sono un tutt'uno, che l'infinito non è qualcosa di lontano, di irraggiungibile, come diceva anche lo stesso Fichte per certi versi, ma che l'infinito è qui davanti a noi, che noi siamo infinito, che è questo grande prisma di cui parlavamo ancora all'inizio con Hegel, di cui noi facciamo parte. Questo è il percorso di cui dobbiamo rendersi conto e la coscienza infelice lo manifesta in maniera molto chiara.
Con questa figura concludiamo in grosso modo l'autocoscienza che era l'antitesi, siamo partiti dalla coscienza, facciamo un po'il punto, siamo partiti dalla coscienza che era prendere coscienza del mondo in maniera però ancora ingenua, siamo passati all'autocoscienza perché ci siamo resi conto che prendere coscienza del mondo significa prima di tutto prendere coscienza di sé e quindi siamo passati a vedere il nostro rapporto col mondo, il nostro rapporto con noi stessi E ora giungiamo alla fine del percorso parlando della ragione, che è la sintesi di tutto il percorso. Una ragione che è quel momento, quella tappa in cui ci rendiamo conto che il mondo da cui avevamo partito, la realtà, non sta fuori di noi, ma sta dentro di noi, è contenuta in noi. La ragione, come vi ricordate, è quella facoltà che dovrebbe permettersi di parlare del tutto.
Era un termine che aveva già usato Kant. e però Kant l'aveva criticata perché la ragione non poteva, non aveva i mezzi per parlare di tutto per Hegel invece la ragione è il compimento di questo percorso perché siamo partiti dalla coscienza delle cose siamo passati all'autocoscienza di noi e ora dobbiamo cercare di dare una spiegazione globale ora sulla ragione andrò via un pochino veloce, sui libri di testa a volte trovate qualcosina di più di quello che dico io perché andrò via veloce? Perché è... Abbastanza complicate, ci perderei molto tempo a spiegarvela, ma in fondo le cose carne che vediamo adesso, adesso le dico un po'più velocemente, le riprenderemo nell'Enciclopedia. E allora è inutile spiegare due volte, tre volte e perdere tanto tempo per spiegare le stesse cose.
Le spiegheremo meglio nell'Enciclopedia e probabilmente risulteranno un po'più chiare là. Adesso vi do una panoramica veloce perché mi interessa chiudere il cerchio. ma sostanzialmente le cose importanti le abbiamo già dette.
Comunque, la ragione, tentativo di spiegare globalmente, di unificare, si divide a sua volta in una triade, anche questa tanto per cambiare, una triade che parte dalla ragione osservativa, cioè la ragione che si rivolge ancora al mondo naturale, al ciò che ci circonda cercando di spiegarlo tutto come Ford aveva fatto proprio il rinascimento con la coscienza infinita abbiamo finito, parlando di come il rinascimento sia il momento in cui finalmente si coglie che tra noi e Dio non c'è tutta questa gran separazione. Ecco, nel Rinascimento effettivamente si è studiata la natura, pensate alla rivoluzione scientifica, cercando di spiegarla tutta ma sempre partendo dall'osservazione della natura, da una ragione appunto osservativa. Hegel sostiene sì, ok, si è provato a far questo, ma ci si è resi conto, andando avanti in questo percorso, che studiare ciò che c'è fuori di noi, anche gli organi, la natura, le cose, ci porta poi a studiare noi, perché ci porta a studiare la psicologia, cioè il modo in cui noi ci relazioniamo con le cose, il modo in cui noi conosciamo le cose.
Quindi si passa dalla ragione osservativa a quella che Hegel chiama la ragione attiva. attiva che invece è l'antitesi. La ragione attiva è quel momento in cui noi ci rendiamo conto che il rapporto tra io, totalità dei fenomeni interni, diceva Kant, e mondo, totalità dei fenomeni esterni, non è qualcosa di già dato, ma è qualcosa che va costruito, cioè questo rapporto va scovato, va fatto proprio, va interiorizzato e va costruito. Però chi lo può costruire un rapporto del genere?
L'individuo è singolo? La risposta è no. Hegel in questo momento, nella ragione attiva, ci vuole mostrare che tutti quei progetti che l'uomo fa per dominare il mondo, cambiare il mondo, conoscere il mondo come singolo sono sempre destinati al fallimento.
Il percorso di unità che la coscienza deve compiere verso il mondo e verso la realtà tutta non può essere fatto dai singoli. Questo percorso, se il singolo lo fa da solo, porta sempre inevitabilmente al fallimento. E per dimostrarlo, in questo punto, Hegel introduce delle nuove figure, meno famose di quelle dell'autocoscienza, ma che vi cito molto velocemente.
Sono tre queste figure della ragione attiva. La prima è il Faust. Faustismo si ispira a Faust, il famoso personaggio di Goethe, della mitologia europea dell'età moderna.
Faust è quell'uomo che fa il patto col diavolo. Allora, perché lo riprende Hegel? Perché Faust rimane deluso dalla scienza, perché la scienza non gli permette di dominare veramente il mondo. Deluso quindi dalla scienza e dal fatto che il mondo gli sfugge.
Il Faust si dedica a una vita di piaceri, ma poi viene inevitabilmente travolto dal destino, perché anche il Faust come personaggio letterario effettivamente è sconfitto, stringe un patto col diavolo per cercare di dominare la natura, ma alla fine il destino è più forte di lui. E questo è l'esito di chi tenta di scontrarsi col mondo da solo. La seconda figura è quella della legge del cuore, in cui l'individuo vuole risolvere i mali del mondo, si dà questo... imperativo di affrontare i mali del mondo e risolverli, ma di fatto si scontra con tutti gli altri che hanno i suoi stessi obiettivi.
Perché se io voglio risolvere i mali del mondo e sicuramente c'è qualcun altro nel mondo che vuole fare lo stesso, è molto probabile che io e l'altro abbiamo idee diverse su come risolvere i mali del mondo e che quindi finiamo per scontrarci. Quindi la legge del cuore non porta da nessuna parte perché ognuno segue la propria potremmo dire. Ognuno ha la sua idea di come vanno risolte i mali del mondo e non c'è unità e quindi sconfitta. La terza figura, infine, è anche questa abbastanza famosa, è quella della virtù e corso del mondo.
Anche qui c'è un personaggio che tenta di cambiare il mondo e lo fa prendendoci alla virtù. Come inteneva Kant in fondo, anche Kant riteneva che la virtù singola del singolo che ognuno voleva se che ognuno si impegnava a seguire avrebbe rischiarato il mondo dato il buon esempio e portato benessere alla lunga per tutti prega non è così perché chi vuole cambiare il mondo appena non sia la virtù finisce per fare la fine di don quixote don quixote che combatte contro il mulineamento cioè viene sconfitto dal mondo oppure finisce per fare la fine di robespierre Questi sono esempi proprio di Hegel, Don Quixote da una parte e Robespierre dall'altra, che si fanno talmente prendere dalla virtù da commettere, Robespierre in questo caso, crimini e generare drammi clamorosi e poi venire ucciso a sua volta. Robespierre e Don Quixote, al loro modo, sono due uomini virtuosi che si fanno guidare dalla virtù. ma che proprio nella loro pretesa di cambiare il mondo con la virtù manifestano tutta la loro debolezza, tutta la loro stupidità anche potremmo dire perché vengono travolti dal mondo, il mondo, i singoli non lo possono assolutamente cambiare quindi tutti i tentativi di creare un'unità tra l'io e il mondo portati avanti dal singolo sono fallimenti completi, totali La sintesi di questo lungo percorso, che è partito appunto dalla ragione osservativa e è passato attraverso Adesso la ragione attiva, adesso si conclude con l'eticità, eticità, che è il momento in cui, finalmente, si si rende conto che l'individuo da solo non ce la fa e che il cammino verso l'unità, verso il tutto, può essere compiuto solo a livello sociale. Cioè questa ragione si...
concretizza nelle istituzioni, nello stato più di tutti, cioè l'individuo non può arrivare a cambiare il mondo, lo stato può cambiare il mondo, la totalità può cambiare e lo stato, le istituzioni, questa eticità Quindi come virtù sociale di tutti possono cambiare il mondo e possono aiutarci a comprendere l'unità, a farci sentire parte di una unità. Questo tema che Hegel affronterà molto più dettagliatamente nella Enciclopedia delle Scienze Fisiche. quindi ne parleremo meglio là, però capite adesso qual è il percorso, siamo partiti dalla singola coscienza che guarda il mondo, dalla singola coscienza che diventa autocoscienza, e dalla singola coscienza che diventa ragione, ma che capisce che è la sua. capisci che per essere ragione vera, cioè per comprendere il tutto, deve lasciare l'individualità e sposare l'universalità, nel caso concreto l'universalità dello Stato, perché l'individuo non può esistere senza una società in cui vivere, senza uno Stato in cui vivere. Lo Stato è, da questo punto di vista, il sostrato che sta sotto all'individuo.
Cioè l'individuo nasce in uno stato, vive in uno stato, è sorretto da uno stato. E questo deve essere riconosciuto. Se l'individuo tenta di fare da solo, senza lo stato, senza la civiltà che l'ha prodotto, senza la cultura che l'ha prodotto, senza la società in cui vive, Se tenta di isolarsi e farlo da solo, perde, perché diventa uno che combatte contro il mulinamento.
Per questo Hegel, e lo vedremo ancora, è critico nei confronti di Kant e dell'illuminismo in generale. L'illuminismo pensava a uomini che si scagliavano contro la storia del loro popolo, la cultura, lo Stato, i potenti, i sovrani, erano critici verso tutte queste istituzioni, volevano cambiarle. Hegel sostiene il contrario.
Chi vuole cambiare il mondo, è un illuso che poi perde. Il mondo certo cambia, ma non lo cambiano i singoli, lo cambia l'assoluto e l'assoluto si mostra nelle istituzioni, nei gruppi di universalità concreti come lo Stato. Comunque di questo parleremo ancora. Ecco, quello che secondo me c'era di importante da dire sulla fenomenologia di Eger, l'abbiamo detto, in realtà ci sarebbero anche altre questioni, c'è una seconda parte dell'opera di cui non vi ho parlato, ci sono anche degli approfondimenti che a volte trovate sui siti, sui libri di testo, sui manuali scolastici che potrebbero anche essere interessanti, però in realtà secondo me rischiano di essere dei doppioni perché poi nell'enciclopedia questi temi che vi ho già in buona parte anticipato li riprenderemo, li approfondiremo lì. Quindi onestamente non perderei altro tempo, già questa lezione è stata corposa.
L'importante è capire il senso dell'opera, della fenomenologia, capire il percorso che Hegel ci vuole mostrare e poi comprendere bene in particolare le figure che... quelle siano avuto un peso anche nella storia proprio della filosofia del pensiero. Dopodiché dalla prossima volta inizieremo un po'alla volta ad affrontare l'enciclopedia e tutti gli ultimi tasselli che potrebbero ancora essere incerti e andrebbero sistemati andranno ammessi al loro posto e spero, sperando di averla spiegata bene, che tutto tornerà a essere chiaro e coerente insomma al suo interno. Come al solito avete il vostro libro di testo, avete avete il modo di contattarmi se qualcosa non è chiaro.
In descrizione, come sempre, metto gli argomenti che ho trattato con i minuti a cui li ritrovate nel video, quindi potete ripescare una parte di spiegazione che non vi è chiara. E basta, ci vediamo qui prossimamente con una nuova puntata del nostro percorso di storia di filosofia.