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Schiavitù e diritti dell'uomo: una riflessione

Lo scriveva già Saint-Just nel 1793. I diritti dell'uomo avrebbero causato la rovina di Atene e di Lacedemone. In effetti un semplice sguardo alla dichiarazione del 48 fa immediatamente capire qual è l'enorme contraddizione che c'è tra la società antica greca e romana e quelli che per noi oggi sono i diritti dell'uomo. In particolare gli articoli 1 e 4 della dichiarazione nessun individuo può essere tenuto in stato di schiavitù o servitù.

Questo avrebbe fatto crollare, come diceva Saint-Just. Atene, l'Acedemone, ma anche Roma. Nel senso che la schiavitù è un fenomeno pervasivo della cultura antica, pervasivo a tutti i livelli, e nessuno ha mai proposto un sistema alternativo alla schiavitù, a meno di non pensare a un passo abbastanza curioso della Naitica Nicomachea di Aristotele, in cui lui dice Se ciascuno strumento sapesse, in risposta a un ordine o a un presentimento, portare a termine l'opera che gli tocca, i padroni non avrebbero bisogno degli schiavi.

Evidentemente Aristotele già immaginava il robottino Dyson, oppure Alexa, insomma quelle altre diavolerie che oggi cominciano a metterci a disposizione strumenti. Quindi chiaramente è una cosa ironica, utopica, tra l'altro... probabilmente ispirata a un commediografo.

La schiavitù era anche, dico cose banali adesso, una delle cause maggiori delle guerre antiche. Si andava in guerra per procurarsi schiavi perché si cercava una mano d'opera che non richiedesse di essere salariata e che si accontentasse di un vitto. e di un alloggio piuttosto scadente e non chiedesse nient'altro in cambio e quindi si facevano guerre per procurarsi schiavi. Questo è un fatto che va sottolineato, a parte alcune rivolte che ci furono, soprattutto in Italia, da parte di gruppi, anzi piuttosto estesi di schiavi, in realtà la schiavitù fu un fenomeno accettato più o meno pacificamente da tutti.

Come ha scritto recentemente Costas Palasopoulos in un articolo molto interessante sulla schiavitù, l'ha definita effect of life, cioè un fatto della vita, che c'era, diciamo, non c'era niente da fare, e che come tale, come effect of life, era accettato dagli schiavi stessi. E quindi, in termini, diciamo, gramsciani, questo significa che l'egemonia della classe dominante era talmente forte da coinvolgere gli schiavi stessi che accettavano in qualche modo la loro condizione perché era effect of life, capitava, ci si poteva cascare. In questo contesto non sono mancate, come sapete, anche voci di filosofi che hanno giustificato la schiavitù.

Quindi non è solo un fatto pervasivo, enormemente pervasivo della società, ma anche gli intellettuali la giustificarono, in particolare Aristotele nella politica con un sofisticato meccanismo di equivalenze e di proporzioni sosteneva come è giusto che l'anima eserciti il suo predominio sul corpo, come è giusto che l'intelletto eserciti il suo predominio sulla parte passionale. come è giusto che l'uomo eserciti il suo predominio sugli animali e il maschio eserciti il suo predominio sulla femmina, così ci sono uomini sui quali è giusto che altri uomini esercitino il loro predominio. E oltretutto sostenendo che per questi soggetti era meglio essere schiavi che non liberi, perché infatti lo schiavo per natura è colui che partecipa della ragione in misura tale da starla a sentire ma non da possederla. La natura intende differenziare anche il corpo dei liberi e degli schiavi, rendendo gli uni forti per le mansioni necessarie, gli altri eretti e inadatti a simili attività, i liberi, ma adatti alla vita politica, che si divide in attività di guerra e di pace.

La potenza dell'ideologia è proprio una maschera che tappa. da vista, era ovvio che non era così. che gli schiavi fossero meno intelligenti dei padroni, avessero bisogno di essere guidanti, che fossero più forti fisicamente ma più deboli intellettualmente.

Ci sono tutte pretese ideologiche. Dietro questo tipo di argomentazioni, e non c'è solo questa in Aristotele, intravediamo però un principio che è drammaticamente ricorrente nella tradizione della schiavitù. e cioè il tentativo di naturalizzare la schiavitù, di renderla un fatto naturale. L'unica differenza rispetto agli schiavismi successivi è che per Aristotele non entra in gioco il fattore della razza. Non ci sono uomini che razzialmente sono inferiori ad altri e quindi possono essere schiavi, come nel caso dei neri.

Si è schiavi perché si è schiavi, punto. Non c'è una motivazione. Quindi qui c'è una differenza tra lo schiavismo come è predicato in Aristotele e in altri e come invece sarà dopo. Al massimo se c'è una differenza di tipo etnico è quella classica fra greci e barbari. Secondo un celebre verso di Euripide che Aristotele peraltro riprende, è giusto che i barbari siano schiavi degli elleni, è giusto così.

Punto, senza altra motivazione. Se ci spostiamo a Roma, naturalmente le fonti che descrivono la condizione degli schiavi, il perché, come funziona, sono infinite. Io però ne vorrei citare una un po'più eccentrica, perché secondo me fa ragionare di più, e viene dalla Dea Agricoltura di Varrone.

A un certo punto Varrone descrive, Dele Rustica, scusate, non De Agricoltura, Dele Rustica 1.17, Dice, adesso dirò con quali mezzi si coltivino i campi. E attenzione alla distinzione. Questa materia alcuni la dividono in due parti, uomini e strumenti usati dagli uomini. Quindi si coltivano i campi e ci vogliono degli uomini e degli strumenti.

Altri invece in tre parti, ossia strumenti dotati di voce, instrumenta vocalia, strumenti semivocali e strumenti muti. La prima categoria di strumenti è formata dagli schiavi, la seconda dai buoi, la terza dai carri. Quindi mentre la prima distinzione funziona tra esseri umani e altro, quindi animali, carri, zappe, quel che sia, la seconda seconda Mette insieme gli esseri umani e gli strumenti, fa degli esseri umani e degli strumenti, ancorché vocalia, dotati cioè di voce.

A parte, come dire, la crudeltà di questa messa a punto, che però equivale a quella di Catone quando dice gli schiavi vecchi bisogna dargli poco da mangiare in modo che muoiano, così come si fa con i buoi, e quindi applica lo stesso principio. Però c'è un altro motivo di interesse in questa, io la chiamo cosmogonia agricola, cioè come si costruisce il cosmos dell'agricoltore, c'è un altro motivo di interesse. Sembra una classificazione estremamente arcaica, è fatta in un contesto ancora di carattere orale, cerco di spiegare perché. Perché nei primi decenni del Novecento un famoso psicologo che si chiamava Aleksandr Romanovich Luria, fece degli studi su alcune zone della già Unione Sovietica in cui l'alfabetizzazione non era arrivata e lui aveva notato che le classificazioni per l'appunto degli strumenti erano diversi a seconda che si rivolgeva a comunità, si rivolgesse a comunità alletterate diciamo o a comunità non alfabetizzate, cioè dandogli la sequenza per esempio SEGA Martello, sega, ascia e pezzo di legno. Cioè, come li categorizzi?

Allora, gli alfabetizzati dicevano martello, sega e ascia, perché sono strumenti, e pezzo di legno. I non alfabetizzati dicevano no, ci vuole anche il pezzo di legno, perché altrimenti la sega, l'ascia e l'egno non si possono usare. Cioè, avevano una visione funzionale di questi...

di questa sequenza di oggetti e non categorizzavano a seconda del servizio, della funzione che svolgevano. Ecco, somiglia molto a questa di Varrone, benché molto più crudele, ovvio, che mette gli schiavi insieme ai carri, insieme ai buoi, insieme al resto, perché li vede dal punto di vista del lavoro che fanno. non dal punto di vista della loro essenza, della loro identità umana, non umana. Tant'è vero che poi spiegando l'altra cosmogonia, quella un po'più civile, diceva che gli esseri umani poi si dividono in schiavi e liberi, e i liberi si dividono in paupercoli che lavorano con tutta la famiglia, salariati, oppure gente che lo fa per saldare i debiti, cioè lì si vede qualche cosa di diverso, che ha legge nella classificazione. Qui invece siamo proprio di fronte a qualcosa di brutale e di estremamente arcaico.

Tralascio altri aspetti giuridici che sono poi più noti, lo schiavo come res mancipi, cioè come oggetto posseduto, tant'è vero che mancipium è il nome che si dà allo schiavo quando si vuole sottolineare l'aspetto di possesso, e servus invece quando... si vuole sostenere la sua funzione. Naturalmente essendo una persona lo schiavo, inevitabilmente, e non un instrumento, ed essendo anche giuridicamente classificato fra le persone, una delle tante contraddizioni che ci sono nella cultura antica, la situazione dello schiavo era poi molto più complicata di quella di un animale, perché svolgeva per esempio compiti profondamente diversi, come si poteva essere. uno schiavo che lavorava in campagna e quindi in condizioni disastrose o nelle miniere, oppure poteva essere uno scrivano, poteva essere un contabile, poteva essere un pedagogo, quindi era in realtà una società, quella degli schiavi, molto più variegata al suo interno di quello che uno immediatamente potrebbe pensare.

Erano tutti accomunati dal fatto di fare parte dei servi, però c'era modo e modo di essere servi. Alcuni servi potevano possedere a loro volta altri servi, insomma lo spettro era molto più complesso. In più a Roma rispetto alla Grecia c'è, come sapete, la possibilità che uno schiavo possa diventare libero.

Quindi c'è sempre davanti, teoricamente, davanti allo schiavo questa fantasma della libertà che si può guadagnare per diventare un libertus e poi alla generazione successiva un cittadino a tutti gli effetti. Ecco, qui c'è un'altra grande differenza tra la schiavitù antica e quella successiva, perché i neri d'America praticamente mai ebbero questa possibilità, non avevano davanti a sé la speranza di diventare liberi. Furono liberati poi, col XIII emendamento, però a differenza di Roma non c'era questo sbocco, quindi paradossalmente la società schiavista del sud degli Stati Uniti dell'Ottocento era più... crudele diciamo di quella romana antica inoltre anche questi sono studi recenti direi interessanti sulla sulla schiavitù sempre per rompere un po questa idea che gli schiavi siano uno zoccolo indefinito in realtà si vede che per esempio i culti oppure la parentela anche se lo schiavo giuridicamente non fa famiglia però di fatto ha una parentela La provenienza etnica, erano altrettanti modi per gli schiavi di differenziarsi al loro interno e di riformare comunità più identificate all'interno di questo grande, colossale gruppo.

Ci furono mai voci contro la schiavitù, pochissime, sostanzialmente greche, si ricordano soltanto alcuni nomi, che poi non è che abbiamo delle vere e proprie... testimonianze, cioè qualcuno che abbia lungamente argomentato sul perché la schiavitù era contro natura. Si ricordano dei nomi Alcidamante, Ippia, Antifonte, il cinico Antistene, Filemone come diografo che dissero qualche cosa contro la schiavitù per la sua non naturalità, però sono voci isolate, nemmeno troppo ben conosciute e che soprattutto non ebbero alcuna influenza. cioè non produssero alcuna conseguenza.

Anche a Roma a un certo punto i giuristi nel III secolo d.C. avanzano l'idea che la schiavitù è contraria alla natura, è contraria allo ius naturale, però dice che fa parte comunque dello ius gentium. È contro la natura, però si fa lo stesso, perché lo fanno tutti, detto in parole povere. Quindi anche qui non c'è una vera opposizione. Lo stesso per quello che riguarda la celebre lettera 47 di Seneca, in cui Seneca dice, si loda a Lucilio perché ha fama di trattare bene i suoi schiavi, eccetera, eccetera.

Sono schiavi ma sono uomini, sono schiavi ma sono compagni di abitazione. Sono schiavi ma sono umili amici eccetera eccetera, quindi c'è questa difesa degli schiavi dai maltrattamenti dei padroni, cosa di cui parleremo tra un momento. Ma non c'è alcuna rivendicazione della libertà degli schiavi, sono stati anche alcuni ingenui studiosi che non nomino, che dicono Seneca fu tra i più fieri oppositori della schiavitù, no, anzi possedeva lui un sacco di schiavi, almeno così era. si diceva di lui che era ricchissimo quindi avrà avuto anche schiavi e poi ecco in questa stessa lettera c'è il veleno dell'argomento perché dice beh sì però in realtà la vera schiavitù è quella delle passioni e quindi essere liberi o schiavi non fa molta differenza se si è schiavi delle passioni si è schiavi anche da liberi se si è liberi dalle passioni si è liberi anche da schiavi che è un modo sempre ideologico molto elegante ma profondamente ipocrita per togliersi dall'imbarazzo.

Anche il cristianesimo per la verità non è che ha portato alcuna differenza dal punto di vista della schiavitù antica, perché non solo per esempio Agostino come vescovo di Ippona amministrava schiavi nei beni del vescovado, ma anche lui giustifica per ben due volte la schiavitù. Ecco, non può più dire Agostino che alcuni uomini sono schiavi per natura, come diceva Aristotele, perché gli uomini sono diventati tutte creature di Dio, no? Quindi questo non si può dire, sono tutti uguali. Allora che cosa è scogita?

Dice, beh, chi è schiavo lo è perché è un peccatore, cioè Dio ha voluto che fosse schiavo. Quindi sostituisce la natura con Dio, oppure... Se un prigioniero di guerra, come moltissimi erano, vuol dire che stava combattendo un bellum in iustum e che quindi Dio lo ha punito per quello.

E per i due casi che cito trovava dei paralleli biblici che gli davano ragione. A quanto risulta ci fu una sola voce cristiana di un padre della Chiesa che si levò contro la schiavitù e... Si tratta di Gregorio di Nissa, nel IV secolo, che usò un argomento teologico però rovesciando quello di Agostino, cioè l'argomento teologico era questo se l'uomo è stato creato a immagine e somiglianza di Dio se lo si fa schiavo è come se si facesse schiavo Dio e quindi questo è contro Dio. Voce nobile!

anche diciamo teologicamente raffinata, intelligente, che naturalmente però non ebbe nessun seguito nella pratica, diciamo, nelle concezioni della schiavitù, perché la schiavitù continuò, come sapete, tranquillamente per tutto il Medioevo, Firenze del Trecento aveva il suo registro degli schiavi, forse queste cose le dimentichiamo, ma mentre Dante scrive la Divina Commedia, a Firenze c'è un registro degli schiavi tenuto aggiornato. per non parlare dei cristianissimi portoghesi che accumularono mostruose ricchezze depredando e saccheggiando l'Africa di uomini e di donne e portandoli nelle colonie. Un'altra cosa che si dimentica sempre, secondo me, perlomeno che sento citare poco, è che per cinque secoli il popolo rom fu schiavo dei principi di Romania.

Per cinque secoli la liberazione dei Rom. È del 1856, quindi siamo più o meno nello stesso torno di tempo della liberazione degli schiavi in America. Per cui, quando si incontrano dei Rom rumeni, e ce ne sono tanti, anche in Italia, bisognerebbe forse tenere conto che sono discendenti di schiavi. Questo magari potrebbe spiegare anche certe cose. Cinque secoli di schiavitù.

Ora, Come è noto, la schiavitù antica è stata studiata moltissimo, è stata studiata a partire dal Grozio, da Pufendorf, Comte, Engels l'hanno studiata, più di recente grandi studiosi, Moses Finlay per esempio ha dedicato un bellissimo libro alla schiavitù antica, Peter Ganze, Pierre Levesque, insomma... Non si può dire che i classicisti non si siano interessati della schiavitù antica, però se noi abbandoniamo il mondo della ricerca storica, storico-giuridica, insomma il mondo della ricerca accademica, e ci spostiamo nella percezione diffusa della classicità e in particolare sulla, come dire, sulla vulgata del mondo antico, che è formata da quelle persone che così si chinano o pensosamente o gioiosamente sui classici per trarne alimento spirituale, oppure quelli che chiamano ai greci e romani nos ansetro, sono reduci da un convegno a Parigi in cui i nos ansetro erano continuamente evocati, i nostri antenati, oppure cito Marret, the parent source of the humanizing studies, la sorgente genitoriale, paterna, insomma. degli studi umanistici e via e via. Insomma, tutti quelli che, bene o male, divulgatori, ma anche nelle nostre scuole, fin da non molto tempo fa, o forse ancora, non è che si sottolinea molto questo aspetto della schiavitù. Come dire, se si parla di heritage classico, di classical heritage, in genere si fa un...

chi usa queste espressioni per restare in metafora giuridica, fa... prende questa eredità con beneficio di inventario, cioè si accetta volentieri l'eredità di Platone del simposio o della poetica di Aristotele meno volentieri si accetta l'eredità che pure fa parte della cultura antica della schiavitù. Faccio un esempio che è sempre meglio che fare discorsi generici se ricordate, allora nella sesta satira del secondo libro Orazio, che era effettivamente un personaggio divertente e originale, si fa fare una lunga predica da uno schiavo, Davo, approfittando, dice lui, della libertas decembris, siccome sono i saturnali, allora lo schiavo può parlare liberamente. E Davo gli fa una lunga predica dicendogli sei un incostante, praticamente gli dici sei un adultero, lì Orazio si rivella e dice no. Non me lo puoi dire, però pensi una cosa e ne fai un'altra, dici che vuoi stare a casa e poi se per caso il mecenate ti chiama, via di corsa dal mecenate, insomma si fa fare questa lunghissima predica.

Ora, se voi leggete un po'le note a questa satira, voi vedete registrati tutti i debiti verso lo stoicismo, i contenuti di questa predica di Davo, eccetera, eccetera. Però non è che si sottolinea molto il fatto che alla fine Orazio si arrabbia e gli dice guarda che se non la smetti ti mando a lavorare nel podere della Sabina. In questo modo manifestando la sua possibilità di trasformare il maestro di vita in un instrumentum del tipo varroniano.

Se guardate le note che ci sono a questo passo al massimo trovate, ne cito una a caso, La conclusione della satira propone il contrasto convenzionale fra la vita facile dello schiavo di città e quella dura dello schiavo di compagna che era già espresso nella mostellaria di Plauto. Cioè ci trovate indicato il topos, topos letterario. Non è che si pensa che quello ha detto guarda che io ti mando all'ergastolo ma a lavorare in campagna.

Ecco, c'è una contrapposizione fra i due tipi di schiavi. Come dire, vabbè, svolgiamo ancora il discorso. Svolgendolo, come si dice dalle parti mie, mi sono messo in un bel genepraio, è ovvio. Perché?

Perché siamo entrati dentro uno dei dibattiti più infuocati che si siano mai accesi intorno ai classici, cioè quello che ci viene dall'America e dagli... e dall'Inghilterra e che porta il nome di decolonizing classics, cioè la necessità di decolonizzarli perché per non considerarli più fonze turigo della nostra humanitas, della nostra civiltà, della nostra grandezza, ma addirittura ci viene detto matrice di una cultura schiavista, suprematista, bianca, discriminatoria nei confronti delle donne, fino al punto che negli Stati Uniti qualcuno ha proposto addirittura di abolire lo studio dei classici nelle università, Daniel Padilla in particolare, un professore di Princeton, però anche altri, oppure Oppure, questo io me ne sono un po'sincerato andando a vedere i powerpoint, i programmi di molte università americane, oppure facendo precedere una certa lezione o la lettura di un certo testo con quello che si chiama un trigger warning, cioè un avviso come quello che sta prima del film o delle serie di Netflix. Attenzione che vi può fare male. Quella lettura può fare male.

Può fare male, per esempio, ecco in uno dei powerpoint che ho letto, leggiamo le metamorfosi di Ovidio in cui ci sono scene di stupro, trigger warning, in classe potreste avere delle ragazze che hanno subito stupro e quindi andateci piano quando le leggete. Ora, personalmente io non appartengo a quella razza che considera Le decolonizing classics sono buffonata, una semplice buffonata che viene da un paese in parte barbarico, in parte buffonesco che è chiamato Stati Uniti d'America. Perché non è così?

Perché Stati Uniti d'America nella loro cultura in generale sono affatto un paese né barbarico né buffonesco, anzi io personalmente dal 92 ci ho insegnato e posso garantire che non è una continua pagliacciata. E a parte questo vedo anche, posso vedere le motivazioni di certe reazioni, per esempio ci posso vedere le reazioni di minoranze che ora non sono più tanto minoranze e che chiederebbero che gli venisse insegnata anche la loro cultura oltre a quella dei classici, perché non appartengono, i classici non sono nos ansetro in quel caso. e che soprattutto vorrebbero essere ammessi, d'altra parte, a insegnarla a quella cultura, laddove in realtà queste minoranze, in particolare i neri, difficilmente approdano a quel tipo di insegnamento e di successo sociale.

Lo stesso, movimenti femministi che lottano contro la violenza sulle donne e la discriminazione. È chiaro che possono sentire difficoltà a leggere testi in cui dalla commedia alle metamorfosi vige più o meno un'etica di stupro accettata per motivi artistici. Posso capire, naturalmente. E via discorrendo.

Ora però si può anche immaginare quale potrebbe essere la conseguenza di tutto ciò. Cioè, se le istituzioni universitarie, le istituzioni di ricerca, si trasformano Le istituzioni di ricerca storica, quindi di studio, di approfondimento, di accertamento, in istituzioni praticamente di giustizia sociale a posteriori, cioè il cui compito diventa quello di far giustizia di razzismo, schiavitù, discriminazione femminile, eccetera, a cose fatte e di farlo cancellando determinati periodi storici, cancellando determinati testi, riscrivendoli, eccetera, eccetera. Cioè questo è un atteggiamento molto molto pericoloso e sarebbe questa però la fine a cui andremo incontro. Però voglio fare un altro esempio e voglio fare un altro esempio perché siccome in qualche modo viene da me, io penso di averlo vissuto, ora vi spiego in che consiste.

Premetto, io molti anni fa, ed ero molto giovane, ho tradotto una commedia di Plauto che si chiama Persa. Allora, se uno apre il persa, ci sono due schiavi in scena che ragionano fra loro. Il primo dice al secondo, è un sacco di tempo che non ti vedo.

E l'altro dice, negozium, edepol, cioè un negozium, un uto delle faccende. E quell'altro dice, per caso ferreum, per caso di ferro, alludendo alle catene. E l'altro dice sì.

Sono stato preferratus, cioè incatenato, così, presso più di un anno, presso le mole del mulino, come tribunus vapularis. Allora, vapulo è un verbo latino che a desinenza attiva è significato passivo e significa prendere legnate. Quindi lui è stato incatenato alla mola del mulino come Tribuno Prendi Legnate, giocando su Tribunus Militaris.

Tribunus Vapularis Tribunus Militaris. È un'invenzione che poi è molto divertente, Tribunus Vapularis è un unicum oplautino, eccetera, eccetera. E io infatti mi ricordo che mi ero sforzato di tradurre in qualche modo, e mi sembra che avevo tradotto, invece che caporale di giornata, caporale di mazzata, che se faceva un po'il gioco. Poi poco più avanti entra un tossilo di nuovo. che manifesta atteggiamenti bellicosi e l'altro schiavo gli dice stai attento che delle catapulte di Olmo non ti trafiggano la schiena che sono le catapulte di Olmo?

eh catapulta la conoscete è quell'arma che scaglia grossi giavellotti a pietre di Olmo perché? perché di Olmo si facevano le verghe dei flagella cioè quelle con cui si picchiavano gli schiavi quindi stai attento che non ti arriva addosso un diluvio di legnate se ti comporti così. Andiamo ancora avanti, entra uno schiavetto che si chiama Pegnium, gioco, giocherello, infatti sarà soggetto a una serie di battute a sfondo sessuale in cui si dice, te il tuo padrone sappiamo bene cosa ti faccio, eccetera, eccetera, e dice a uno dei due schiavi, non saprei, non ti so rispondere, tu ulmitriba.

Altra invenzione di Plauto, tritatore di olmi, sempre perché l'olmo era il flagellum e lui con la sua schiena aveva tritato l'olmo da tante legnate che aveva preso. E poi così va avanti, con allusioni alla furca che lo schiavo si metterà addosso, alla croce su cui finirà, altre mazzate, legnate, insomma tutto così. Se uno guarda queste cose con un altro occhio...

Ebbè, queste battute rivelano un aspetto abbastanza spiacevole di questa commedia. Io l'avevo tradotta, sinceramente, non ci avevo fatto caso, ma erano 35 anni fa. E rileggendola adesso, accidenti, fa impressione questa cosa, no? Questi schiavi, alla mola, frustati, picchiati, c'è battute di spirito sui loro...

supplizi la cosa che più colpisce che queste invenzioni sono fatte apposta per fare ridere cioè la gente doveva ridere di queste di queste crudeltà naturalmente nella commedia poi c'è anche altro c'è tutto il travestimento tutto il gioco del travestimento da persiano dell'amico di questi schiavi e da persiana della figlia del parassita per cui poi la vendono alle nono e lui paga poi gli fanno scoprire che è libera e quindi ha perso i soldi. Insomma, tutta una serie di invenzioni anche divertentissime e lo schiavo è veramente l'eroe della vicenda, quindi anche, come dire, ha una connotazione di superiore intelligenza, di bravura, eccetera. E sono quei topoi, come dire, quei topoi di intreccio comico che poi arrivano fino a Totò, ai film di Totò, che infatti tante volte nei film di Totò ci sono sketch che vengono dalla commedia. dalla commedia di Plauto.

Restano però quelle battute così crudeli, a cui ripeto io allora non facevo caso, ma adesso sì. E se voi non guardate le mie note per piedà, ma se guardate le note che comunemente ci sono in questa commedia, tribunus vapularis, che cosa viene detto? Si spiega il gioco di parole e poi si dice, vapulo è uno, è l'unico forse, o c'è un altro, l'unico verbo.

Sì, è l'unico, perché l'altro è falso, è l'unico verbo a latino che ha desinenza attiva e significato passivo, punto. Cioè si spiega il verbo, ma non si sottolinea minimamente il fatto che si tratta di ridere, fare battute di spirito su legnate date allo schiavo. Ora a questo punto, come dicevo, ci siamo messi in un bel ginepraio, no? Perché cosa si fa? si segue la linea di colonizing classics e quindi si dice no, plauso, siccome gli schiavi sono sempre soggetti a legnate, a insulti, a supplizie eccetera, non si legge più, oppure ci si mette trigger warning avanti e in questo modo però se si accetta questo principio e uno lo applica con coerenza, gran parte dei testi antichi e non solo antichi scompaiono.

perché ci si trova sempre qualcosa che urta fortemente contro la nostra sensibilità, no? Oppure uno fa finta di niente. Cioè si aspetta che la tempesta passi, di colonizing classics, ma è una moda, passerà e si continua come si è sempre fatto.

Naturalmente la risposta a questo tipo di, usando sempre il termine californiano, predicament, quando ci si ficca in una situazione in cui non si sa come uscire, no? Perché fare la parte dell'ipocrita non è bello, ma anche accettare di fare la parte del liquidatore dei classici... pure, quindi è veramente un predicamento uno naturalmente una risposta ce l'ha ed è quella della storia, cioè certi testi, certi fenomeni devono essere affrontati con gli strumenti della storia, devono essere capiti analizzati perché la storia culturale è una cosa complicata, lunga assai difficile in tanti suoi punti e non si può liquidare semplicemente...

cancellando quello che non ci piace oggi o riscrivendolo perché in questo modo semplicemente si sottoscrive il certificato di morte della storia e questo sinceramente nessuna persona dotata di buonsenso soprattutto se intellettuale dovrebbe auspicarlo come fa un intellettuale a sottoscrivere una cosa del genere? questo è veramente un problema allora io ho pensato che forse però Ragionandoci un po', una via si può trovare, anzi se posso trovare due, secondo me. Due vie che funzionano, a mio giudizio, solo se la prima sfocia subito nella seconda, però. Altrimenti si resta al palo. Se se ne adotta una sola, non funziona.

E cioè, la prima via da imboccare io la chiamerei una via di tipo simpatetico. Henri Bergson nel suo saggio sul comico, che è uno dei capolavori della filosofia francese, diceva che il comico produce un'anestesie du coeur, l'anestesia del cuore. Cioè quando siamo di fronte al comico c'è una forma di anestesia per cui si ride e non si pensa ad altro. Quindi la prima cosa da fare è cercare di vincere questa anestesia du coeur davanti a battute di questo tipo, cioè riuscire anche a valutarle per questo retrofondo crudele, amaro che ci hanno, non solo perché sono ben costruite e fanno ridere, quindi vincere questa anestesia e vincere anche un'anestesia che io chiamerei classicistica, che esiste.

E consiste nel fatto che è una forma di assuefazione dovuta al fatto che Plauto da secoli, ora sto parlando di Plauto ma si potrebbe parlare di altro, che Plauto da secoli viene studiato come... una fonte di informazioni linguistiche, filologiche, il rapporto con gli originali, dov'è che lui imita Menandro oppure no, è suo o non è suo, fonte di informazioni teatrali, ovviamente sulla costruzione dell'intreccio, storiche, anche giuridiche, e quindi le sue commedie hanno finito per essere congelate in questa prospettiva, soltanto in questa prospettiva. non si riesce a uscirne, non è facile uscire da un quadro mentale che uno ha mai adottato da secoli, quello che io ho imparato all'università per esempio.

E poi non dimentichiamo il contributo che all'anestesia classicistica ha dato alla cosiddetta recezione dei classici, che oggi è tanto di moda, cioè il fatto che queste commedie sono state riprese nei secoli anche da autori importanti, l'anfitrione da... da Molière, poi da Kleist e poi su su fino agli sketch dei film di Totò e tante altre riprese, ha fatto sì che in qualche modo anche i testi originali venissero depurati delle parti che scomparivano, ovviamente nelle riscritture perché non c'era più posto nelle riscritture per certe cose. Ecco, questo è come dire l'eliminazione dell'anestesia comica, dell'anestesia classicistica in generale. Secondo me sarebbe il primo passo da compiere e non sarebbe neanche male perché sarebbe un altro modo, nuovo modo di riflettere sui classici, di riflettere sui testi.

Il secondo, la seconda via da imboccare però secondo me subito dopo è una via di tipo storico-antropologico, cioè bisogna farsi una domanda, no? E'una domanda generale su Roma, cioè come funziona? una cultura che evidentemente ride e vuol fare ridere utilizzando immagini per noi così crudeli tant'è vero che Ci dobbiamo anestetizzare col comico per non trovarle tali.

Come funziona questa cultura? Perché? E poi altre domande che si possono fare, ma ecco, è importante che uno si ponga delle domande, non chiuda il libro.

Cioè no, questo non si può leggere perché ci sono gli schiavi battuti e mi fanno pensare ai miei antenati. No, è il contrario. Proprio lì è il momento di aprirlo il libro e di entrarci dentro.

E quindi di fronte allo schiavo Tribunus Vapularis dobbiamo dare inizio alla riflessione, cioè perché nella commedia romana viene proiettata proprio questa immagine dello schiavo? Perché si sottolinea tanto il suo supplizio? Perché dà insistenza sul suo corpo? E perché questo dovrebbe far ridere? Anche questa è una bella domanda.

Perché dovremmo ridere? Avrebbero dovuto ridere. Perché dovevano ridere? Di fatto ridevano. Plauto aveva un grande successo.

Forse perché Plauto o i Romani o tutte e due erano dei sadici. Forse perché vedendo sulla scena questi supplizi, in qualche modo li sdoganavano, no? Si fa anche a teatro, per cui lo posso fare anch'io.

Oppure, al contrario, perché questi supplizi erano talmente... iperbolici, spesso addirittura mitologici, che in qualche modo lo spettatore diceva vabbè no, fanno loro lì, ma non lo faccio io, a casa mia con i miei schiavi. Insomma, le domande qui si possono moltiplicare, anzi per me si devono moltiplicare e questa piccola porticina di Plauto può diventare una porta sulla cultura romana, cioè porsi una serie di domande su una cultura che è profondamente diversa dalla nostra.

e cerchiamo di capire perché e come funziona che è lo stesso tipo di atteggiamento che secondo me bisogna tenere anche di fronte a cose non che non dessano scandalo ma semplicemente stupiscono per la loro alterità, per la loro diversità rispetto alla nostra cultura che è poi il motivo per cui uno studia una cultura non certo per ritrovarci quella che già sa o quella che già ha ma qualcosa che lui non ha e non sa e che in questo modo gli mette in movimento il cervello comparativamente rispetto a quella cultura. Quindi io così cercherei, capisco che è argomentato, Daniel Padilla solo mi bastonerebbe probabilmente, ma cercherei di rispondere a queste domande dicendo che l'errore sta lì, nel chiudere il libro, è quello l'errore, il libro non va mai chiuso, nessun libro va mai chiuso. Non solo perché in questo modo si finisce nella censura e non si può accettare, ma perché in questo modo non si capiscono più le culture, che è il rischio che stiamo correndo oggi.

No, quando, scusate il piccolo inciso e poi concludo, quando la poetessa americana, il cui nome ho dimenticato, che ha letto quella poesiola in occasione dell'incoronazione di Joe Biden, che non era nemmeno granché quella poesia, comunque tutto il mondo ha voluto tradurla. È successo che in vari paesi è stata negata la possibilità di tradurla, perché? Perché il traduttore era bianco e ebreo e avrebbe invece dovuto essere nero e attivista, perché era uomo e non era donna, cioè sono tutte forme striscianti di cultura, di affermazione dell'identità a cose fatte che possono veramente portarci a chiudere gli occhi. Stavo dicendo... Deliberarci in generale dall'anestesia classicistica, quella che puntando sui valori eterni dei classici, su filosofia, arte, bellezza, in realtà ci impedisce di capire gli antichi che vanno presi e capiti anche nelle parti che oggi non ci piacciono più.

Perché se lo facciamo riusciremo a capire comparativamente anche noi, anche le contraddizioni che caratterizzano il nostro mondo. E concludo citandone una. Un giorno, anche non molto lontano, gli studiosi e gli antropologi del futuro si troveranno a chiedersi come sia stato possibile che proprio negli Stati Uniti del Me Too, dei Walk, quelli svegli, attenti alle differenze razziali e culturali, alle ingiustizie, del Decolonizing il passato, della Cancel Culture, gli schermi dei media fossero inondati da produzioni video e serie televisive interamente basate su sesso, violenza, smembramento di cadaveri, stupri, droghe pesanti, ecc. E anche loro avranno un bel da fare quel giorno a capire le contraddizioni della nostra cultura.

Grazie.