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L'epopea di Gilgamesh e la mortalità

Anche nella cultura mesopotamica il primo soggetto che deve essere educato è il re. Questo concetto viene espresso all'interno di una vasta opera letteraria, all'interno della quale si trova un racconto del diluvio, che è molto simile a quello contenuto nella Bibbia. Il protagonista della storia è Gilgamesh, re della città di Uruk, che inizialmente ci viene presentato come un vero e proprio tiranno, cioè come un uomo particolarmente violento, soprattutto nei confronti delle donne. Successivamente, però, si assiste ad un vero e proprio processo di maturazione, cioè di trasformazione, di questo stesso personaggio. L'epopea di Gilgamesh, scritta a Babilonia intorno al 1800 a.C., si identifica infatti come una riflessione sulla regalità, sulla potenza e sui pericoli del nostro personaggio. Secondo il testo infatti il sovrano non dovrebbe esercitare la propria forza semidivina per soddisfare i suoi appetiti, bensì per compiere delle grandi imprese che sono finalizzate a fornire la città di tutti quei beni che in essa scarseggiano. Questa epopea si identifica anche come un romanzo di formazione. il cui protagonista impara ad usare la propria forza e ad incarnarla al servizio della collettività. Come dicevamo prima, quindi, si assiste proprio ad un processo di maturazione umana di Gilgamesh, in cui determinante è la scoperta dei propri limiti. È nello scontro infatti con Enkidu e quindi anche con la sconfitta di Gilgamesh stesso che quest'ultimo prende consapevolezza e quindi scopre la propria forza fisica, quindi scopre per la prima volta uno dei primi limiti, uno dei propri limiti. Successivamente è con la morte dell'amico Enchidu, del nuovo amico Enchidu, che scopre un secondo limite che coincide con la consapevolezza della mortalità. La cultura mesopotamica quindi non ha mai maturato l'idea di una vita eterna, quindi non vi è un'etica. Concepisce infatti il mondo dei morti. come un luogo sudicio, tenebroso, squallido e polveroso. Nel momento in cui vi approdano, gli uomini sono delle larve, cioè delle ombre senza consistenza. In cambio della vita virtuosa o eroica che hanno condotto non ricevono alcun premio e non ricevono nemmeno dei castighi per i loro crimini. A livello pedagogico quindi, come punto di riferimento su cui costruire la propria esistenza e dare quindi dei suggerimenti di vita, più che l'etica, conta la coscienza del limite umano e della brevità della vita, quindi i limiti sostanzialmente che sono stati scoperti all'interno dell'epopea di Gilgamesh.