Nella mitologia greca ci sono racconti che potremmo chiamare racconti di amori impossibili o anche di amori perversi. Perché, beh, è una specie molto particolare di amori perversi, intendiamoci, perché sono amori di immagini, racconti di persone che si sono innamorate o di una statua o, come vedremo, di un'immagine riflessa. Il primo di questi racconti, il più famoso, riguarda uno scultore, dl nome Pigmalione. Il racconto ce lo dà Ovidio nelle Metamorfosi e poi capiremo anche perché nelle Metamorfosi. Dunque, questo Pigmalione era animato da un profondo senso di antipatia per le donne, era un misogino. Tutti questi racconti c'hanno un fondo di antipatia per le donne, non sono particolarmente belli da questo punto di vista, anche se, come dire, sono rivelatori, ci parlano di una realtà che purtroppo esiste. Dunque anche Pigmalione non amava le donne, al punto che, essendo lui un grande scultore, un grande artista decise di costruirsi una statua che secondo lui era la donna perfetta. E quindi cominciò col suo lavoro di scultore, in particolare in avorio, a dare forma a questa statua meravigliosa di donna a cui ogni giorno aggiungeva qualche cosa, rifiniva, ci lavorava e pian piano se ne innamora di questa immagine. Però era un'immagine fredda. Era una statua, non era una persona vera e quindi questo era per Pigmalione fonte di una profonda, come dire, delusione e anche di profondo dolore. Un giorno, durante una festa dedicata a Venere, lui proprio si lasciò andare e disse a questa statua: Ma perché anche tu non mi ami? Perché non sei viva? Perché non mi parli? Perché tu, o dea Venere non intervieni e fai di questa statua una donna viva, una donna che mi ami. Venere lo ascoltò e stranamente si commosse. Cioè accettò la preghiera del Pigmalione, tant'è che quando lui tornò a casa e si avvicinò di nuovo a questa storia che tanto amava. Ecco qui viene l'arte meravigliosa di Ovidio, no, che comincia a descrivere la metamorfosi di questa statua. in una creatura e quindi quel poco di calore che comincia a serpeggiare sopra la pelle. Poi gli occhi che pian piano si muovono, guardano, scambiano uno sguardo con quello di Pigmalione che è sempre più, ovviamente più stupito, più meravigliato di quello che sta accadendo. Finché ecco la scena poi culmina nel fatto che l'immagine, la statua, si alza pian piano dalla sua posizione e dà un bacio allo scultore. E questo è per lui, ovviamente, la gioia massima, anche se non bisogna dimenticare. Si è fatta una donna come la voleva lui, insomma, che è proprio una delle tipiche pretese maschili. Altri amori di carattere, sempre di immagini e di carattere sorprendente, gli antichi li chiamano "amori paradossali", ed in effetti è vero, sono proprio paradossali. Stavolta riguarda sempre una statua, ma una statua che non era stata fatta da Pigmalione, ma da un grande scultore greco realmente esistito di nome Prassitele. Prassitele, un grande lavoratore del marmo, di cui era assoluto maestro, aveva scolpito due statue di Afrodite, che poi è la stessa cosa di Venere. Eh, intendiamoci, perché gli antichi avevano questa possibilità, potevano identificare fra loro gli dei e quindi potevano dire quella che per te greco è Afrodite, per me è Venere; quella che per te greco è Era, per me è Giunone. Quindi poi nei testi latini noi troviamo nei racconti dei romani, noi troviamo i nomi latini di queste divinità, mentre in quelli greci troviamo il nome greco originale. Se poi si rigira la frittata, allora se un greco racconta storie relative a Roma eh beh, metterà tutti i nomi greci alle divinità dei romani. Questa era una bellissima cosa perché si potevano scambiare i nomi delle divinità e anche le divinità. Dunque adesso stiamo parlando di Afrodite e non più di Venere, ma sempre la stessa dea è... e Prassitele gli aveva dedicato queste due statue: una, la più bella, se la erano presi gli abitanti di Cnido e l'avevano messa in un tempio circolare particolarmente bello che, come dire, rendeva visibile questa statua per cui da fuori si poteva ammirare la bellezza di questa statua. Un giovanotto, che era andato a vedere la statua, fu talmente colpito dalla bellezza di questa Afrodite che se ne innamorò. Cominciò giorno dopo giorno, sera dopo sera, a girare intorno a questa immagine e si avvicinava a lei e cercava di entrare nel tempio, finché poi una volta realmente ci riuscì e cominciò a invocare la statua, cioè la dea, e a dirgli: ma mi ami? Ma perché non mi ami? E questa ovviamente era una statua, non poteva amare e lui però era sempre più preso da questa passione folle per questa bellissima statua, fino al momento in cui prese una decisione e disse: va bene, decideremo - noi diremmo con i dadi - e gli antichi non giocavano con i dadi, o meglio anche con i dadi, ma soprattutto giocavano con gli astragali che erano degli ossicini di animale su cui erano incise delle figure che si gettavano un po' come facciamo noi con i dadi e la loro combinazione dava un risultato. E uno di questi risultati, guarda caso, si chiamava proprio colpo di Venere o colpo di Afrodite. Allora lui va dentro il tempio e con gli astragali e dice: io adesso, dea, getto gli astrali se mi viene il colpo di Venere, insomma, il colpo di Afrodite vuol dire che mi ami. Se invece non viene, no. Vuol dire che non mi ami. È un po' come il gioco m'ama non m'ama con le margherite, no? E allora, con grande emozione, attesa, eccetera, lancia questi astragali e naturalmente il colpo di Venere non viene perché la Dea lo rifiuta, cioè non vuole che lui diventi l'amante di una sua immagine. Sarebbe una cosa assurda, impossibile. La storia però ha un epilogo tragico, perché il ragazzo, talmente deluso dalla perdita di questo amore, esce dal tempio e si suicida. E forse qui il mito vuol dire, vuol dire qualcosa, no? Vuol dire l'amore quando è così assurdo, quando è così deviato, quando dalle persone vere passa addirittura alle immagini, produce solo dolore e persino morte. Il terzo caso che vorrei appunto raccontare è un caso molto più noto, probabilmente di questi due, e riguarda un altro giovane greco di nome Narciso. Narciso era un giovane di una bellezza straordinaria. Anche qui è Ovidio che racconta questo mito e dice che tutti i fanciulli, tutte le fanciulle, tutti i ragazzi, tutte le ragazze, amavano Narciso perché era bellissimo. Era di una bellezza straordinaria. Al contrario, Narciso non amava proprio nessuno, non voleva avere amori di nessun tipo. E poi vedremo come finisce la storia. Però di lui si innamora una ninfa, una di queste divinità o semi divinità che vivevano nei boschi e a volte si identificavano con gli alberi gli stessi, vivevano dentro gli alberi oppure si aggiravano nei boschi. Questa ninfa si chiamava Eco, e Narciso, si prese di un amore straordinario, ma naturalmente Narciso la rifiutava perché lui non voleva amare nessuno e non voleva essere amato da nessuno. Finché la povera Eco, presa da questo amore straordinario, non ricambiato, pian piano cominciò a dimagrire, a soffrire. Dimagrire al punto che pian piano scomparve e si ridusse a pura voce, si ridusse a pura voce. Ma nemmeno una voce, come dire governata, no, regolata da qualcuno, emessa da qualcuno? No, era una voce vana che vagava nei boschi e sapeva solo ripetere quello che veniva detto da altri. E questo ovviamente è un gioco per dire come nasce l'eco, cioè quel gioco di rifrazione acustica che spesso capita di sentire effettivamente in certi luoghi c'è un rimbombo che ti rimanda le tue stesse parole, no? Ed Eco vive, diciamo in questa forma larvale di puro suono, e continua a girarsi intorno a Narciso in qualche modo catturandone le parole e ripetendole tant'è che appunto Narciso poi non capisce. Ma che che succede? Chi è? Chi ho intorno? Va bene, questo ragazzo in fondo sempre più più pazzo, se volete, perché preso dalla sua straordinaria bellezza e dal rifiuto di qualsiasi amore. Un giorno si specchia in una fontana, si specchia in una fontana, vede se stesso e pensa, immagina che in realtà questo non sia lui, l'immagine riflessa, ma sia un altro, sia un altro giovinetto bellissimo come lui è bellissimo. E quindi scopre la sua immagine. Questo in realtà era stato anticipato da un oracolo. L'oracolo aveva detto, l'indovino aveva detto alla madre di Narciso: lui vivrà fin quando non conoscerà se stesso, che era un'espressione molto vaga. Perché conosci te stesso può voler dire tante cose, conosci il tuo carattere, le tue abitudini, eccetera. In realtà l'oracolo aveva detto una cosa molto letterale. "Conosci te stesso" in questo caso significa che Narciso conosce se stesso nella fontana. Vede questa immagine proiettata e se ne innamora. Si innamora di sé medesimo. pensando di essere un altro. E anche lì comincia quello che già conosciamo, cioè questo amore impossibile per una immagine che però culmina, come aveva detto l'oracolo, cioè a un certo punto poi Narciso, avvicinandosi sempre più a questa fontana, sempre più a questo essere da cui desidererebbe essere amato, essere baciato, abbracciato, cade nella fontana e muore. Al suo posto sorgerà, poi intorno a questa fonte, sorgerà il fiore del narciso che rappresenta questo bellissimo giovinetto incapace di amare. E questo mito poi avrà nell'arte, soprattutto nell'arte, ma anche nella letteratura una grande fortuna. Ci saranno tanti quadri, come potete immaginare, in cui si vede, si vedono i due narcisi. No, quello chinato sulla fontana e quello che esce dalla dalla fontana. Questo è un mito che ovviamente riguarda tanti temi, riguarda prima di tutto l'importanza dello specchio. No, è un mito sulla potenza dello specchio e anche sulla, come dire, assoluta inanità dello specchio, perché lo specchio ti dà un'immagine che non c'è veramente. Se uno si allontana l'immagine sparisce con lui, Quindi è un elemento ingannatore, seduttore, lo specchio, ma soprattutto è un mito che riguarda l'eccessivo amore di se stessi e quindi avrà grande fortuna non solo nell'arte, come dicevo nella pittura, nella letteratura, ma anche nella psicologia e nella psicoanalisi, con quel fenomeno che ancora oggi noi chiamiamo narcisismo. Cioè quando una persona ama troppo se stessa, ha un concetto troppo alto di se stesso o di se stessa, se è una donna, e questo impedisce, gli o le impedisce, di amare altri. Cioè a tal punto è presa da sé che non riesce ad aprirsi, non riesce ad amare nessun altro. Proprio come quel narciso che appunto, disprezzando l'amore di tutti, era poi caduto vittima dell'amore per sé medesimo. Forse è anche un monito ai narcisisti, a coloro che hanno questa caratteristica, un po' tutti possiamo averla, ma chi più chi meno, è anche un monito a controllare questo sentimento, perché in realtà è poi un sentimento rovinoso.