Salve, eccoci giunti al video audio lezione sui cultural studies che corrisponde al capitolo 6 del manuale di studio. Tratteremo dei cultural studies britannici e dei cultural studies americani. Perché questa distinzione?
Questa distinzione perché i cultural studies sono un movimento di analisi e di ricerca che si sviluppa prima di tutto nella prima metà degli anni Sessanta nel Regno Unito, a Birmingham per la precisione, dove nel 1964 nasce il Center for Contemporary Cultural Studies. È un piccolo centro di ricerca finanziato dall'Università di Birmingham e fondato da un critico letterario. Richard Hogarth, il quale però sin da subito si aprirà ad analisi e ricerche sulla cultura contemporanea, quindi sulla cultura di quel periodo, con uno sguardo che non è soltanto quello del critico letterario, ma è soprattutto lo sguardo del sociologo, dell'antropologo, dell'etnografo, del semiotico, del filosofo, dello storico. Insomma si tratta di un... insieme di posizioni multidisciplinari che prendono in considerazione soprattutto, come vedremo, il modo di vita, the way of life, quindi la cultura in senso ampio, della classe operaia inglese a partire da quegli anni e poi in seguito nei decenni successivi.
Attorno a questo autore si riuniranno anche molti altri giovani ricercatori. che poi più avanti daranno seguito a uno studio più eterogeneo dei fenomeni culturali contemporanei, prendendo in considerazione non soltanto la cultura della classe operaria inglese, ma anche una serie di processi di trasformazione che riguardano il mondo dei mass media, la cosiddetta popular culture, la cultura di massa, le industrie culturali. la musica, le culture giovanili e via dicendo.
A distanza di diversi decenni, circa 30, le parole d'ordine e le parole chiave delle categorie di maggiore successo dei cultural status britannici cominciano a riscuotere l'attenzione e l'interesse in termini planetari, soprattutto nel campo della sociologia. Sulla scorta di questo successo, che poi vedremo nei dettagli, i cultural studies emigrano in America e in questo paese, negli Stati Uniti, nasce un nuovo filone, più vicino ai nostri giorni, più recente, che prende il nome di cultural studies americani. Ma cerchiamo adesso di dare le coordinate di carattere generale che riguardano questa corrente estremamente eterogenea di interesse per la cultura. Allora, è una tradizione di ricerca che vive ancora oggi perché fonda degli elementi generali importanti per lo studio della cultura e che ha il merito, sin dall'inizio, nonostante l'eterogenità di interessi e di approcci, di trovare un nuovo punto di riferimento nello studio della cultura, ponendola al centro dell'attenzione per quanto riguarda le analisi e le indagini relative alla vita quotidiana, alla vita di tutti i giorni.
Il rilievo, l'importanza che meritano i cultural studies è dovuto al successo che a distanza di circa un decennio cominciarono a godere in tutto il mondo. Infatti, come anticipavo prima, una lunga stagione britannica è poi seguita da un forte sviluppo e un forte interesse politico. che sociologi e scienziati sociali in America rivolgono agli studi dei cultural studies britannici dando vita quindi a interi e propri centri e filoni di ricerca nelle università americane e questo avviene anche nelle università più importanti a livello globale avremo dei cultural studies in India, in Giappone a Hong Kong, Singapore, in Australia e via via in diversi posti del mondo.
Ma di cosa si tratta precisamente? Cerchiamo di comprendere. cosa si intende per cultural status.
La traduzione immediata è studi culturali, però perché questa etichetta, appunto l'etichetta di studi culturali, viene affibbiata in particolare ai ricercatori di questo centro per gli studi culturali contemporanei che nasce a Birmingham nel 1964. Questa etichetta viene affibbiata a loro in particolare perché siamo un'azienda di studi culturali. un po'prima della svolta culturale, che come ricordate avverrà negli anni 70, e in secondo luogo perché in un momento in cui la sociologia e anche le altre scienze sociali, se si fa l'eccezione per l'antropologia, che però studia le culture altre, non le culture occidentali, la cultura era da un po'di tempo uscita un po'fuori dal... fuoco dell'interesse delle scienze sociali.
Invece grazie alle ricerche e all'opera di questo gruppo di ricercatori la cultura torna al centro dell'attenzione, cioè diventa l'oggetto di indagine, l'oggetto di analisi principale. E'talmente al centro dell'interesse di questi autori, di cui tra poco snoccioleremo qualche nome, che Questi ultimi, non importa quale metodo venga utilizzato, portano avanti degli studi che puntano ai fenomeni culturali. Sono studi condotti attraverso un mix di metodi diversi, l'etnografia urbana, l'etnografia della vita quotidiana, le interviste, anche facendo riferimento... ma soprattutto un'analisi semiotica, cioè un'analisi dei significati, che senza fare riferimento a Goertz, perché Goertz verrà più avanti nel 1973, già si sforza di produrre un'interpretazione dei fenomeni simbolici. Allora, all'inizio si tratta appunto di un piccolo gruppo di autori, in particolare di Richard Holgart.
che vedremo tra poco di chi è, i quali fondano nel 1964 questo centro che ha a disposizione all'inizio pochi finanziamenti e che ha alle spalle alcune opere precedenti abbastanza significative che avevano segnato un nuovo tipo di sguardo e di analisi rivolto alla classe operaia. In particolare Richard Hoggart era stato l'autore di una ricerca da questo punto di vista abbastanza rivoluzionaria che aveva preso il nome di The Uses of Literacy che in italiano potremmo tradurre gli usi dell'alfabetizzazione, gli usi della cultura. Literacy in inglese in fondo significa essere in grado di saper fare le operazioni basilari che si imparano.
nella scuola primaria, cioè saper leggere e scrivere, per leggere intendiamo saper interpretare un testo, il significato principale di un testo, saper fare di conto, saper appunto scrivere. Queste erano negli anni 50 certamente delle conquiste per la classe operaia, visto che storicamente durante il Novecento si trattava della popolazione che era rimasta fuori dall'istruzione o almeno fuori dall'istruzione secondaria. Dobbiamo molto contestualizzare la questione della cultura scolastica perché nel caso del Regno Unito ci troviamo in una società che proprio fino agli anni 50 e 60 manteneva delle rigide barriere tra le classi con una forte separazione che non riguardava soltanto gli stili di vita, i luoghi, i modi di vestire, i luoghi in cui le classi abitavano, ma riguardava anche il mondo della scuola, persino a partire dai primissimi anni di scuola, cioè esistevano, come del resto esiste ancora in Inghilterra, dei canali di istruzione privata prestigiosa, rivolti alle classe alte e medio-alte e poi la scuola pubblica, considerata però di serie B e di rango inferiore destinata al resto della popolazione. Con lo sviluppo del benessere economico che si registra a partire dagli anni 50, la domanda di istruzione da parte delle classi proletarie cresce e mediamente le nuove generazioni non si accontentano dell'obbligo scolastico che allora era posto fino ai 11-12 anni, ma giustamente pretendono di continuare gli studi nelle scuole superiori.
Richard Orgart in maniera molto intelligente si pone una domanda che è la seguente, che cosa ne faranno di questa cultura di base che rappresenta uno strumento nuovo e quindi se vogliamo anche uno strumento di potere, di consapevolezza, che cosa ne faranno le classi operaie, le classi proletarie di questa ricchezza culturale che precedentemente le generazioni del passato non avevano a disposizione. È una domanda retorica, nel senso che la preoccupazione di Richard Holgart è che questa cultura scolastica che arriva a disposizione delle classi operaie non venga utilizzata per un'emancipazione sociale, per un'emancipazione culturale, per lo sviluppo di una maggiore consapevolezza. sulle questioni fondamentali della vita pubblica e della vita civile, ma sia piuttosto qualcosa di cui in maniera nozionistica le classi operaie fanno uso pur restando nelle loro condizioni di partenza. In particolare dobbiamo anche considerare che la classe operaia inglese ha una lunga tradizione storica. perché ci troviamo nel paese che ha recepito e ha sviluppato per primo la rivoluzione industriale e quindi parliamo di una classe operaia che ha alle spalle una storia secolare fatta di almeno due secoli e mezzo.
E l'annotazione molto interessante di Richard Orgart è che fondamentalmente la classe operaia ha anche una sua cultura. C'era stato un libro negli stessi anni... verso la metà degli anni 50, molto importante, di uno storico marxista che si chiama Thompson, il quale aveva ribaltato la modalità di fare storia del marxismo, sottolineando come la classe operaia inglese avesse sviluppato una sua cultura degna, fatta di... pratiche di vita, di stili di vita, di luoghi, per esempio il pub, e anche diciamo di una certa dignità e di una certa consapevolezza. Era una cultura fatta di solidarietà, era una cultura impregnata di pratiche urbane, appunto tipiche dell'industrializzazione inglese.
E perché questa visione ribaltava la visione marxista. Perché la visione marxista, come ricordate, almeno diciamo quella ortodossa, prevedeva in un certo senso che con lo sviluppo continuo del capitalismo le condizioni di vita della classe operaia sarebbero via via peggiorate e alla luce di continui peggioramenti si sarebbe poi arrivati prima o poi ad una rivoluzione basata su una forte consapevolezza della classe operaia. Ora, siccome questa rivoluzione non c'era stata, anzi negli anni...
50 e 60 eravamo nel pieno dello sviluppo del capitalismo con dei benefici economici persino per le classi inferiori e quindi persino per le classi operaie, era evidente per gli storici marxisti che in un certo senso la classe operaia inglese avesse fallito il suo obiettivo, cioè quello di ribellarsi. Invece Thompson ricostruisce la storia della classe operaia inglese dando dignità, importanza, soggettività, forza alla cultura operaia. Una cultura operaia, quella inglese, nettamente distinta per modi di fare, per luoghi di consumo, per pratiche di vita, per stili di vita, nettamente distinta da quella della classe media e ancora di più distinta da quella delle classi snob e aristocratiche che in Inghilterra, in termini culturali, In termini economici no, ma in termini culturali resistevano ancora persino negli anni 50 e 60. Dunque, al dispetto del titolo della ricerca di Hogarth che teneva conto anche della ricostruzione storica di Thompson, l'iterasi quindi non si riferisce soltanto, anzi si riferisce per poco, non per molto, alla cultura scolastica, alla cultura ufficiale, ma si riferisce alla cultura personale delle classi prioritarie.
E appunto la domanda era che uso gli operai avrebbero fatto della cultura ufficiale. che stava diventando sempre più disponibile con la democratizzazione dell'istruzione, anche alle classi operaie che ne avrebbero fatto in riferimento a quelle che erano le tradizioni culturali di questa classe operaia. In un certo senso Hogarth anticipava anche una serie di fenomeni di grande trasformazione culturale.
che di lì a poco si sarebbero verificati nella cultura operaia urbana inglese. Cioè la cultura ufficiale costituiva anche un insieme di modalità che avrebbero reso pronta la classe operaia inglese a, in un certo senso, americanizzarsi, cioè a trasformare i propri usi e costumi del passato per acquisire... tutti gli elementi della cultura di massa che in quel momento si notavano, si manifestavano nella cultura, diciamo, tra virgolette, borghese che si era sviluppata in America grazie alla produzione di massa e al consumo di massa.
Parliamo, che vi posso dire, delle comodità tecnologiche che gradualmente entrano nelle case delle classi medie e poi... delle classi inferiori, quindi la televisione, il frigorifero, tutta una serie di elettrodomestici che rendono la vita quotidiana più comoda, ma che in un certo senso omologano gli usi e i costumi della vita quotidiana delle famiglie. Parliamo dell'automobile, parliamo nei casi più emblematici della cultura americana del drive-in, del cinema, della pubblicità, del fast food e via dicendo. Allora, questi elementi che erano nuovi rispetto alla cultura operaia e urbana inglese, rispetto alle tradizioni storiche di questa cultura, in che modo si sarebbero fusi con la cultura operaia inglese?
Questa ricerca che Hogarth fa, che è una ricerca di pura etnografia urbana, Hogarth, a parte il fatto che viene gli stesso dalla classe, diciamo, operaia, e tra parentesi sente in maniera personale, in maniera diretta, tutto lo snobbismo e i modelli di distinzione sociale che sono tipici dell'Inghilterra aristocratica, perché da giovane è stato uno studente nelle università prestigiose e si è specializzato in letteratura inglese e quindi in un certo senso patisce sulla propria pelle lo snobbismo che caratterizza i rapporti di classe in Inghilterra. Un figlio di operai che diventa professore di letteratura inglese costituisce un segno dei tempi di allora. ma è qualcosa che rispetto alla cultura tradizionale britannica fa un po'ribrezzo all'elite accademica del tempo. E infatti Hogarth, prima ancora di essere implicato in questa ricerca, è un personaggio che si dà molto da fare nello sviluppo e nella diffusione di un fenomeno che è tipico di quegli anni, degli anni 50, che è l'educazione degli adulti, cioè tutta una serie di corsi fatti ad hoc per i lavoratori che in quel periodo ormai avevano 40-50 anni e quindi nonostante tutti quanti stessero frequentando le scuole, loro per una questione di età non potevano tornare indietro e quindi non potevano tornare sui banchi di scuola.
Ma in Inghilterra si sviluppa un fenomeno basato molto sulla solidarietà. della classe operaia e sull'intervento dei sindacati per alfabetizzare o comunque per fornire competenze anche superiori a quelle dell'alfabetizzazione anche alle generazioni che in un certo senso avevano perso il treno perché quando erano state giovani non avevano potuto completare gli studi o in molti casi neanche iniziarli. Per questo motivo Hogarth è tra i tanti intellettuali del periodo che sta molto da fare per moltiplicare questi corsi di educazione rivolti agli adulti. E quindi, sin da subito all'interno di questa esperienza...
si pone l'interrogativo di qual è l'uso che possono fare della cultura ufficiale i soggetti che provengono dalle classi subalterne e quando nel 1957 o meglio quando nel 1955-56 sviluppa questa ricerca sulla cultura operaia urbana inglese non solo si trova a muovere nel suo mondo, proprio perché lui è figlio di operai, ma lo fa in maniera etnografica, cioè si tratta di una vera e propria ricerca etnografica, lui segue per strada nei quartieri operai, segue le massaie che vanno a fare la spesa, segue gli operai che dopo il lavoro in fabbrica vanno al pub per bere, li segue nel tempo libero, li segue persino nella loro vita domestica, va a bere il tè con loro, parla con loro, chiacchiera con loro, li intervista, osserva tutti i riti e i piccoli gesti della vita quotidiana e quindi in questa ricerca descrive in maniera molto brillante quali sono gli elementi, lo fa in maniera quasi antropologica, soltanto che anziché avere un attributo davanti ha la vita. operaia nei quartieri e nei soborghi di Londra. E quindi la sua è anche una ricerca sociologica perché ci sono delle considerazioni che hanno a che fare sui rapporti di classe, cioè quanto questa cultura operaia è distinta dalla cultura della classe media e borghese inglese, quanto esista una forte distinzione, in inglese si dice cleavage, cioè proprio una vera e propria separatezza, separazione tra questi mondi. E quindi riesce a descrivere molto bene come questo tipo di cultura percorreva e plasmava le disuguaglianze, perché riproduceva un senso di appartenenza al mondo operaio, tenendo quindi separato questo mondo dal mondo della classe media, della classe impiegatizia o della classe borghese, cioè quella ancora.
più elevata. Siamo quindi in un contesto sociale segnato da un forte classismo, questo classismo si nota immediatamente nel sistema scolastico con una distinzione netta tra le scuole per l'elite, le scuole per le classi medie e poi le scuole pubbliche per il mondo, diciamo, operaio. Successivamente a questa importante ricerca di Hogarth nasceranno soprattutto verso la fine degli anni Sessanta una miriade di ricerche che si appellano tutte quante al centro per gli studi della cultura contemporanea di Birmingham, quindi ai cultural studies.
che avranno temi e oggetti molto diversi ma saranno fondamentalmente collegati all'impianto iniziale di Richard Orgart soprattutto per un comune denominatore. Questo comune denominatore oltre ad essere la ripresa dell'attenzione per la cultura però intesa come a whole way of life, cioè un intero sistema di vita, l'altro aspetto. il minimo comune denominatore è dato da una riflessione continua sul potere, cioè non viene mai studiata la cultura senza fare considerazioni sui rapporti di potere, come ho cercato di far emergere in relazione alla ricerca che descrivevo di Hogarth, lo stesso sarà nel momento in cui altri ricercatori dei cultural studies britannici anziché la cultura della classe operaia, studieranno ad esempio i fenomeni delle mode musicali giovanili oppure i rapporti culturali di ibridazione che esistono tra le minoranze etniche presenti in Inghilterra e i giovani della classe operaia, o ancora se studieranno il mondo della televisione, insomma qualsiasi oggetto. di ricerca che viene affrontato di petto dagli autori dei cultural studies viene collegato immediatamente a un'analisi relativa ai rapporti di potere.
Dunque, cultura e potere vengono analizzati e presi in considerazione sempre insieme, ma in maniera separata. L'aspetto importante è che gli autori dei cultural studies, pur essendo molto influenzati dal marxismo, ne danno un'interpretazione non deterministica, questo sempre rispetto alla questione del rapporto tra struttura e sovrastruttura. Infatti, nel caso loro, il potere non è visto come il semplice possesso di risorse materiali, non è considerato come risultato della disuguaglianza socio-economica e delle differenze statiche che vi sono rispetto al capitale economico, ma il potere viene visto come un campo dinamico, cioè come una dimensione in cui vi sono dei rapporti di forza. che attengono anche alle dimensioni culturali, in cui i giocatori, in questo caso i gruppi sociali, usano la cultura, i fenomeni culturali, gli stili, le preferenze come un modo di vita e quindi come una maniera per distinguersi, per non conformarsi oppure per adattarsi alla cultura dominante. E qui ancora una volta rivediamo il sottolineato.
questa concezione molto ampia della cultura che deriva dalla definizione che ne ha dato Richard Hogarth e vale a dire Culture as a whole way of life, cioè cultura intesa come un intero modo di vita e di vivere. Abbiamo già sottolineato che gli autori principali che fanno capo al Center for Contemporary Cultural Studies non hanno un'impostazione disciplinare unica, ma rappresentano realmente uno dei primi esempi di multidisciplinarità pratica, perché in base ai fenomeni che prendono in considerazione coniugano i metodi e le prospettive che provengono da più discipline. Abbiamo visto come per primo Richard Hogarth abbia... condotto una vera e propria analisi, indagine etnografica della cultura popolare della classe operaia.
Sono attenti a riflessioni di carattere politico, il che ovviamente è inevitabile, proprio il riferimento alla questione del binomio cultura e potere. Hanno a volte, ma non sempre, una formazione sociologica, tuttavia sviluppano analisi di tipo sociologico, conoscono I principali autori della semiotica si affidano anche all'interpretazione dei significati presenti nella cultura moderna. Hanno molti di loro una formazione da critici letterari e questo si spiega con il fatto che nell'Inghilterra degli anni 50 e 60 la cultura legata alla letteratura era considerata un tipo di bagaglio culturale da restringere soltanto alle classi elevate e invece proprio Richard Hogarth nelle sue attività di educazione per gli adulti tenta di portare la cosiddetta cultura alta della letteratura classica all'attenzione della gente comune e anche riferimenti filosofici abbondano nelle opere.
di questi autori, l'antropologia e l'estetica fanno altresì la loro parte. Va sottolineato però questo aspetto, che le opere dei cultural studies sono sicuramente annoverabili nel campo della sociologia, tuttavia i principali componenti del Center for Contemporary Cultural Studies non sono sociologi. Hogarth era un esperto di letteratura inglese, come abbiamo sottolineato.
Raymond Williams, che è l'autore di un altro importante libro che segue di un anno, quello di The Uses of Literacies, e si chiama Cultural and Society del 1958, e altresì un esperto di letteratura inglese e di mass media. Stuart Hall, che forse è il personaggio più carismatico e più famoso che emerge poi a compimento della parabola di 30 anni dei cultural studies. è un sociologo ma ha una formazione universitaria in letteratura inglese. Paul Willis che scrive Learning to Labor, altra importante opera che prenderemo in considerazione, è anche lui un critico letterario che poi più avanti nel corso delle ricerche si dedicherà alla sociologia dell'educazione e allo studio delle culture giovanili.
Paul Girroy che scrive un libro importantissimo con il quale si aprirà poi la stagione in cui i cultural studies prendono in considerazione le subculture di origine etnica variamente e numericamente cospicue presenti nel Regno Unito è uno storico, e infine Angela McRobbie, che pure faceva parte del gruppo dei cultural studies, è soprattutto una femminista, un'intellettuale impegnata nel movimento femminista. Il fatto che il rapporto tra cultura e potere sia sempre presente in tutte le analisi, in tutte le ricerche, in tutte le opere pubblicate dagli autori dei cultural studies, è frutto di una scelta evidente e forse questo è l'unico aspetto che crea un legame, un punto di vista comune tra gli autori così diversi, tra ricerche così diverse. Stuart Hall dichiara che la cultura è un campo di battaglia permanente, si lavora per smascherare l'interpenetrazione tra cultura e potere, dando così l'idea che questi due fenomeni, quello culturale e quello relativo al potere, non siano a uno sguardo superficiale così intrecciati, così legati, ma che sia necessario andare a scavare per notare dove si trovano le relazioni tra queste due dimensioni.
Stuart Hold dichiara quindi... dichiarazione di intenti, quella da parte di Stuart Hold, di appunto studiare i significati, i valori che emergono tra diversi gruppi e classi sociali sulla base delle loro relazioni storiche date, qui diciamo c'è l'elemento come dire marxista, e come tradizioni e pratiche vissute. Come abbiamo anticipato c'è un'evidente influenza del marxismo, ma è un marxismo completamente rivisitato, soprattutto alla luce di un intellettuale marxista italiano che è Antonio Gramsci, di cui quando i quaderni iscritti di Gramsci dal carcere, appunto i quaderni dal carcere, furono tradotti per la prima volta in inglese, da quel momento in poi i calciola-stadis, i datori dei calciola-stadis, fecero proprie le intuizioni di Gramsci, che poi vedremo in particolare. quali sono, ma che riportano ad una versione completamente lontana dalla versione deterministica e materialistica di Marx, piuttosto apprezzano un altro tipo di versione, quella che noi precedentemente abbiamo sottolineato in relazione al fatto che, secondo Marx, soprattutto negli scritti filosofici di Marx, il rapporto tra struttura e sovrastruttura non è presentato in maniera deterministica.
ma è presentato in maniera tale da evidenziare semplicemente una coerenza tra i rapporti di produzione e le ideologie e appunto la cultura. Quindi non è la sovrastruttura che dipende unilateralmente dalla parte economica dei rapporti sociali, perché il potere economico non può da solo spiegare ed esercitare il dominio, c'è bisogno di comprendere i rapporti sociali. di potere in termini culturali e per cultura Stuart Hall intendeva l'effettivo e sedimentato terreno delle pratiche, cioè quindi non soltanto il simbolico, anche qui abbiamo diciamo, anche se completamente all'oscuro di quello che inizia negli anni settanta scrive la Geertz, abbiamo la dimensione simbolica della cultura che poi si traduce anche in azioni pratiche.
rappresentazioni, linguaggi e costumi di ogni specifica società storica e del senso comune, cioè quindi anche i sistemi di conoscenza di cui facciamo uso banalmente nella nostra vita quotidiana, il cui carattere può essere certo contraddittorio e occasionale, quindi qui c'è anche la questione della contraddizione e del fatto che la cultura è qualcosa di dinamico, ma che è sempre espressione della coscienza pratica. delle masse, quindi il riferimento non è appunto alla cultura alta, confezionata e racchiusa nei libri di scuola, ma riferita a un intero sistema di vita e soprattutto alle classi popolari. Allora la concezione di cultura che emerge dai diversi contributi, dai diversi scritti degli autori dei cultural studies britannici.
Una concezione per la quale, come abbiamo anche accennato prima, cultura materiale e cultura simbolica fanno parte dello stesso insieme e in certo senso non vanno distinte, come invece aveva ricordato Fatto Parsons. Stuart Hall che rappresenta La figura di maggiore spicco dopo una prima fase di nascita del Center for Contemporary Cultural Studies e che infatti succede a Hogarth come direttore del centro, è l'autore che più di altri dimostra di mettere insieme, di intrecciare sia l'analisi delle pratiche, sia delle azioni. dei gesti, degli usi, dei costumi dei vari gruppi sociali della società inglese che vengono presi in considerazione, con i testi, intendendo per questi ovviamente le rappresentazioni di carattere simbolico e quindi i significati, i segni manifesti delle varie forme di cultura.
A questo riguardo parla esplicitamente di una cultura che è interrelata con tutte le pratiche sociali, quindi tutte le azioni sociali hanno un risvolto culturale, e alle pratiche come una forma comune di attività umana, praxis umano e sensibile, ovvero l'attività attraverso cui gli uomini e le donne fanno la loro storia. Ora, la spinta iniziale dei cultural studies era data da un mix di elementi. Prima di tutto abbiamo visto non una vera e propria sociologia, ma piuttosto un modo di fare indagine sociale di tipo multidisciplinare e molto etnografico, qualcosa che se volete assomiglia molto ai metodi etnografici della scuola di Chicago, dei sociologi della scuola di Chicago degli anni 20 e 30. sicuramente un tipo di sociologia completamente agli antipodi opposta allo strutturale funzionalismo parsonsiano non si parla mai di strutture ma addirittura in un solo caso in cui si parla di strutture è Hogarth che parla di structure of feeling cioè la struttura dei sentimenti cioè se c'è qualcosa... di cui bisogna andare a cercare eventuali irregolarità nel tempo e riguarda le modalità attraverso cui si esprimono nelle azioni sociali e nella cultura dei vari gruppi sociali i sentimenti, le emozioni.
Ma poi è soprattutto un tipo di sociologia che recupera, come abbiamo accennato prima, gli scritti di un autore intellettuale che è Antonio Gramsci, il quale certamente non era un sociologo, ma alcune categorie dei suoi discorsi e delle sue analisi politiche vengono recuperate e introdotte all'interno dell'analisi dei cultural studies, in particolare categorie che poi espliciteremo, quali egemonia, resistenza simbolica, nazional popolare, subcultura. le vedremo dopo una a una. Inoltre siamo di fronte al primo tipo, alla prima volta in cui da un punto di vista sociologico, anche se abbiamo visto che non si tratta della sociologia classica a cui si era abituati, si prende in seria considerazione la popular culture e si propone una visione non più apocalittica della comunicazione. e della cultura di massa. Non siamo più quindi di fronte all'idea che tutto ciò che è di massa, tutto ciò che è commerciale tenda ad omologare il pensiero e i comportamenti delle persone.
La forza del ragionamento più interessante dei calzoni rastati si riguarda il fatto che a fronte delle influenze imposte dalla cultura di massa, Poi i vari gruppi sociali e persino le classi proletarie non si limitano semplicemente a consumare passivamente questi elementi, questi oggetti, queste idee, ma piuttosto a volte sono capaci di reinterpretarli, riutilizzarli, ricodificarli in seconda modalità creative e non per forza corrispondenti. a quelli che erano gli intenti della cultura di massa. E a questo proposito Stuart Hall e gli altri ricercatori sottolineano che non esiste, tra parentesi, questo anche un po'in contrapposizione a quello che sembrava aver detto Richard Hogarth, non esiste una cultura popolare pura e autentica, vergine, che vada tutelata rispetto alle influenze negative della cultura di massa e dell'omologazione della società di massa. né esiste una manipolazione strategica e costante del pensiero di massa messa in atto dalle élite al potere.
Quindi la questione delle ideologie e dell'omologazione di massa non viene più data per scontata, ma è qualcosa che può anche esistere, ma va analizzato caso per caso, facendo attenzione a cogliere anche gli intrecci. e le forme di resistenza. Infatti Hall sottolinea che esiste uno scambio tra quelle che sono le proposte dell'industria culturale, le sue reiterate incursioni nel mondo popolare, ma anche quelle che sono le risposte del pubblico, che elabora come feedback una propria risposta, che certo non è... totalmente autonoma ma non è neanche totalmente schiacciata rispetto alle indicazioni della cultura di massa. In relazione allo studio specifico di programmi televisivi e in relazione all'impatto che la televisione ormai negli anni 70 ha assunto come mezzo di comunicazione di massa, anche come oggetto presente, nella cultura di massa, nella cultura di tutte le classi, quindi un elemento della popular culture, Stuart Hall sviluppa un'importante analisi facendo riferimento a due categorie, encoding e decoding, che possiamo tranquillamente in italiano tradurre come codifica e decodifica, quindi codificare e decodificare.
Questi due processi quello della codifica e quello della decodifica, non sono delle operazioni automatiche in base alle quali c'è il mondo ideologico dei mass media che impacchetta ciò che gli spettatori devono credere, acquisire e digerire. E dall'altro lato gli spettatori appunto... acquisiscono, digeriscono senza interrogarsi in maniera passiva e automatica. Si crea in realtà invece un fitto dialogo tra le intenzioni e le aspettative dei produttori di cultura, da un lato, e la ricezione e l'uso del pubblico, dei consumatori, delle persone comuni dall'altro, che tra parentesi non reagiscono tutte quante allo stesso modo, né è possibile ipotizzare che quando reagiscono allo stesso modo è perché... appartengono diciamo a una stessa cultura o hanno una stessa origine sociale.
Qui vedete uno schema in cui al centro viene posto come dire il programma televisivo con i suoi contenuti, le sue tecniche diciamo di trasmissione, in cui sono presenti ovviamente dei discorsi pregni molto pieni diciamo di significato. Questo programma che produce quindi dei testi culturali, naturalmente viene pensato nella forma più coerente possibile dai produttori, tuttavia i produttori del programma non rispondono all'unicamente, non rispondono ad un'unica intenzione di significati. Infatti per cercare di comprendere come avviene il processo di codifica, cioè il processo attraverso il quale se arriva a produrre e organizzare un testo televisivo, cioè un programma televisivo, bisogna analizzare alcuni elementi e vediamo che questi elementi che vengono analizzati sono analizzati attraverso degli strumenti che in buona parte sono quelli tipici dell'analisi sociologica.
Soltanto che agli strumenti tipici dell'analisi sociologica si aggiunge anche le tecniche della semiotica e dell'ermeneutica, cioè vale a dire... la possibilità di interpretare i significati profondi che fluttano all'interno di questo percorso. Gli elementi da prendere in considerazione sono i riferimenti, i quadri, le cornici di conoscenza, cioè qual è il bagaglio di conoscenze, il campo conoscitivo da cui si vanno ad estrapolare i contenuti e quindi i significati che si intende veicolare. pubblico, le relazioni di produzione e qui siamo ad un aspetto materialistico e di sociologia strutturale perché qui si fa riferimento alle variabili che riguardano l'organizzazione della produzione, cioè chi possiede i mezzi di produzione televisiva, chi li controlla, chi li organizza, chi possiede le tecniche per far produrre a questi mezzi di produzione un programma televisivo.
E infine le infrastrutture tecniche che hanno a che fare con le tecnologie disponibili. Questo è un aspetto molto importante su cui i cultural studies hanno insistito. perché ci troviamo per la prima volta di fronte a una prospettiva di studio della cultura in cui l'esame dei cambiamenti tecnologici viene legato anche al cambiamento di gusti, stili e modalità espressive del mondo culturale.
Giusto per farvi un esempio, tra i tanti studi dedicati in particolare alle infrastrutture tecniche della produzione di significato dei mass media, ce n'è uno che mette a confronto il cambiamento negli stili, nelle culture musicali, nel periodo che va tra gli anni 70 e alla fine degli anni 80, in cui gli autori riescono molto bene a dimostrare che Il cambiamento tecnologico legato all'ascolto musicale, cioè il fatto che a un certo punto si passa dai dischi su vinile alle musica a sette e poi con le musica a sette si diffonde il Walkman, che magari voi non avete conosciuto direttamente perché siete di una generazione più giovane, ma che probabilmente avrete visto da qualche parte o i vostri genitori potranno ricordarvi. Il Sony Walkman era un lettore di cassette musicali, di cassette audio, che consentiva per la prima volta di rendere in un certo senso la musica portatile e con le cuffie di ascoltarla mentre si era in movimento o camminando, correndo o andando al lavoro. Allora, questa rivoluzione è una rivoluzione non solo tecnologica, ma è... Per gli autori è una rivoluzione che produce anche dei cambiamenti nei modi di ascoltare la musica e poi piano piano persino nei modi di produrre la musica.
La combinazione di questi fattori, cioè le cornici di conoscenza, le relazioni di produzione dei mass media e le infrastrutture tecnologiche hanno un'influenza nelle modalità attraverso cui viene prodotta cultura dai mass media. può essere la musica come può essere un programma televisivo. Una volta che viene confezionato il programma che regge su una serie di discorsi, quindi su una serie di testi meaningful, cioè dotati, pregni, pieni di significato, a differenza delle teorie che prima dei cultural studies avevano dominato i media studies, cioè l'analisi dell'impatto dei media sulla coscienza, le conoscenze e il modo di ragionare delle persone, in questo caso i cultural studies non presuppongono che dall'altro lato, quello del pubblico, vi sia una ricezione passiva e quindi una capacità enorme di influenza dei discorsi e dei valori degli oggetti prodotti dai media di appunto influenzare il pubblico.
No, abbiamo un processo opposto che in un certo senso procede in maniera inversa che è quello della decodifica, cioè il fatto che esiste una struttura di significati che vengono decodificati, ma il modo in cui questi significati vengono decodificati non è detto che corrisponda all'insieme di significati che era nelle intenzioni da parte dei produttori, cioè da parte dei gruppi che in un modo o nell'altro, varie professionalità, hanno interagito nel processo di codifica. Quindi la decodifica non è automatica, non è scontata, non produce forzatamente, per forza, gli stessi significati che produce la codifica. Anche in questo caso è importante comprendere dal lato del pubblico, dal lato dello spettatore, dal lato dei fruttori, quali sono le cornici di conoscenza all'interno delle quali avviene la decodifica, in che rapporto il pubblico, non inteso nella sua totalità astratta, Ma le persone in carne e ossa, ciascuna appartenente a determinati gruppi sociali, culturali, con diversi livelli di istruzione, con un diverso bagaglio di esperienze alle spalle, con una diversa capacità critica, Dunque, questi gruppi in che rapporto sono rispetto al discorso che viene prodotto all'interno del programma televisivo? Infine, anche le tecnologie infrastrutturali di ricezione possono avere un impatto differente sulla decodifica.
Immaginate semplicemente quanto cambia vedere... un film al cinema oppure vederlo a casa, oppure quanto cambia vederlo a casa sul tablet, questo ovviamente riguarda i giorni nostri, ma vi erano delle differenze di fruizione tecnologica anche negli anni 70 e 80, pensate cosa cambia tra appunto vedere un film sul tablet, magari uno lo può fare mentre cucina o mentre è in bagno. sul gabinetto e guardarlo invece alla televisione in compagnia di altre persone. Dunque il risultato applicativo di questo schema di analisi dei processi di codifica e decodifica è che secondo Stuart Hall si possono in un certo senso tipizzare in modo diverso le varie reazioni cioè i vari processi di decodifica e i risultati a cui porta la decodifica. Ci sono sicuramente, ci possono essere e sicuramente ci sono le situazioni in cui fondamentalmente la decodifica produce un allineamento completo a quelle che sono le posizioni egemoniche dominanti.
Fondamentalmente lo spettatore si trova più o meno d'accordo rispetto a quella struttura di significazione che emerge, che deriva da un determinato programma televisivo. Ma ci possono essere e ci sono anche situazioni di negoziazione. La negoziazione nella decodifica è quando chi riceve i messaggi, chi riceve i discorsi, si riserva comunque la pratica, e questa è una pratica, è un'azione, non è soltanto una riflessione mentale, di tramutare i significati trasmessi in valori e regole proprie.
cioè di capovolgere in un certo senso e possono esserci addirittura delle decodifiche di tipo positivo o abberrante quando per esempio i significati codificati dal sistema televisivo o dal sistema dei mass media vengono riarticolati attraverso le pratiche di autorisignificazione in maniera totalmente alternativa grazie diversa, differente, critica, ironica o addirittura aberrante e uno dei casi culturali presi in considerazione come esempio di una pratica alternativa e aberrante è il movimento punk che si sviluppa nel Regno Unito soprattutto a partire dalla fine degli anni 70. Il movimento punk viene interpretato dagli autori dei cultural studies come una subcultura giovanile che fondamentalmente non inventa nulla di nuovo, ma anziché produrre un messaggio, una visione, uno stile totalmente nuovo e proprio, non fa altro che ricombinare però in maniera assurda in maniera sorprendente, oltraggiosa, iconoclasta, quelli che sono dei segni già molto diffusi e tipici della cultura commerciale degli anni 70. Posso fare un esempio molto specifico per illustrare esattamente di cosa stiamo parlando. Del resto è un esempio che fa Dick Hebdige, che è l'autore dei Cultural Studies, che più si è dedicato all'analisi semiotica e all'interpretazione della sottocultura punk inglese. Probabilmente ricordate o comunque avete visto qualche immagine.
relativa al modo di abitiarsi dei giovani punk degli anni 70 e a questo proposito segnalo che non era affatto raro, era abbastanza comune tra questi ragazzi della classe proletaria inglese utilizzare dei giubbotti da motociclista i cosiddetti chiodi e di mettere su questi giubbotti delle toppe ora, tanto per iniziare la prima riflessione da fare è che innanzitutto si tratta di un riciclo in un certo senso di un oggetto che era già alla moda nelle generazioni precedenti il giubbotto di pelle da motociclista veniva da altre mode precedenti tra cui i mods, i teddy boys ma soprattutto i cosiddetti easy rider cioè le gang giovanili senza fissa dimora che in America grazie alla libertà permessa dalle motociclette viaggiavano in gruppo attraverso lo spazio dei vastissimi territori americani. Quindi già c'è una riappropriazione. Ma questo è normale, non ha nulla di strano, non ha nulla di particolarmente rilevante, perché come aveva già messo in luce Simmel addirittura a inizio del Novecento con il suo saggio sulla moda nella metropoli moderna, Fondamentalmente quanto più i cicli della moda sono corti, tanto più si recuperano degli oggetti e dei simboli delle mode passate, ma si ricombina in altro modo, con altri significati o con piccole variazioni. Difficilmente la moda, soprattutto il mondo dell'abbigliamento, è invenzione pura, spesso è un riutilizzo.
in modalità diversa di cose che sono state alla moda nel passato e poi magari avevano perso visibilità. No, la questione dell'esempio riguarda i simboli politici, nel senso che questi chiodi usati dai punk venivano ricoperti di varie toppe e molto spesso capitava che nello scegliere dei simboli politici attraverso le toppe da mettere sul chiodo i punk usassero due simboli in nettissima contrapposizione il simbolo dell'anarchia che se ricordate è un cerchio no scusate ho fatto un cerchio veramente brutto lo cancelliamo, dicevo un cerchio, questo già va un po'meglio, con una A, più o meno una cosa del genere, e però oltre al simbolo dell'anarchia, che come tutti i simboli ha tutta una serie di significati, alcuni chiari, immediati, altri che si prestano a interpretazione, e... però accoppiavano spessissimo a questo simbolo un simbolo politico di collocazione nettamente opposta, e cioè la croce celtica, che anziché fare riferimento ad un'ideologia, a una visione politica di sinistra, quale l'anarchia, di estrema sinistra, quale l'anarchia, fa riferimento ad una dimensione politica opposta.
addirittura appunto di estrema destra e nazista. Ora, qual è il significato di questa scelta? Il significato di questa scelta, come ha ben illustrato Dick Hebdige, non stava tanto nel tentativo di saldare politicamente i due estremi, anche perché i punk erano un movimento culturale apolitico, totalmente piatto, dal punto di vista politico, ma perché fondamentalmente lo scopo era quello di mandare in un certo senso in corto circuito, cioè rendere praticamente intellegibile, incomprensibile, la lettura e l'interpretazione che i mass media e la stampa popolare intendevano fare del fenomeno, cioè i giornalisti, l'opinione pubblica. scandalizzata dall'eruzione nelle strade delle grandi città inglesi, Londra in prima, di questa nuova moda un po'spaventosa, un po'orripilante, che creava scandalo, che faceva spaventare i benpensanti, avevano ovviamente la necessità di interpretare questo movimento a quale. idea politica si ispirasse.
Insomma andava categorizzato questo movimento come spesso era avvenuto, come sempre avveniva diciamo in passato e questa combinazione di simboli completamente opposti nel loro significato sarebbe per Hebdige una forma di resistenza simbolica molto particolare perché rappresenterebbe una sorta di voluta confusione, cioè l'idea di non dare punti di riferimento o darli di tipo completamente caotico e contraddittorio in modo da non consentire una lettura del fenomeno da parte dei mass media. Non consentire una lettura del fenomeno da parte dei mass media rappresentava, diciamo almeno in maniera... non voluta e riflessa da parte dei punk anche un tentativo di rimanere tra virgolette vergini rispetto al grande sistema commerciale che altrimenti avrebbe trasformato il movimento di questi giovani che non chiedevano nulla perché parlavano di no future, cioè nessuna aspettativa per il futuro, nessuna voglia di emancipazione ma semplicemente desiderio di essere lasciati a parte fuori dalla società o meglio fuori dalla società della cultura dominante in questo modo non sarebbero stati come dire invischiati all'interno dei cicli della moda e della produzione di massa sarebbero rimasti appunto una contro cultura alternativa e non una subcultura trasformatasi velocemente in un sorta di prodotto commerciale. Adesso forse diciamo diventa anche più facile e più semplice comprendere come mai gli autori dei cultural studies parlino di resistenza simbolica. La resistenza è un concetto che è al centro della dialettica relativa a alle lotte di potere.
In questo caso quindi la lotta per il potere non riguarda soltanto il potere economico, il potere materiale, il potere di determinare la distribuzione delle risorse materiali, riguarda qualcosa anche di più simbolico, cioè riguarda appunto la cultura, cioè il potere di poter, scusate il gioco di parole, determinare i propri valori di riferimento, resistere ai valori di riferimento che vengono, tra virgolette, imposti dal sistema, era questo il discorso delle subculture giovanili inglesi che si ribellano alla cultura dominante, e quindi la posta in gioco è il fatto che dal lato c'è la contaminazione e l'omologazione della produzione di massa, che era poi la preoccupazione che Richard... Hogarth aveva riguardo al fatto che questa omologazione, questa contaminazione avrebbe in un certo senso inquinato gli usi e i costumi della tradizione e della cultura della classe operaia, mentre gli altri adori della scuola di Birmingham, cioè il calcio da Stadis, Stuart Old in primis. cercano di dimostrare come in realtà i figli della classe operaia, cioè i giovani, quando arriva in Inghilterra nel suo massimo la cultura di massa e l'americanizzazione, non reagiscono facendosi omologare, ma al tempo stesso non riproducono più neanche la tradizionale cultura.
della classe operaia e proletaria dei loro genitori, inventano, insomma creano delle forme alternative e subculturali di resistenza e quindi questo dimostra come la cultura sia un campo dinamico di continuo cambiamento dove il cambiamento è anche diciamo la conseguenza di diversi rapporti di forza che esistono tra i vari gruppi. in campo. Si tratta quindi di forme di rifiuto e di dissenso esplicito che danno vita ad una opposizione visibile, a volte cercata, voluta, provocatoria, così come nel caso delle culture giovanili. Quindi la lotta per la resistenza e il dominio culturale è qualcosa che riguarda, coinvolge anche le classi subordinate, le quali non è detto che lottino solo e soltanto sul piano materiale e sul piano economico per migliorare le proprie condizioni di vita, lottano evidentemente anche in alcune fasi della storia, in determinati contesti ovviamente, non sempre.
lottano anche per guadagnarsi un proprio spazio culturale o per mantenere la propria cultura più o meno intatta o comunque non allineata alla cultura dominante. Quindi c'è una continua tensione nello scontro culturale e secondo questi autori la cultura popolare si estrinseca, cioè si sviluppa, implicando una doppia scommessa. doppio movimento, cioè da un lato il contenimento, dall'altro la resistenza.
Ci sono lunghe situazioni storiche nella quale la cultura popolare non può farsi cultura dominante, perché non è la cultura delle classi dominanti, ma almeno può provare, può immaginare, può tentare di non cedere al conformismo ideologico, come per esempio era successo, o pare che fosse successo, nell'America degli anni 50 e 60. in periodi di pieno conformismo, ma di resistere. Ora la curiosità degli autori del Centro di Birmingham è soprattutto quindi per le pratiche e i sistemi simbolici della classe operaia. C'è questa preferenza perché le ricerche seminali e l'inizio ha a che fare soprattutto con lo studio delle caratteristiche della cultura, cioè dell'intero sistema di vita della classe operaia. Però nel tempo l'interesse si sposta, siamo sempre nell'ambito dello studio della classe operaia, ma adesso i soggetti principali non sono più gli adulti, ma sono i giovani.
I giovani e in successivamente anche i giovani visti attraverso le contaminazioni culturali dovute alla presenza. in Inghilterra di gruppi etnici di provenienza non britannica, gli indiani, i pakistani, gli afro-caraibici, gli africani e via dicendo. Questo caledoscopico mondo di culture che hanno origini diverse produce una commistione dalla quale i giovani sono i primi. attrarre elementi, soprattutto attraverso il mondo della musica, attrarre elementi e ammischiarli in maniera abbastanza creativa.
Gli autori dei Cautio da Stadis utilizzeranno quindi in maniera massiccia i concetti di subcultura e controcultura. Il concetto di subcultura ha origini molto diverse. parlavano di subcultura già i sociologi della scuola di Chicago, tuttavia gli autori della scuola di Birmingham utilizzano il concetto di subcultura non traducendolo dalla tradizione della scuola di Chicago, ma appropriandosi dell'uso che ne fa Gramsci ancora una volta, il quale parlava di subcultura per indicare un tipo di cultura che condivide rispetto alla cultura ufficiale, una cultura dominante condivide alcuni elementi ma se ne differenzia per altri possiamo immaginare la subcultura come una sottocultura per la sua posizione politica e per il fatto che è comunque minoritaria rispetto alla cultura dominante la quale condivide con la cultura dominante alcuni elementi ma al tempo stesso ne propone o ne ha di diversi spesso anche in contrapposizione a quella cultura dominante. Per esempio, le subculture giovanili inglesi, che sono al centro dell'attenzione dei British Cultural Studies, condividono sicuramente con la cultura dominante molti elementi che sono gli elementi della cosiddetta cultura di massa, per esempio determinati oggetti tipici della cultura di massa, il giradischi di allora, andare ai concerti, ascoltare la musica, avere determinati tipi di consumi.
Tuttavia questi elementi che condivide con la cultura dominante sono trasformati o addirittura in alcuni casi autoprodotti il movimento punk per esempio è anche un movimento, soprattutto un movimento musicale in cui i giovani decidono anziché consumare la musica delle grandi etichette discografiche quindi delle grandi band rock del tempo tipo i Beatles, i Rolling Stones, i Genesis giusto per fare diciamo dei nomi cominciano a produrre la propria musica dal basso, cioè con pochi mezzi a disposizione e il fatto che hanno pochi mezzi a disposizione e magari spesso non hanno neanche un bagaglio tecnico musicale adatto cioè magari non sanno suonare benissimo, produce uno stile di musica, che è quello punk che infatti si differenzia subito dalla cosiddetta musica commerciale questo per esempio è un altro esempio tipico in cui effettivamente le dotazioni tecnologiche a disposizione e la cornice di sapere combinate insieme producono un tipo di musica nuova e diverso rispetto alla musica commerciale che girava in quegli anni. C'è una differenza tra il concetto di subcultura e il concetto di controcultura, nel senso che, per capirci, non tutte le subculture sono controculturali. Qual è la differenza?
È che una subcultura che però non è controcultura, ma è subcultura e basta, mettiamola così, segnala fondamentalmente la presenza dei microcosmi, degli ambiti separati, semi-autonomi, staccati, con abitudini, stili, atteggiamenti, comportamenti, linguaggi, gerghi, che sono propri di quei gruppi sociali e non dell'intera. cultura di massa o dominante che si sono collegati, entrano in relazione, spesso in una relazione di contraddizione, di conflitto, di alternativa rispetto alla società più vasta, ma che però appunto mantengono una propria semi-autonomia. Quando una subcultura in un certo senso pretende che questi elementi non solo siano tipici dei gruppi che si distinguono dal resto della società, ma che diventino dominanti, che diventino maggioritari, allora finché questo non avviene, e quasi mai avviene, cioè che una subcultura riesca a trasformarsi in una vera e propria cultura dominante, Prima che avvenga questa subcultura può essere definita una controcultura, cioè una sottocultura che promuove una cultura totalmente contraria a quella dominante.
Possiamo adesso passare a una sorta di schematizzazione periodica. in modo tale che riusciamo meglio a collocare tutto lo sviluppo che è stato lungo dei cultural status britannici nel corso del tempo. C'è una primissima fase che corrisponde ovviamente alla fase in cui si incubba, poi nasce ufficialmente nel 1964 e poi man mano si sviluppa ampliandosi e attirando sempre più ricercatori. attorno al progetto di Richard Hogarth nasce appunto il Center for Contemporary Cultural Studies. In questa fase qua il gruppo di Birmingham privilegia soprattutto come abbiamo accennato lo studio della cultura della classe operaia e soprattutto le forme di anticonformismo giovanile che cominciano ad emergere proprio all'interno della classe.
operaie proletarie in contrapposizione al mondo omologante della classe media. In pratica i figli del proletariato inglese rifiutano tanto la cultura cosiddetta borghese delle classi dominanti, tanto però la cultura dei loro padri. Soprattutto non credono, sono sfiduciati nelle possibilità di mobilità sociale che in un certo senso l'ideologia borghese promette loro, se studieranno saranno bravi e si metteranno motivati a lavorare una volta terminati gli studi, e non credono però neanche alla cultura dei loro genitori proletari e quindi se ne inventano tra virgolette. delle forme proprie di cultura e da qui le subculture giovanili che però per la prima volta diciamo nella storia del novecento si ritagliano uno spazio rilevante all'interno del panorama sociale prima i giovani come se non esistessero insomma proprio perché c'erano stati gli anni del boom economico anni 50 60 e 70 la prima crisi del 72 la prima grossa crisi economica dopo il periodo del boom, e quindi una situazione di prosperità economica era anche abbastanza tipico e comune che tutti quanti, anche nelle classi basse, finissero di studiare, trovassero subito un lavoro, anche se un lavoro proletario, e quindi un lavoro proletario, mettessero su famiglia, andando a vivere una nuova famiglia abbastanza giovani, facendo figli, comprando...
arrate una macchina e via dicendo. Quindi queste subculture giovanili, soprattutto grazie all'espansione di consumi nuovi che erano stati possibili grazie al boom economico, per esempio il consumo musicale, il consumo fatto di divertimento, di leisure time, di abbigliamento, di oggetti nuovi che caratterizzavano questo nuovo mondo. giovanile e fanno quindi leva su queste possibilità di consumo ma usano queste possibilità nuove di consumo questa diciamo piccolo benessere che hanno a disposizione in una fase che si allunga che è quella tra lasciare la famiglia di origine e crearne una nuova cioè quindi l'età, come dire, giovanile si allunga, il passaggio tra l'adolescenza e condizione adulta diventa molto più lungo, quindi hanno tempo e qualche soldino a disposizione, ma i soldini che hanno a disposizione li utilizzano non solo per delle forme di consumo che provengono dalla produzione di massa, ma anche per inventarsene delle proprie, oppure per ricombinare i modelli di consumo tipici della massa in modalità proprie della loro subcultura. Non accettano quindi il pacchetto di riti di passaggio verso l'età adulta che in un certo senso la cultura dominante aveva costruito per loro, cioè lavoro, matrimonio, o meglio studio, lavoro, matrimonio, casa, famiglia, pub, e che rappresentavano il modello di riferimento.
dei loro genitori della classe operaia per emanciparsi dalle condizioni di povertà. Ora, la tesi che in parte ho anche accennato di Dick Hebdige che scrive questa analisi, fa questa ricerca importante che si chiama Subculture, the meaning of style, cioè sotto cultura il significato dello stile. Ma anche un'altra importantissima analisi che è quella di un altro autore dei cultural studies che è Paul Willis, che si chiama Learning to Labor, costituiscono i due principali lavori attraverso cui è possibile capire in che modo vengono lette le condizioni giovanili della Gran Bretagna urbana di fine anni settanta. La tesi di questi due autori, diciamo, hanno tesi diverse perché in realtà uno studia soprattutto le sottoculture e in particolare quella punk, l'altro, Paul Willis, studia il comportamento, le rappresentazioni simboliche e le pratiche dei giovani figli di classe operaia nel mondo della scuola inglese, nella scuola pubblica.
Tuttavia, le loro... Due tesi diverse, perché ciascuna relativa a un oggetto specifico di indagini, possono convergere in un'unica tesi generale, secondo la quale i giovani proprietari affrontano delle imposizioni che provengono dalla cultura ufficiale, dalla cultura dominante, interpretate in un caso dalla scuola pubblica. nell'altro dai valori della classe borghese che si poi esprimono anche nella televisione di massa, nel cinema di massa, nella pubblicità di massa, eccetera, li rifiutano perché vedono in questi elementi delle forme di irrigimentazione di cui o non capiscono il senso o capiscono il senso ma non le accettano, sono contrari. e soprattutto vogliono svincolarsi da una cultura conservatrice e passatista, cioè che legano a un mondo vecchio, stantio, e quindi la loro risposta è quella di non conformarsi, di non ubbidire, di contestare pubblicamente e simbolicamente tutti i dettati e le posizioni che provengono dall'alto.
Questo è il filone principale di studi che si sviluppa nella prima fase di sviluppo dei calcio da statis che possiamo situare tra il 1964 e la fine degli anni 70. C'è poi una seconda fase in cui l'attenzione si sposta pur restando concentrata sulle subculture giovanili, si focalizza adesso moltissimo sulle subculture etniche. Anche questa è però una cosa che va contestualizzata alla società inglese, perché la società inglese, soprattutto nelle grandi aree urbane inglesi, non solo a Londra, ma anche nelle altre grandi città, come manchester birmingham liverpool e via dicendo verso la fine degli anni 70 la società inglese assiste all'irrompere all'emergere c'è un'uscita di rivendicazioni simboliche stilistiche artistiche subculturali delle minoranze etniche questo avviene in inghilterra perché l'inghilterra a un un passato coloniale di una enorme rilevanza e quindi a partire dalla seconda guerra, anche da prima, ma soprattutto a partire dalla seconda guerra mondiale, la società inglese ha ospitato dei flussi di immigrazione molto consistenti provenienti dai paesi delle ex colonie, India, Pakistan, Bangladesh. i paesi dell'Africa centrale, Nigeria per esempio, e moltissimo anche dai Caraibi, soprattutto alla Giamaica. Queste comunità di origine etnica completamente diversa rispetto alla cultura etnica anglosassone e protestante, bianca, ovviamente esistono, ma... in maniera abbastanza passiva fino alla metà degli anni 70. Cioè le prime generazioni di immigrati che arrivano negli anni 40, negli anni 50, negli anni 60 e via dicendo hanno fondamentalmente un ruolo, una visibilità di bassissimo profilo.
Tendono, cercano di assimilarsi, subiscono anche diciamo... molto diverse forme di razzismo, di discriminazione, di subordinazione, ma a un certo punto il panorama cambia e cominciano a irrompere, cioè cominciano a protestare, ci sono tutta una serie di riots, cioè di vere e proprie ribellioni, rivolte nei quartieri londinesi. in cui è più forte la presenza di queste comunità di origine straniera e cominciano soprattutto a rivendicare una propria diversità vissuta non più come motivo di vergogna ma addirittura come motivo di orgoglio.
Questa forma di ribellione, questa forma di visibilità culturale si esprime poi soprattutto attraverso la musica. e esprimendosi attraverso la musica diviene terreno di cultura per infatuazioni che riguardano non soltanto le seconde e le terze generazioni di queste comunità etniche, ma anche i giovani bianchi di classe proletaria inglese. E questa commistione tra... subculture giovanili di origine working class bianca e di invece origine etnica comunque proletaria afro-caraibica, africana indiana, pakistana del Bangladesh eccetera eccetera producono da un lato nuove forme di resistenza simbolica dall'altro una vera e propria serie insieme di novità culturali. Faccio dei riferimenti alla musica in modo tale che questi discorsi vi sono più vicini.
Parliamo per capirci della musica ska, della musica reggae, della musica tab, parliamo anche dei rockabilli. Esistono insomma delle fioriture culturali, estetiche e musicali che sconvolgono il panorama giovanile inglese. Gli autori dei Calcio d'Astati si accorgono, a dire il vero, un po'in ritardo.
Pensate che Stuart Hall era egli stesso di origine giamaicana. Era una persona che aveva studiato da giovane in Giamaica, ma appena i suoi ottimi voti gli avevano permesso di avere una borsa di studio per l'Inghilterra, si trasferisce in Inghilterra dove completa gli studi in letteratura. Egli stesso dice di essersi accorto tardi rispetto agli eventi di questa trasformazione. Fatto sta che una volta questa trasformazione in atto diventa oggetto di interesse.
e quindi oggetto delle ricerche della scuola di Birmingham. In particolare la scuola di Birmingham si getta a capofitto lo studio di questi fenomeni multiculturali, multietnici, comincia a riflettere sulla questione della soggettività e dell'identità, in particolare per quanto riguarda l'identità afrocaraibica, pone al centro vi dibattito un nuovo tema che è il tema della diaspora, è un tema interessante perché il tema della diaspora fa riferimento al fatto che queste comunità non perdono i legami, anzi li rafforzano con le comunità di origine, per esempio la musica, la letteratura, l'arte pittorica o anche diciamo gli aspetti religiosi, pensate al fenomeno del rastafaresimo che è molto legato al reggae, anziché perdersi all'interno della società inglese, acquistano ulteriore valore perché costituiscono un mezzo di raccordo con la cosiddetta comunità perduta, la comunità di origine da cui si è prodotta la diaspora. C'è anche un altro tema legato al fatto che contestualizzando ci troviamo ormai verso la fine degli anni settanta e quindi il movimento femminista ha anch'esso prodotto una sua visibilità e quindi anche il tema delle differenze e delle eseguaglianze di genere legate alla soggettività entra a far parte dei temi presi in considerazione dagli autori dei cultural studies. C'è una terza fase che segna anche l'inizio della parabola discendente dei cultural studies che potremmo definire come una fase più filosofica che avviene nella seconda metà degli anni Ottanta in cui il successo nel mondo accademico delle prospettive filosofiche di due autori in particolare Foucault ed Errida, entrambi francesi, mettono a disposizione dei cultural studies nuove prospettive di interpretazione della cultura. E queste nuove prospettive fanno riferimento a due correnti filosofiche, il post-strutturalismo e il decostruzionismo.
Incontreremo nel dettaglio più avanti durante il nostro corso, però permettetemi adesso di... esplicitare soltanto due o tre aspetti che in maniera sommaria facciano comprendere che cos'è il post-strutturalismo e cos'è il decostruzionismo. Allora, il post-strutturalismo è in due parole la necessità, il richiamo, la rivendicazione in termini filosofici della necessità di abbandonare definitivamente una volta per sempre tutte le pretese scientifiche dello strutturalismo, cioè tutti quegli approcci che tentano di spiegare un fenomeno andando a caccia, cercando di scoprire, di rintracciare la struttura del funzionamento di quel fenomeno, cioè quell'insieme di regolarità tra elementi che fanno parte della struttura che spiegano lo stesso avanzamento della struttura. La struttura è l'insieme di regole di base che stanno sotto la spiegazione di un fenomeno, cioè stanno sotto un fenomeno, per cui trovata la struttura di quel fenomeno noi possiamo spiegare con una legge generale come quel fenomeno funziona.
Foucault è uno degli autori che attraverso i suoi scritti ha posto alle fondamenta di questo movimento critico, diciamo che potremmo chiamarlo antistrutturalista, anche se poi, questo lo vedremo più a fondo più avanti, mantiene dei legami con lo strutturalismo. E dall'altro lato invece c'è un altro percorso filosofico introdotto da un altro filosofo francese che si chiama Derrida che invece fa riferimento al decostruzionismo. Che cos'è il decostruzionismo? Il decostruzionismo è l'idea che siccome il linguaggio ha un peso rilevante nel plasmare la realtà, nel senso che noi plasmiamo o ipotizziamo, pensiamo, sogniamo di manipolare la realtà che ci circonda, dandole un nome, cioè spiegandola, analizzandola attraverso delle categorie, che sono delle categorie linguistiche, fondamentalmente la realtà può essere vista come una costruzione del linguaggio. Secondo Derrida le costruzioni del linguaggio relative alla realtà che provengono dalla scienza positivista sono fondamentalmente delle imposizioni.
Non vanno bene perché si basano semplicemente su una logica binaria. cioè i significati dei concetti più importanti che utilizziamo per descrivere la realtà fanno riferimento a delle categorie che sono tra loro in opposizione cioè in ciascuna opposizione una dei due termini dell'opposizione può esistere solo in compresenza e in opposizione all'altra facciamo degli esempi maschio, femmina, bello, brutto oggettivo, soggettivo, natura, cultura, alto, basso. Sono categorie che hanno un senso, acquisiscono un significato attraverso la classificazione della realtà. E questa opposizione però, anche quando si impone come neutra, come oggettiva, in realtà nasconde sempre un rapporto gerarchico. Cioè se io prendo queste categorie, fondamentalmente...
sono sempre in grado di verificare che una delle due si pone in posizione gerarchica superiore rispetto all'altra. Quindi la razza bianca rispetto alla razza nera, il bello rispetto al brutto, la cultura rispetto alla natura, il maschile rispetto al femminile e così via. Per Derrida, in termini filosofici, sarebbe necessario decostruire questa costruzione, cioè smontare questo apparato simbolico e linguistico.
perché appunto produttore di gerarchie e quindi nel linguaggio secondo Derrida si nasconderebbero delle relazioni di potere molto disuguali, in alcuni casi razziste, in altri casi etnocentriche, in altri casi sessiste e via dicendo. Ora, queste due correnti filosofiche che hanno successo vastissimo e che poi continueranno ad avere successo, Negli anni Ottanta si prestano subito all'attenzione e all'interesse degli autori dei cultural studies, i quali cominciano a fare i conti con il pensiero poststructuralista e il pensiero decostruzionista cercando di impiegare gli approcci di queste due correnti filosofiche allo studio degli oggetti. di studio che avevano caratterizzato la storia dei cultural studies e quindi le subculture, i gruppi subalterni, i gruppi minoritari, i giovani, le donne e via dicendo.
Tuttavia questo esperimento di commistione con la filosofia post-strutturalista e decostruzionista non produce dei grandissimi risultati. in termini epistemologici, la parabola dei cultural studies tende a scendere in maniera paradossale perché man mano che gli autori dei cultural studies producono ricerche e analisi sempre meno innovative e convincenti, mettiamola così, al tempo stesso la fama dei cultural studies si espande a livello mondiale. Gli scritti e le opere precedenti cominciano a riscuotere un enorme successo nelle università e nelle accademie di tutto il mondo, soprattutto quelle di lingua inglese, Australia, India, nei paesi africani, moltissimo in America. A questo punto l'oggetto di riferimento non sono più i gruppi sociali. non sono più le subculture giovanili, la classe proletaria, ma irrompe la questione della soggettività, cioè del singolo.
Anche perché, e qui facciamo un collegamento molto importante, ormai siamo alla fine degli anni Ottanta, c'è stata la svolta culturale e come ricorderete la svolta culturale tra le varie cose che produce c'è anche quella di un certo abbandono delle categorie gruppate. pali della sociologia classica, la classe, il partito, il sindacato, i grandi gruppi sociali. Adesso c'è un avvicinamento al singolo, alla soggettività. Scusate mi dicevo, e proprio in questa fase di successo planetario cominciano a imporsi in America dei filoni di studio molto simili a quelli inglesi che però si intestano questa etichetta, cioè American Cultural Studies.
La lezione dei cultural studies britannici era stata particolarmente apprezzata in America, Stuart Holt nel frattempo era andato più volte in America invitato a conferenze, in America... attraverso un percorso che poi vedremo da un'altra parte, attraverso lo studio della prospettiva della produzione di cultura. In America era stata nel frattempo, a inizi anni 70, finalmente legittimata lo studio della cultura di massa come qualcosa di rilevante per la sociologia e quindi la lezione dei British Cultural Studies riceve particolare apprezzamento in America dove però non assistiamo a una replica. dei cultural studies britannici, ma assistiamo a qualcosa di diverso. Cioè, da un lato si mantengono le stesse categorie sociologiche che i cultural studies britannici avevano messo in risalto, e cioè egemonia, resistenza simbolica, codifica, decodifica.
Dall'altro lato, tuttavia, gli oggetti di studio cambiano. Cambiano perché è diverso il contesto. americano da quello inglese, è diverso il periodo storico, siamo ormai tra la fine degli anni 80 e tutti gli anni 90, e soprattutto, cosa molto importante, sono diversi i precedenti storici delle culture di riferimento interne ai due paesi, dal lato gli Stati Uniti e dall'altro, diciamo, la Gran Bretagna. Prima di affrontare questa questione ancora un pochino più nel dettaglio, lasciatemi sottolineare un aspetto che avevo dimenticato di prendere in considerazione nelle slide precedenti, e cioè che tra le categorie concettuali molto importanti che i British Cultural Studies traggono dalla lettura di Gramsci c'è la categoria di egemonia. Che cos'è l'egemonia?
L'egemonia non è un potere assoluto, ma è una capacità di esercitare una grossa influenza culturale da parte di alcuni gruppi sociali rispetto a tutto il resto della società. Gramsci aveva utilizzato questo concetto in riferimento al fatto che, indirizzandosi al Partito Comunista Italiano, prima, diciamo, durante il periodo fascista, e quindi... prima dello scoccare della seconda guerra mondiale, aveva sostenuto più o meno questo.
È come se avesse detto, guardate, cari compagni di partito, se l'obiettivo del partito comunista deve essere quello di conquistare quante più persone, anche attraverso il voto, eccetera, allora guardate bene che questo obiettivo non sarà mai raggiunto se la subcultura... di sinistra non diventa cultura egemone. Cioè che cosa stava dicendo?
Stava dicendo che fondamentalmente è importante, secondo appunto una lettura marxista non deterministica, che la sovrastruttura, cioè la dimensione culturale, costituisca un'arma per raggiungere il potere. Cioè, in poche parole, una cultura di sinistra... per diventare cultura maggioritaria deve fare in modo di diventare nazional popolare, cioè deve conquistare le pratiche elementi, il cuore elementi, di un'ampia fetta della popolazione. Non può limitarsi soltanto alla classe operaia, perché se si limita soltanto alla classe operaia non sarà mai egemone. Questo tipo di discorso non è interessante per noi dal punto di vista politico, è interessante per noi dal punto di vista culturale.
cioè i British Cultural Studies avevano fatto propria questa lettura ma non l'avevano attuata per obiettivi di carattere di partito, l'avevano attuata per dimostrare che una cultura è egemone nel momento in cui è capace di convincere e di entrare nelle pratiche anche quelle più banali, non quelle solo politiche, della maggioranza della popolazione, altrimenti resta una sottocultura e quindi resta subalterna. Allora, anche questo concetto di Gramsci transita nei American Cultural Studies attraverso la traduzione proveniente dai British Cultural Studies. Però, come abbiamo detto, quella americana è una riedizione soltanto dal punto di vista del linguaggio e delle categorie che vengono utilizzate per analizzare i fenomeni culturali. Però i fenomeni culturali che vengono presi in considerazione in America sono totalmente diversi da quelli che erano stati presi in considerazione in Inghilterra.
Intanto perché, prima cosa, in America non esisteva una classe operaia con una cultura proletaria di lunga tradizione. Ma era esistito per 30 anni il cosiddetto American Dream, che era una rappresentazione ideologica della realtà secondo la quale anche gli operai potevano vivere allo stesso modo in cui vivevano. quelli della classe media americana. Due, il campo accademico negli Stati Uniti è già stato molto conquistato dai temi che riguardano le minoranze etniche e razziali, l'abbiamo visto a proposito della svolta culturale, cosa che in Inghilterra non era successa, anche perché siamo in due momenti storici diversi.
I British cultural studies avvengono negli anni 60, 70 e in parte 80. Gli American cultural studies avvengono molti anni dopo, quando la svolta culturale ha già prodotto tutti i suoi frutti e quindi nel mondo accademico già esiste una certa sensibilità, anzi è fortissima la sensibilità, per i temi legati alle minoranze etiche e razziali, ancora di più per quanto riguarda il femminismo. e soprattutto in America esisteva da tempo, anche se era posizionato all'interno di un dibattito che vedeva due opposti, gli apocalittici e gli integrati, questo dibattito di cui sto parlando riguarda qual era l'effetto che i media, che i mass media avevano sul pubblico. Da un lato c'erano i cosiddetti apocalittici, questa è una definizione di Umberto Eco. questo arriveremo, da un lato c'erano gli apocalittici e da un lato c'erano gli integrati, quindi era una visione molto conflittuale. Gli apocalittici sostenevano che i mass media facevano male, che influenzavano le persone, che erano ideologici, che far vedere dei film violenti a dei bambini avrebbe prodotto dei criminali e via dicendo.
Gli integrati avevano una posizione letteralmente opposta, secondo la quale invece... i mass media non è che facevano bene ma non altro che lo specchio della realtà e funzionavano, quindi funzionalismo, funzionavano semplicemente come dei mezzi di comunicazione, di informazione. Questo dibattito era molto forte negli Stati Uniti da diversi decenni e quando arriva il successo del British Cultural Status l'interesse americano e soprattutto per l'utilizzo delle categorie e degli approcci della scuola di Birmingham allo studio dei mass media.
Bene, a questo punto penso che sia più che sufficiente, quindi mi fermo, vi saluto e vi invito a fare il più possibile per completare i compiti e i quiz in contemporanea all'avanzamento del corso. Un saluto.