Negli aridi deserti del Medio Oriente, al confine tra Kazakistan e Uzbekistan, sorge il cadavere di un enorme bacino salato. di origine oceanica, questo un tempo era uno degli specchi d'acqua più grandi del nostro pianeta. Fino alla prima metà del secolo scorso infatti Aral veniva considerato il quarto lago più vasto al mondo. Le sorti di questo paradiso incontaminato sono state segnate per sempre dallo sfruttamento incontrollato da parte di una sola specie: Homo sapiens. Oggi ripercorreremo la storia di uno dei più catastrofici disastri naturali causati dall'umanità vedremo come un lago che un tempo ricopriva più di 68 mila chilometri quadrati di territorio in poco più di 50 anni sia stato portato al suo quasi totale prosciugamento: la tragedia del Lago d'Aral. Il Lago d'Aral è un bacino di acqua salata le cui origini risalgono a tempi lontanissimi. Proprio come il Mar Caspio e il Mar Nero, è tutto ciò che resta della Paratetide, un ramo dell'antico oceano Tetide che ritirandosi generò questi tre grandi laghi. Circa 5 milioni e mezzo di anni fa, a causa del sollevamento tettonico della catena Elburz e del Caucaso, l'Aral perse il suo collegamento con il mare. Nel corso della sua storia il lago cambiò forma e dimensioni diverse volte, spesso avvicinandosi anche al prosciugamento totale, ma mai con una velocità simile a quella attuale. Negli anni '60, durante la guerra fredda, il bacino era il quarto lago più esteso al mondo. Misurava circa 68 mila chilometri quadrati, dimensioni simili a quelle dell'Irlanda. L'Unione Sovietica utilizzava il bacino principalmente per la pesca. Di fatti ogni anno contribuiva a circa un sesto del suo pescato totale. Questo bacino incontaminato però, negli anni '60, andò incontro al suo tragico destino quando l'Unione Sovietica decise di deviare il corso dei suoi unici due fiumi immissari: l'Amu Darya e Syr Darya. Vennero deviati per aumentare la coltivazione intensiva di cotone nelle zone circostanti al lago, che erano molto aride. I sovietici prima di deviare i fiumi erano già al corrente del fatto che nel giro di qualche anno il lago si sarebbe prosciugato, ma questa veniva considerata una questione secondaria rispetto alla produzione intensiva di cotone e ortaggi. Così facendo, per il lago gli unici veri rifornimenti d'acqua divennero le piogge, che sfortunatamente erano quasi assenti. Questo, insieme all'estrema aridità della zona, portò inevitabilmente al suo progressivo prosciugamento, riducendo il volume totale di acqua del 90 per cento in soli 60 anni. Questo vuol dire che il lago che vediamo attualmente è solo un decimo di quello che era una volta. L'Aral nel 1987 si prosciugò tal punto da dividersi in due parti: Aral Nord, più piccolo, e Aral Sud, più grande, rendendo il prosciugamento sempre più rapido. Si stima infatti che durante quel periodo il livello del lago si abbassasse quasi di un metro ogni anno. Prosciugandosi, la concentrazione salina già elevata del lago aumentò a dismisura, portando all'estinzione più di 20 specie diverse di pesci. Inoltre i pesticidi utilizzati per le coltivazioni si accumularono nel lago, sulle rive e nei vecchi fondali del bacino, rendendo la zona altamente tossica per gli animali e le popolazioni limitrofe. all'interno del lago inoltre vi era l'isola di Vozroždenie, che durante la Guerra Fredda è stata utilizzata dall'Unione Sovietica per la realizzazione di una base segreta: Aralsk 7. L'obiettivo principale era quello di creare diverse armi batteriologiche studiando malattie già esistenti come l'antrace. Riuscendo a migliorare proprio quest'ultima in trasmissibilità e mortalità, crearono un'arma batteriologica letale, potenzialmente catastrofica. Al termine della Guerra Fredda negli anni '90 la base venne abbandonata, diventando la più grande discarica di antrace al mondo. Nel 2002 gli Stati Uniti spesero più di 5 milioni di dollari per bonificare la zona, ma è probabile che ci siano ancora tracce di questo batterio. A distanza di decenni, purtroppo, quest'isola viene ancora considerata uno dei posti più pericolosi al mondo. La zona che un tempo vedeva fiorire la vita ora è un cimitero chimico pieno di navi scavate dalla ruggine e di pesci e altri animali senza vita. Distese di sale e temperature infernali caratterizzano lo scenario attuale del lago che probabilmente è destinato a sparire almeno nella porzione meridionale. La scomparsa di un bacino così grande ha portato anche grandissimi scompensi a livello climatico. Infatti il lago d'Aral mitigava il clima torrido con le sue acque, rendendolo temperato tutto l'anno. Mentre adesso invece, a causa di un processo di desertificazione, le temperature passano da un minimo di -35 gradi in inverno a più di 50 gradi in estate, rendendo così il lago ancora più inospitale. I numerosi insediamenti di pescatori che vivevano grazie all'ittiofauna del lago sono stati via via abbandonati fino al 1982, anno della definitiva cessazione di ogni attività correlata alla pesca nella zona. Questo processo fu accelerato da un secondo fattore: con il prosciugamento del bacino chi abitava le sponde del lago si è ritrovato a decine di chilometri dalla riva nel giro di pochi anni. Recentemente il Kazakistan ha provato a salvare perlomeno l'Aral Nord costruendo una diga terminata nel 2005 e ricollegando il lago al suo antico affluente Syr Darya. I risultati del lavoro sono stati notevoli: dal 2003 al 2008 la superficie del piccolo Aral è aumentata da 2.550 a 3.300 chilometri quadrati. Nello stesso periodo la profondità è aumentata da 30 a 42 metri. In alcuni villaggi sono ritornati addirittura i pescatori dopo che alcune specie di pesci sono state reintrodotte proprio per tentare di rendere l'attività nuovamente praticabile. Le acque del lago inoltre sono risultati abbastanza pulite da essere potabili e la salinità è tornata ai livelli simili a quelli precedenti al 1960. Mentre nella porzione nord il lago sembra essere in fase di recupero, in quella sud la situazione peggiora sempre di più: infatti al giorno d'oggi la porzione meridionale rimane sempre senza afflussi idrici e si sta prosciugando sempre più velocemente. A differenza del governo kazako, l'Uzbekistan sembra rassegnato per le sorti del lago, che è esageratamente inquinato e compromesso. Per questo le autorità preferiscono investire nel rinverdimento del deserto lasciato dal lago evaporato invece di provvedere a un suo eventuale nuovo riempimento. Stanno avendo un discreto successo delle opere di rimboschimento di Haloxylon ammodendron, un arbusto noto anche con il nome di "albero del sale", in grado di vivere in ambienti aridi e dalla salinità elevata. Questo consentirebbe un rallentamento dei fortissimi venti in quelle zone, impedendo così la diffusione delle polveri tossiche nella regione circostante. In questa landa desertica, dopo la tragedia, sopravvivono solo alcuni particolari animali, concentrati soprattutto nella porzione del lago a nord che lentamente si sta ripristinando. Tra questi il barbo d'Aral, il pesce più abbondante nel lago, che può arrivare fino al metodo di lunghezza e permette il sostentamento di gran parte della popolazione locale. Nell'Aral Sud è invece scomparso, come tutti gli altri pesci, a causa della salinità eccessiva. Nei pressi del lago invece rimangono solo alcuni animali specializzati a resistere al clima estremo della zona. Uno di questi è la Saiga tatarica, una bizzarra antilope dal naso a proboscide. Questo ungulato è attualmente a rischio di estinzione. Dalla lunghezza media di un metro e venti e con un peso di circa 50 kg la saiga ha la capacità di bere anche acqua salata, cosa che la rende estremamente adattabile. Tuttavia, in generale, la fauna selvatica sta scomparendo in tutta la zona circostante al lago. Senza un serio intervento potrebbe sparire in modo permanente. Il Lago d'Aral era un paradiso incontaminato che l'uomo, in pochi anni, è riuscito a distruggere pur essendo da subito consapevole delle conseguenze ambientali. Si tratta di uno dei più grandi disastri ecologici causati dalla nostra specie, che hanno portato alla nascita di uno scenario inquietante e malinconico, ma soprattutto inospitale per qualsiasi forma di vita. Una maggiore sensibilità e un'azione immediata da parte di tutti i paesi sono forse l'unica speranza per i pochi ambienti incontaminati del nostro pianeta