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Design Radicale e Postmodernismo in Italia

Al termine della seconda guerra mondiale, gli anni ’50 erano stati per l’Italia il tempo di ricostruzione e gli anni ’60 avevano visto il miracolo economico registrare un rapido avanzamento tecnologico. In aperto contrasto con il clima di positivo benessere che aveva caratterizzato gli anni ’50 e ’60, gli anni ’70, con la crisi petrolifera del 1973, facevano registrare una forte inflazione ed un generale senso di vulnerabilità economica ed ecologica, che rappresentano le basi per una riflessione sul valore sociale del design e della sua evoluzione, In questo contesto storico, l’esplosione della società del consumo e il dominante funzionalismo dello spirito moderno vennero fortemente intaccati ed il ruolo del design nella società capitalistica venne messo in profonda discussione. Non tutti i designers, infatti, si ritenevano persecutori di un’industrializzazione esasperata. Molti di loro scelsero di lavorare in forma indipendente e in modo sperimentale, affacciandosi a questioni politiche e facendo propri valori e battaglie sociali, cercando una cultura di opposizione in aree tematiche, apparentemente dissociate dal design, come la musica rock, il messaggio di pace e amore divulgato tra i giovani del festival di Woodstock, la pop art newyorchese, i film indipendenti realizzati fuori Hollywood. Gli echi del gruppo di avanguardia architettonica inglese Archigram, formatosi presso l'Architectural Association di Londra negli anni ’60, si rivelarono ispiratori di un atteggiamento rivoluzionario, quale reazione al benessere scatenato dall’ondata di consumi e ai comportamenti massificati, liberamente espresso in forma di performance e happenings. È così che negli anni ’60-’70, in parallelo al successo del Bel Design, prende avvio in Italia, il Radical Design: un movimento radicale, appunto, dall’approccio teorico, politicizzato e al contempo sperimentale; un movimento fondamentalmente avverso al razionalismo e al funzionalismo del Movimento Moderno e dichiaratamente avverso alla dominante produzione industriale. Il Radical Design trasse ispirazione da una vasta gamma di fonti, come le avanguardie artistiche, l’Art Nouveau, l’Art Déco, il Futurismo, il Surrealismo, l’Optical Art, la Psychedelia, ma anche il misticismo orientale, il kitsch e la Pop Art e fu fortemente stimolato dalla crescita e capacità comunicativa dei mass-media. L’origine del Radical Design, detto anche Anti-Design o Contro-design, va cercata nell’esperienza di alcuni giovani designer di ‘opposizione’ in linea con le lotte politiche e studentesche che animarono il 1968. Il movimento, nato inizialmente a Firenze, si espande presto a Milano per raggiungere l’Europa, e riagganciarsi al panorama internazionale. Superstudio e altri gruppi, come Archizoom, UFO, Gruppo 9999 a Firenze e il Gruppo Strum di Torino, erano collettivi formati da studenti e architetti animati dall’intento di contestare l'imperante approccio razionalista del modernismo, la larga distribuzione del prodotto industriale e quel senso di alienazione nei confronti della società del consumo. Essi intendevano abbattere i confini delle discipline del design, utilizzando nuovi linguaggi per esprimersi con espedienti come body art, performances, installazioni, scritti e filmati, allo scopo di: rivendicare nuove aree creative in cui esercitare l’inventiva poetica, creare nuove sollecitazioni attraverso la ricerca di novità e provocazioni, liberare l’uomo dalla cultura perbenista tradizionale. Tali collettivi cercano di emergere con progetti provocatori e d’evasione, attraverso la progettazione di oggetti fuori luogo e fuori scala: spesso progettano architetture impossibili o mobili dalla chiara discendenza dadaista come sedie zoppe, tavoli inginocchiati, letti chiodati. I loro progetti architettonici radicali come La Supersuperficie di Superstudio del 1969 e la No-Stop City di Archizoom, sempre del 1969, proponevano un sistema di griglie per gestire lo spazio con una sorta di utopistico modello architettonico di urbanizzazione totale, spingendo il pensiero razionale fino alle sue estreme conseguenze, fino al punto di diventare irrealizzabile. Sono gli intensi anni ’60: un’epoca in cui il ritrovato benessere economico spinge sempre per una produzione di massa, ove la merce appare come più abbondante e raggiungibile, pubblicizzata com’era per creare desideri continui per un consumismo allargato a tutte le classi sociali, ma soprattutto in alcune che attraverso il possesso di oggetti status symbol tentano di compiere una scalata sociale basata sulle possibilità del consumismo. Oggetti come Superonda di Archizoom (1966) e il Doric Temple di UFO, 1971, ironici ed eccentrici nei linguaggi e nelle forme, apparivano innovativi nelle funzioni d’uso, e nella potenziale interazione con l’utente, ma al tempo stesso anche profondamente distanti dall’estetica dell’oggetto di consumo di massa. Negli anni divenuti sempre più influenti per la storia del design italiano, aderiscono al movimento Ettore Sottsass, Gaetano Pesce, Alessandro Mendini, Ugo La Pietra, Franco Raggi, Riccardo Dalisi, Gianni Pettena. A Milano, tra i radical designer che sposarono la vocazione sperimentale con l’intento di trasformazione dei modelli culturali ricordiamo: Ettore Sottsass (1917-2007) con le librerie Carlton e Casablanca che fa della materia e del colore strumenti essenziali del progetto, chiamato a comunicare emozioni; - Gaetano Pesce (1939), con la sua colorata sperimentazione artistica della serie UP del 1969, - Jonathan De Pas, Donato D’Urbino, Paolo Lomazzi, con la sorprendente e giocosa poltrona Blow (1967) - tra le aziende, la Gufram, di Torino, che produce Pratone di Pietro Derossi, 1966 (IMA): una seduta in poliuretano espanso i cui grandi steli d’erba si piegano sotto il peso del corpo e lo accolgono. Nel 1972, il MoMA li chiama a raccolta nell'ambito della mostra Italy, The New Domestic Landscape, decretando il loro momento di massimo successo e rendendo famoso il design italiano in tutto il mondo: la mostra afferma lo loro influenza sul mondo dell'arte portando all'attenzione del pubblico temi come l'antimaterialismo, l'ecologia, il collettivismo e il riciclo. Gioco e contestazione, ironia e rigore etico sono dunque le polarità che orientano le velleità artistiche e le trasgressive provocazioni del Radical Italiano il cui obiettivo era quello di restituire alle persone la libertà e il controllo delle proprie scelte, dei propri gusti, dei propri comportamenti. Non solo: con i nuovi linguaggi e le nuove istanze che prendono forma, il design si colloca oltre la logica dell’utile e del necessario, in una dimensione iconografica dove la narrazione e la suggestione diventano dominanti in una ormai nascente società delle immagini. Dal 1973 il Radical Design troverà ampio spazio nelle pagine della rivista Casabella diretta da Alessandro Mendini (1931-2019), designer fortemente rappresentativo del movimento. Verso la metà degli anni Settanta, il movimento si esaurisce abbandonando la sperimentazione e l’avanguardia fine a sé stessa, per inaugurare un nuovo indirizzo di più pragmatica collaborazione con il mondo della produzione, chiamato postmodernismo. Viene fondato nel 1976, lo studio Alchimia come galleria espositiva per opere sperimentali e libere dagli schemi forzati della produzione industriale. Vi collaborarono Ettore Sottsass, Alessandro Mendini, Andrea Branzi, Paola Navone, Michele De Lucchi. In antitesi al vuoto culturale e intellettuale percepito nel design di serie della società industrializzata, le loro collezioni traevano ispirazione da riferimenti agli stili del passato, proponendo oggetti unici, auto-definiti, fin paradossali. Mendini divenne l’esponente di punta del gruppo: con la sua famosa poltrona Proust, 1978, egli enfatizza il significato di un oggetto storico attraverso la singolare sperimentazione di decorazione applicata. Sottsass, desideroso che queste esperimentazioni potessero trovare un dialogo anche con la produzione industriale, lascerà il gruppo per fondare una cooperativa che battezzò Memphis, in omaggio a Bob Dylan ed Elvis Presley: qui, in collaborazione con le aziende produttive di mobili e ceramica, realizzò oggetti molti audaci e colorati traendo ispirazione da stili decorativi del passato. In particolare, la collaborazione con Abet laminati lo portò a realizzare superfici sintetiche con variegati motivi ispirati alla Pop Art e alla Op Art. La produzione di ricco materiale promozionale e di cicli di mostre tenute in molte città permisero loro di affermarsi nel mondo del collezionismo. L’eclettismo è certamente l'ingrediente del grande successo che li ha travolti in quegli anni. Forse il loro limite è stato proprio quello di non riuscire a tradurre quegli atti di ribellione in azioni concrete o di tradurle ancor più in oggetti colti ed elitari. Il piglio geniale e la visione pioneristica del Radical Design prima e del Postmodernismo poi, indotti dal contesto di forte rivoluzione sociale, hanno sicuramente aperto alla riflessione sul significato espanso da dare al design, e per esteso anche alla società che abitiamo.