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Evoluzione del design del mobile italiano

Durante gli anni ‘50, similmente ai settori dei trasporti e dell’elettrotecnica anche l’industria del mobile si avviò verso la modernizzazione, sebbene con un leggero ritardo rispetto agli altri comparti industriali. Questo cambiamento fu determinato in parte dal gusto dei ceti benestanti che ambivano ad uno stile di vita moderno, influenzato dal modello americano degli Eames, dalla sobria qualità della produzione scandinava senza dimenticare la tradizione italiana. Per rispondere a queste necessità alcuni imprenditori di piccole aziende, spesso a conduzione familiare e con ridotto personale, riorganizzarono le proprie attività, meccanizzando la produzione senza mai rinunciare completamente all’esperienza artigianale e soprattutto coinvolgendo quella generazione di giovani architetti che oggi consideriamo i maestri del design italiano. Alcuni degli autori che avevano avviato la carriera tra gli anni ’20 e ’30 proseguirono la loro attività in questi anni riuscendo a comprendere il mutato clima sociale e imprenditoriale del periodo. Gio Ponti, ad esempio, proseguì la sua attività di architetto e designer progettando sia oggetti di produzione industriale che mobili di manifattura artigianale realizzati appositamente per i suoi interni. Un caso particolare è la collaborazione con l’azienda Cassina, per la quale disegnò differenti arredi di cui la sedia Superleggera è il più noto. Derivata dalla “Chiavarina” un modello tradizionale ligure, la Superleggera ha un peso contenuto grazie alla sottile sezione triangolare delle gambe, dettaglio che determina la resistenza della struttura nonostante il minimo impiego di materiale. Anche Franco Albini nel secondo dopoguerra progettò architetture, interni e allestimenti di grande successo, nonché differenti oggetti, tra i quali citiamo solo il Cicognino per Poggi: un innovativo tavolino/vassoio che ben si adattava alla versatilità degli spazi che via via andavano creandosi nelle case di quegli anni. Anche i BBPR proseguirono la loro carriera collaborando con differenti aziende, tra le quali Olivetti e Arflex, proprio come Luigi Caccia Dominioni che, insieme a Ignazio Gardella, fondò l’azienda Azucena, esempio di produzione ibrida tra artigianato e serialità. A questi nomi già noti all’epoca, si aggiungono quelli di giovani e talentuosi architetti che daranno al design italiano alcune delle sue icone. Tra questi Vico Magistretti, che ha fatto della sobrietà la chiave della sua ricerca, intesa come la semplicità della forma volta ad una facile esecuzione del progetto. I riferimenti per Magistretti possono essere ritrovati nell’osservazione di oggetti comuni o nelle possibilità di nuovi materiali. La sedia Carimate, ad esempio, nasce dal riferimento a un modello tradizionale in legno e paglia ridisegnata in chiave attuale, mentre la Selene per Artemide è la prima sedia in plastica stampata in un unico pezzo caratterizzata da una particolare sezione a S che dà rigidità alle gambe, risolvendo così il problema della stabilità con la sola ricerca sulla forma. A partire dai primi anni ’50 emerge anche il lavoro dei fratelli Achille e Pier Giacomo Castiglioni. I loro progetti si fondano su un’inesauribile curiosità per i comportamenti umani e gli oggetti già esistenti, e su una metodologia rigorosa nelle scelte progettuali, volta alla semplificazione del prodotto tramite l’assemblaggio di poche parti, spesso preesistenti, ricomposte in una nuova morfologia. Un esempio celebre è il Mezzadro, uno sgabello costituito assemblando componenti presenti nella produzione industriale, ma estranee all'industria del mobile: la seduta di un trattore è congiunta tramite un perno a una balestra stabilizzata da una staffa in legno. Numerosi altri oggetti nascono da questo principio come le lampade Toio, Luminator e Lampadina tutte per l’azienda Flos. Marco Zanuso oltre ai progetti per Brionvega e Siemens, lavora come architetto e designer disegnando edifici e oggetti dai quali traspare l’interesse per la tecnologia e lo studio accurato sui materiali. Gli oggetti di Zanuso sono spesso disegnati pensando a sistemi di produzione completamente industrializzati. Emblematica di tutti questi temi è la poltroncina Lady per Arflex. Per questo progetto Zanuso risolve il complesso problema dell’imbottitura usando materiali innovativi per l’epoca: la poltrona ha una minima struttura in legno alla quale sono fissate bande elastiche che supportano le imbottiture in gommapiuma. Inoltre, la Arflex stessa è un interessante caso del contesto imprenditoriale italiano di quel periodo. Questo marchio fu fondato nel 1949 da tre ingegneri della Pirelli, che avevano lavorato sull’innovazione di materiali come la gommapiuma e i nastri a elasticità controllata, comprendendone le possibili applicazioni al progetto degli imbottiti. Oltre alla collaborazione con Zanuso si ricordano anche la poltroncina Elettra dei BBPR del 1954, la Fiorenza di Albini ed Helg del 1952 e il divano Serpentone di Cini Boeri del 1971. Sul solco dell’innovazione tecnica e imprenditoriale si colloca anche l’azienda Kartell fondata dall’ingegnere chimico Giulio Castelli, esperto nella produzione di materiali polimerici. Castelli seppe sfruttare le sue conoscenze nel campo scientifico applicandole al settore dei casalinghi e dell’arredo, dimostrando così la qualità e la versatilità della plastica. La Kartell ha coinvolto nel corso del tempo numerosi designer di talento come Anna Castelli Ferrieri, Gino Colombini, Joe Colombo, Marco Zanuso, Giotto Stoppino, continuando ancora oggi a coinvolgere i più importanti autori contemporanei da Ferruccio Laviani a Patricia Urquiola, da Antonio Citterio a Nendo. Nel 1957 dalla visione di Bruno Danese e Jacqueline Vodoz nacque un’altra azienda simbolo di questi anni,la Danese. Editore di raffinati oggetti per la casa che nascono dalla contaminazione del prodotto con l’arte in un territorio ibrido tra laboratorio artigianale e industria. Non a caso la produzione di Danese è legata a due designer che ebbero una formazione artistica: Bruno Munari ed Enzo Mari. Bruno Munari si era formato come artista nell’ambito del secondo Futurismo, partecipando negli anni ‘50 alla nascita del movimento dell’Arte Concreta. Il suo progetto è animato da un’ironia acuta e dall’interesse per l’infanzia e il gioco. Suoi sono alcuni prodotti per Danese come il posacenere Cubo e la lampada da sospensione Falkland, caratterizzata da un lungo paralume in tubolare di stoffa la cui forma è determinata dalla tensione di alcuni anelli metallici cuciti al suo interno. Anche Enzo Mari si forma come artista e partecipa intensamente al movimento dell’Arte Programmata. Il suo lavoro è caratterizzato dalla ricerca critica sulle modalità di consumo e produzione. Tra i progetti più celebri per Danese vi sono il contenitore Putrella, del 1958, un centrotavola derivato da una trave in acciaio; il gioco per bambini 16 animali, che testimonia l’interesse per il progetto per l’infanzia; il calendario perpetuo Timor in cui le fascette in plastica sono montate a ventaglio così da permettere il cambio delle date con un movimento che ricorda i cartelloni delle grandi stazioni. Questi autori, e molti altri non citati, contribuirono alla nascita di un’estetica del prodotto italiano e a un successo che pur continuando fino ai nostri giorni ha avuto delle crisi e dei moti di rinnovamento negli anni ‘70.