Levino, avendo visto ciò e disponendo di cavalieri di riserva fuori del campo di battaglia, ordinò loro di attaccare i nemici alle spalle. A tale mossa Pirro rispose dando il segnale per gli elefanti e a quel punto, sia per la vista dei bestioni di cui non avevano mai avuto esperienza, sia per il loro grido terrificante, per il rumore che con le armi facevano nelle torri coloro che li montavano. i romani furono presi dal panico e i loro cavalli imbizzarriti o scossero i cavalieri o li trascinarono in fuga. Demoralizzato da ciò, l'esercito romano batte in ritirata e i fuggiaschi vennero uccisi in parte dai soldati nelle torri sul dorso degli elefanti, in parte da quegli animali stessi che finirono molti con la proboscide e con le corna o denti e altrettanti ne massacrarono calpestandoli. La cavalleria, all'inseguimento, ne uccise molti e nessuno sarebbe scampato se un elefante ferito non fosse impazzito per il dolore e gli altri non si fossero imbizzarriti sentendone i barriti.
Appunto perciò Pirro si astenne dall'inseguire e così i Romani, traversato il fiume, si rifugiarono in una città della Pulia. Il brano che vi ho letto è quello di uno storico greco. di epoca imperiale zonara che sta raccontando eventi di sette secoli, sei secoli prima dell'epoca in cui scrisse questo brano.
Siamo già in corsi nell'immagine di un elefante nei nostri racconti di Etruscopri e abbiamo già avuto modo di raccontare attraverso Brani di Ionigi di Alicarnasso, un episodio che è fortemente legato a questo piatto, quello della battaglia di Benevento del 275 a.C. che vide i Romani riuscire a sopraffare Pirro, che invece nella battaglia che vi ho appena letto, quella di Eraclea del 200... 1880 avanti Cristo erano stati letteralmente sgominati grazie al timore che avevano prodotto esseri che i Romani non avevano mai visto prima di allora.
Per sapere come prosegue questo racconto seguiteci sul nostro canale Etruschannel. Abbiamo quindi fatto una sorta di flashback rispetto al racconto che vi avevamo già illustrato sulla base di quel passo di Dionigi di Alicarnasso. Ricordate, il passo cominciava raccontando dell'incubo che Pirro aveva avuto la notte prima della battaglia, aveva sognato di perdere dei denti e quel oggetto che vi avevamo raccontato, un donario, probabilmente rievocava un qualcuno che aveva assistito a quella battaglia e aveva voluto consacrare un dono votivo in un contesto santuariale come quello veiente.
Ci troviamo invece in un'altra sezione del nostro museo, siamo esattamente sopra al piano superiore rispetto a dove è conservato il donario con l'elefante veiente. Siamo all'inizio del percorso che ci introduce nelle antichità dell'agro. capenate e poi di quello falisco. Ci troviamo a Capena dove questo vaso è stato rinvenuto nella necropoli delle Macchie intorno al 1913 da Giulio Quirino Giglioli, uno degli archeologi più fortunati della prima metà del Novecento, cui si deve la scoperta e poi l'illustrazione del celebre Apollo di Veio. Non arrivò mai a...
pubblicare integralmente il contesto a cui appartiene questo vaso che ancora oggi inedito. Sappiamo che si trattava di una tomba a camera, una delle diverse decine che aveva avuto modo di scavare e che si riprometteva di pubblicare se non fosse stato interrotto da scoperte ben più eclatanti, però ebbe modo di raccontare questo vaso nel corpo Opus Vasorum Antiquorum e già in questa prima edizione riuscì a cogliere il senso di questa raffigurazione che all'epoca... che già sembrava unica ma che oggi è nota da due altre repliche. Si tratta di vasi molto simili, se non proprio identici, uno rinvenuto in una tomba di Aleria in Corsica dello stesso periodo e l'altro invece un frammento di un vaso, la parte superiore di questa raffigurazione dove si legge una iscrizione che manca negli altri due meglio conservati.
La fine di un nome... e poi il termine poculum, che significa piatto, significa patera, significa un qualcosa che veniva offerto alla divinità, perché questi vasi, probabilmente, soprattutto i cosiddetti pocola, che sono molto simili a questo, ma tendenzialmente più piccoli, poco più della metà di questi, venivano consacrati alla divinità e di solito riportavano anche il nome della divinità. cui erano collegati, Esculapio, Bellona e diverse altre, sono alcuni degli esempi.
A cosa servivano? Beh, all'interno di un oggetto che noi oggi useremmo per mangiare la pasta, veniva in realtà versato del vino e poi il fedele lo rovesciava in modo tale da offrirlo idealmente alla divinità. È un rituale fortemente radicato nel mondo etrusco italico e veniva di solito celebrato con patere, con contenitori anche in metallo o in materiali preziosi. Ma entriamo dentro questa straordinaria raffigurazione, però torniamo un attimo al racconto delle fonti, perché poco prima vi ho letto il passo di Zonara, molto dettagliato. Dice di come i Romani fossero rimasti impressionati da un animale che non avevano mai visto prima.
Vi sono addirittura alcune fonti che definiscono gli elefanti come le vacche lucane perché in Lucania erano stati visti per la prima volta e l'animale a cui era stato avvicinato era la vacca, il toro e quindi si è creato una sorta di anacronismo. nel mondo animale. Diodoro Siculo ci racconta un altro passaggio che ci aiuta meglio a penetrare nella raffigurazione.
Alla guardia del corpo seguivano immediatamente gli elefanti in assetto di guerra, montati nella parte anteriore da indiani e dietro da macedoni armati di tutto punto con il consueto equipaggiamento. Incredibile la coerenza che c'è fra fonti che insomma possono seguire anche di diversi secoli fatti narrati e il nostro vaso, perché effettivamente il soggetto che si trova sopra la testa dell'elefante è a tutti gli effetti un indiano, ha una sorta di arpione tenuto in alto con il quale naturalmente doveva indirizzare il cammino del bestione che sovrastava. Nella torre vi sono invece due soggetti con un tipico elmo e delle armi che possono ricondurre al mondo macedone.
Quindi il conducente è un indiano ed effettivamente gli armati che dalla torre animavano le scene di battaglia sono dei macedoni, in questo caso sono dei compagni dei guerrieri che seguivano Pirro in Italia. Altri dettagli ci colpiscono perché l'artigiano è riuscito in modo incredibile a usare una tecnica policroma che prevedeva che sul fondo nero del piatto si sovradipingeva naturalmente prima della cottura. I dettagli della torre, una torretta merlata, ci aiutano a riconoscere anche la presenza di uno scudo riconoscibile dal colore biondo del bronzo dorato e poi un drappo.
quasi un tappeto, potremmo immaginarlo, che proteggeva il dorso dell'elefante rispetto alla sovrapposizione di questa torretta militare. E poi, dettaglio entra nello specifico in modo incredibile, una serie di elementi di cinghie legavano tutta la torretta al corpo di questa enorme animale, le cui caratteristiche sono tali, per la forma delle orecchie e per quella delle zanne, da non lasciar dubbi che si tratti di un elefante di tipo indiano e non africano come gli elefanti che diversi decenni dopo porterà con sé Annibale nella sua campagna in Italia. Ci sono dubbi. Giulio Quirino Giglioli lo aveva capito e dopo di lui tutti gli altri interpreti, trattandosi di elefanti di tipo asiatico, trattandosi di una scena particolare, su una tipologia di piatti che sono documentati fra la seconda metà del IV e il III secolo a.C., per forza ci troviamo di fronte agli elefanti di Pirro. Ma cosa stanno facendo?
Perché sono due, uno è più piccolo e l'altro più grande. Abbiamo l'indicazione di una superficie che costituisce l'orizzonte visivo e che serve a dare una forma naturale, altrimenti al cerchio centrale del vaso, e quindi c'è una superficie sulla quale camminano. Potremmo immaginare anche che la veduta sia prospettica e che quindi il secondo elefante non sia realmente più piccolo, ma in realtà sia in prospettiva.
Invece le fonti proprio relative alla battaglia... battaglia di Benevento, ci aiutano a capire che erano presenti degli elefanti bambini insieme alle loro madri e ricorderete, quanto ho avuto modo di leggervi, di come il piccolo di un'elefantessa, essendo stato ferito e avendo scosso quelli che lo montavano, si mise a correre qua e là in cerca della madre e quella si eccitò. e gli altri elefanti si imbizzarrirono, così che tutto fu sconvolto da una terribile confusione.
Alla fine i Romani ebbero la meglio, uccidendo parecchi elefanti e catturandone otto. Questo dettaglio, riferito da tutte le fonti alla battaglia di Benevento, e qui sono di nuovo le parole di Zonara, ci aiutano quindi a interpretare bene la scena. Si tratta di un bambino, la sua proboscide si lega.
alla coda dell'elefante adulto che lo precede, si dovrebbe trattare sulla base dell'osservazione dell'anatomia di un elefante maschio, quindi non di un'elefantessa donna, e quindi siamo di fronte a una sorta di scena di processione dove la presenza dell'elefante bambino subito ci fa prefigurare lo scenario seguito. alla battaglia di Benevento, che fece sì che quattro di quegli elefanti venissero portati in trionfo a Roma dal console che aveva vinto quella battaglia, Manio Curio Dentato, il quale trascinò per la prima volta a Roma cinque anni dopo la battaglia che aveva sconvolto i Romani. per la presenza di un essere mai visto prima, quattro elefanti. Peruzzi ha sostenuto che nel tempo che precedeva il momento dell'ingresso del trionfo e in cui l'esercito stazionava al di fuori delle mura della città, qualche artigiano avesse potuto osservare da vicino questi elefanti e immediatamente scattare un'istantanea.
riproducendoli su dei vasi che avrebbe potuto commercializzare già in occasione del trionfo, perché una volta vista la scena con il dettaglio che abbiamo osservato prima, potevano in poche ore, in pochi giorni, arrivare a produrre oggetti che per le loro dimensioni vanno oltre quanto siamo abituati a individuare per questa categoria di vasi. Quindi forse quello che abbiamo davanti è il dono o l'acquisto fatto in occasione del trionfo del 275 a.C. Qualcuno presente ha voluto portare un souvenir a casa. Oggi siamo soliti farlo con le solite palle di vetro dentro le quali c'è la neve e i principali monumenti del luogo che abbiamo visitato. Ecco, perdonatemi il confronto un po'irrituale, Qualcosa di simile potrebbe essere successo anche di fronte a questo capolavoro unico, il migliore della sua serie, migliore anche rispetto al piatto di Aleria, che però ha un particolare.
Mostra alcuni dettagli leggermente differenti, riconducibili alla mano dello stesso artista, che evidentemente ha creato naturalmente dei prodotti in serie, ma ha voluto far vedere scene leggermente differenti, forse raffiguranti anche gli altri elefanti con i relativi militari. Insomma, dietro questo oggetto, che è uno dei tanti capolavori del nostro museo, si racchiude una storia che ognuno può guardare come vuole. È la storia di una grande battaglia, di un grande trionfo, quello che ha consentito di mutare il nome di Maleventum in Beneventum, dopo la vittoria.
Ha visto i Romani salvarsi rispetto al pericolo di Pirro che oggi risuona nelle nostre orecchie per le sue inutili vittorie, le cosiddette vittorie di Pirro, ma è anche la storia dell'incontro fra gli italiani e gli elefanti. Li vedono in questa occasione per la prima volta e nell'arco di cinque anni passeranno dalla paura che li mette in fuga ad Eraclea alla capacità anche di aggirare. il problema, un risorsa strategica che si rivelerà decisiva quando altri elefanti scuoteranno con il loro peso e le loro dimensioni il terreno italiano guidati da quello straordinario condottiero che fu Annibale.