Oggi parleremo dell'esperimento forse più famoso nella storia della fisica. Si tratta dell'esperimento di Michelson-Morley. Venne concepito per rilevare il moto della Terra attraverso l'etere luminoso. L'esistenza dell'etere fu ipotizzata dai fisici del XIX secolo per spiegare come la luce potesse essere trasmessa attraverso il vuoto tra il Sole e la Terra. La fisica ha il suo folklore e le sue leggende, proprio come ogni altra cultura.
Ad esempio, come la storia di Isaac Newton e della mela. Ebbene, c'è una leggenda sull'esperimento Michelson-Morley che è altrettanto radicata come la storia di Isaac e la mela. Questa è la storia. Michelson e Morley fecero il loro esperimento e dimostrarono che l'etere non esisteva. Così Albert Einstein fu costretto a inventare la teoria della relatività per spiegare quel risultato.
L'esperimento venne condotto nell'istituto che allora si chiamava Case Institute of Technology di Cleveland, nell'Ohio, nel 1887. L'esperimento effettuato a Cleveland nel 1887 assomigliava molto alla prima vera teoria dell'elettricità sviluppata a Philadelphia oltre un secolo prima. Negli anni intorno al 1880, gli Stati Uniti erano ancora un deserto dal punto di vista scientifico, soprattutto Cleveland in Ohio. È probabile che l'esperimento Michelson-Morley rappresentò l'avvenimento più importante che si verificò a Cleveland finché Sashel Page non giocò per gli Indians. La cosa più interessante di tutta questa storia è che Michelson pensò, per i 50 anni successivi della sua vita, che il suo grande esperimento fosse stato un fallimento. Oggi vedremo cosa accadde.
1887, l'epoca della regina Vittoria, regina d'Inghilterra e imperatrice d'India. Londra è la capitale del commercio mondiale. Dall'altra parte della Manica, in Germania, un bambino di nome Albert Einstein festeggia il suo ottavo compleanno. Sono passati 23 anni da quando James Clerk Maxwell ha formulato le equazioni per le radiazioni elettromagnetiche. Dall'altra parte dell'Atlantico, da oltre due decenni dalla fine della terribile guerra civile, gli americani godono di pace e prosperità.
Ondate di immigranti da tutta Europa si riversano negli Stati Uniti. La frontiera occidentale viene definita e si assesta. Oggi il 1887 sembra un momento di tranquillità non solo nel commercio e nella politica, ma anche nella scienza.
Molti fisici ritenevano che tutte le grandi scoperte fossero già state fatte. La fisica aveva raggiunto uno stato di perfezione, che era effettivamente etereo. Di fatto il concetto di etere era stato uno dei principi centrali della fisica.
Nel 1887 a Cleveland, Ohio, i due fisici Albert Abraham Michelson e Edward Morley stavano preparando un esperimento destinato a dimostrare l'effettiva esistenza dell'etere. Di sicuro l'etere era esistito sul serio, almeno nel pensiero dei filosofi, per migliaia di anni. Oggi è facile per noi accettare l'idea dello spazio come vuoto, vaste estensioni del cosmo praticamente prive di materia.
Ma per gli antichi era impossibile comprendere il concetto di un vuoto assoluto. Lo spazio doveva essere riempito da qualcosa, essi pensavano. Aristotele escogitò una soluzione, l'etere, una sostanza che riempiva ciò che altrimenti sarebbe stato spazio vuoto. Nel XIX secolo l'etere era ormai qualcosa di più di una mera necessità filosofica. L'etere era il mezzo attraverso il quale le onde luminose del sole si propagavano per alimentare e illuminare la Terra.
Le onde possono propagarsi lungo la superficie dell'acqua, attraverso un clima. ...ristallo o attraverso l'aria di una sala da concerto. Ma ogni onda rappresenta un disturbo che attraversa un mezzo da parte a parte fino in fondo.
In altre parole, ogni qualvolta c'è un'onda, qualcosa deve ondeggiare. Ma quando le onde luminose provenienti dal sole raggiungono la Terra attraverso uno spazio apparentemente vuoto, cosa ondeggia? Nel XIX secolo la risposta era chiara come lo spazio stesso. Era l'etere.
Per i fisici del XIX secolo l'etere non solo era reale, ma aveva anche delle proprietà fisiche che potevano essere dedotte osservandone il comportamento. Ad esempio, la velocità di ogni onda dipende dalla rigidità del mezzo attraversato. E dato che evidentemente la velocità della luce è elevatissima, l'etere deve essere davvero molto rigido. Infatti, sostenevano i fisici, è quasi impossibile comprimerlo.
D'altra parte, la Terra e gli altri pianeti si muovono facilmente attraverso l'etere incomprimibile, secondo le leggi di Newton, come se non attraversassero alcun mezzo. Se l'etere si fosse comportato come un fluido viscoso, i pianeti orbitanti avrebbero dovuto gradualmente perdere energia e dirigersi secondo una traiettoria a spirale verso il Sole. Poiché questo non sembrava succedere, i fisici furono in grado di arrivare a un'altra conclusione decisiva sull'etere. L'etere, affermavano, era un fluido perfettamente mobile senza alcuna viscosità.
Era un fluido trasparente, assolutamente non viscoso e incomprimibile, che riempiva tutto lo spazio. Conoscendo tutto questo, quello che rimaneva da fare era dimostrarne direttamente l'esistenza con un esperimento chiaro e inconfutabile. Per qualche ragione i fisici non erano riusciti a raggiungere questo obiettivo per tutto il secolo. Ma nel 1887 Albert Michelson, con l'aiuto dell'amico Edward Morley, aveva concepito un esperimento che non poteva fallire.
Per quanto riguarda le credenziali di tipo accademico, Michelson era indiscutibilmente qualificato. Quattro anni a Annapolis, otto alla Case School of Applied Science di Cleveland e altri tre anni alla Clark University di Worcester nel Massachusetts. Ma ci sarebbe voluto molto di più della bravura accademica per rilevare il moto assoluto della Terra attraverso lo spazio e con questo l'etere stesso. Occorreva effettuare un esperimento straordinario con un grado di precisione senza precedenti. Fortunatamente Michelson aveva un talento consolidato nel progettare strumenti in grado di fare le misurazioni più precise.
Le sue misurazioni precedenti della velocità della luce erano le migliori mai fatte fino allora. Quando stava a Berlino, Michelson progettò un nuovo strumento che era estremamente preciso. Si chiamava interferometro.
Qui mostrato in funzione con un laser, l'interferometro di Michelson divide un raggio di luce in due raggi. Uno specchio parzialmente trasparente e parzialmente riflettente invia i due raggi lungo traiettorie perpendicolari. Ciascuno viene riflesso sul punto in cui erano stati divisi.
Qui, i due raggi si combinano nuovamente in un unico raggio. L'interferometro di Michelson può essere visto come una gara di velocità tra due raggi di luce. Se la gara finisce in parità, il risultato è un punto luminoso al centro del campione di interferenza. Ma all'epoca di Michelson si riteneva che non dovesse verificarsi un pareggio e che non si dovesse parlare nemmeno di una corsa di cavalli. E questo perché i due raggi luminosi correvano lungo un tracciato in movimento.
Tutti sospettavano che la Terra, e quindi l'interferometro, si muovesse attraverso l'etere. i raggi avrebbero dovuto tracciare percorsi diversi rispetto all'etere il raggio che si muove trasversalmente rispetto al moto della terra forma un triangolo mentre quello che si muove secondo Il moto deve percorrere una distanza minore in una direzione ma maggiore nell'altra. Nel viaggio di ritorno, il raggio che si muove nella direzione del moto ha un percorso leggermente più lungo. Per questo il raggio che si muove trasversalmente dovrebbe vincere sempre. Michelson sapeva che la differenza prevista nell'arrivo dei due raggi doveva essere molto piccola.
Dopotutto la velocità della luce è di 3 per 10 alla ottava metri al secondo, mentre la velocità della Terra attraverso l'etere è solo di 3 per 10 alla quarta metri al secondo. Poiché i due raggi dovevano andare avanti e indietro prima di essere confrontati, la differenza nei loro tempi di percorrenza dipendeva dal quadrato di quel rapporto. La differenza è dell'ordine di un centomilionesimo.
Per ironia della sorte, quella sottile differenza nel tempo di percorrenza sarebbe stata la prova di cui aveva disperatamente bisogno Galileo tre secoli prima. La prova assoluta e pratica necessaria per dimostrare che Copernico aveva ragione e che la Terra si muove davvero intorno al Sole. Forse Galileo avrebbe potuto vincere la sfida se avesse avuto la prova scientifica reale che la Terra si muove.
Sebbene non si possa affermare che pensasse a Galileo, quella piccola differenza nel tempo di percorrenza dei due raggi luminosi era ciò che Michelson voleva misurare a Berlino nel 1880. Una società tedesca che produceva strumenti costruì il primo interferometro. Nel 1881, quando Michelson andò a Potsdam, lo portò con sé. Era di certo molto sensibile, talmente sensibile che i carri trainati dai cavalli e i passanti per la strada fuori dal laboratorio influenzavano le sue misurazioni. Ad ogni tentativo impiegava almeno un giorno per effettuare una sola misurazione. Così quando Michelson non vide alcun effetto etere nelle sue misurazioni non si preoccupò, pensando, a ragione, che il suo strumento non fosse abbastanza affidabile.
Passò il tempo e Michelson non fece altre misurazioni con l'interferometro. Tornò negli Stati Uniti e assunse un incarico nel Case Institute a Cleveland. Durante quel periodo divenne collega e stretto amico di Edward Morley, un fisico e chimico della Western Reserve University.
Nel frattempo altri fisici lo sollecitarono a provare ancora a rilevare l'etere. Così nel 1887 Michelson chiese all'amico Morley di lavorare con lui ad un interferometro nuovo e molto preciso. Il nuovo interferometro era dieci volte più sensibile dello strumento del 1880. Michelson si era preoccupato di rendere l'interferometro stabile e non suscettibile ai carri e alle persone di passaggio.
Gli specchi poggiavano su un'enorme base di arenaria che galleggiava in una vasca di mercurio. Quando Michelson e Morley collaudarono il nuovo interferometro erano emozionati e contenti. Lo strumento aveva tutta la stabilità e la sensibilità che avevano sperato e doveva essere in grado di rilevare facilmente la sottile differenza prevista nel tempo di percorrenza dei due raggi luminosi dovuta al moto attraverso l'etere.
L'esperimento vero e proprio consisteva nell'osservare il campione di interferenza ponendo l'interferometro in una direzione rispetto al moto attraverso l'etere. e quindi ruotandolo. Se i due raggi arrivavano insieme, ad esempio, l'interferenza costruttiva avrebbe prodotto un punto luminoso al centro del campione. Ma se un raggio arrivava appena prima dell'altro, l'interferenza distruttiva avrebbe oscurato il centro.
L'effetto del moto attraverso l'etere sarebbe risultato dallo spostamento delle frange di interferenza nel momento in cui lo strumento veniva ruotato. Con grande sorpresa di Michelson e Morley e quasi tutti gli altri, non si verificò alcuno spostamento nelle frange. E ciò significava che non c'era alcun ritardo.
Niente. Nessuna differenza. Indipendentemente dal modo in cui modificavano l'esperimento, estate o inverno, giorno o notte, il risultato era lo stesso.
La luce apparentemente viaggiava alla stessa velocità in tutte le direzioni, in completo disaccordo con l'idea della Terra e il movimento attraverso l'etere. Per i successivi 50 anni, numerosi fisici ripeterono l'esperimento Michelson-Morley in modi sempre più precisi e sofisticati, nella vana speranza di trovare qualche errore. Ma anche nel 1887 i fatti erano evidenti. L'esperimento non era riuscito a rilevare l'etere e le conseguenze furono sconvolgenti. Il risultato negativo turbò Michelson come tutto il mondo della fisica.
Egli credeva veramente nell'esistenza dell'etere ed era convinto che lui e Morley semplicemente non erano riusciti a rilevarlo. Sostenuto da un senso dell'umorismo leggendario, Michelson andò avanti per anni e continuò ad avere successo come un virtuoso della fisica sperimentale. Tuttavia rimase ossessionato dai risultati, o meglio dalla loro mancanza, nell'esperimento con Morley. In una prospettiva storica, il concetto di etere aveva avuto un'importanza straordinaria. Nel 1887 la sua esistenza era importante quanto lo era stata la posizione del sole ai tempi di Copernico.
Nessun esperimento era stato meglio concepito né eseguito tanto attentamente. Nella scienza, quando un esperimento di questo tipo fallisce, non solo crea un dilemma teoretico, ma può provocare risposte fantastiche nella comunità scientifica. Nel 1892 il fisico irlandese Gerard Francis Fitzgerald suggerì che la dimensione di un braccio dell'interferometro di Michelson e Morley poteva in qualche modo aver subito una contrazione.
L'entità della contrazione, egli affermava, dipendeva dalla sua velocità. A molti fisici la contrazione di Fitzgerald suonava assurda. ma non al fisico più eminente in Europa, Hendrik Anton Lorenz.
Egli elaborò un modello quantitativo per spiegare il fenomeno e nel tempo sviluppò alcune espressioni matematiche destinate a trasformare il mondo della fisica. Vennero chiamate le trasformazioni di Lorenz.