Ciao a tutti, siamo arrivati alla terza video-lezione specificamente dedicata al Carme dei Sepolcri, quella in cui ci occupiamo in qualche modo della parte corrispondente, la terza sezione del componimento in cui il poeta discute della funzione storica delle sepolture. Si tratta probabilmente della pagina di più ampio respiro concettuale dell'intero componimento e questa è la ragione per cui la video-lezione che vedete è un po' più lunga. Cercheremo al termine del nostro confronto diretto con il testo di riassumere anche i passaggi logici attraverso cui il pensiero dell'autore si è sviluppato in maniera da aiutarvi a memorizzarli. Dal verso 151 comincia la sezione dedicata al valore storico delle tombe. Si tratta probabilmente della parte del carme più nota e più rappresentativa dell'intero componimento.
I versi con cui tale sezione comincia sono questi. A egregie cose, il forte animo, accendono l'urne dei forti, o pinde monte. E bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta.
Io, quando il monumento vidi, ove posa il corpo di quel grande, che, temprando lo scettro ai regnatori, gli allorne sfronda e dalle genti svela di che lacrime grondi e di che sangue, e l'arca di colui che nuovo Olimpo alzò in Roma ai celesti, e di chi vide sotto le terre o padiglion rotarsi più mondi, e il sole irradiarli in moto onde all'anglo che tanta ala vistese sgombro primo le vie del firmamento te beata gridai per le felici aure pregne di vita e per la vacri che da suoi giochi a te versa appennino questa porzione del carme si apre con un'affermazione di carattere assoluto le urne dei forti cioè le tombe dei grandi accendono spronano un animo coraggioso a egregie cose ad azioni eccezionali e rendono la terra che le ha accoglie e le riceve bella e santa al peregrin cioè a colui che vi passa colui che le attraversa peregrino nel senso latino di peregrinus cioè viaggiatore il luogo che in italia più di ogni altro accoglie le urne dei forti è la basilica di santa croce a firenze quindi i grandi italiani santificano il luogo che le ospita e dal verso 154 Il testo presenta una concisa, benché soltanto allusiva, rassegna delle principali tombe contenute all'interno di Santa Croce. Anzitutto, il monumento di quel grande che ha temprato, cioè ha reso efficace, usando la metafora del fabbro che rende forte il ferro temprandolo, ha reso efficace lo scetro per coloro che regnano, contemporaneamente però svelando a tutti quante lacrime e quanto sangue grondi da quello scetro una volta che ne sono stati sfrondati gli allori cioè una volta che da quel potere è stata tolta ogni patina di gloria a questo fa riferimento l'espressione degli allori che vengono sfrondati ed è stato mostrato ciò che veramente significa essere un governante o per usare la terminologia del personaggio a cui ci si riferisce essere un principe questo primo personaggio che ha temprato lo scetro a coloro che regnano è niccolò machiavelli un cenotafio del quale, cioè in realtà più che altro un monumento funebre che ne ricorda la figura, è contenuto infatti all'interno di Santa Croce. Successivamente si parla di colui che nuovo Olimpo alzò in Roma ai Celesti.
Il personaggio che ha innalzato un nuovo Olimpo, cioè la più monumentale delle cattedrali, è in realtà Michelangelo Buonarroti, anche egli sepolto in Santa Croce a Firenze. Si potrà notare al verso 159 Grazie. la scelta di una terminologia completamente lontana dalla tradizione cattolica.
Il nuovo Olimpo a cui si fa riferimento è evidentemente la Basilica di San Pietro, la cui cupola fu per l'appunto progettata da Michelangelo, ma la cura con cui Foscolo evita di utilizzare qualsiasi allusione al fatto che si tratti di una chiesa è significativo. Notate anche al verso 160 che genericamente si parla degli dei del cielo, mentre in realtà ovviamente si tratta del centro della cristianità. Terzo personaggio è colui che vide sotto l'eterio padiglion rotarsi più mondi, cioè colui che guardando il cielo, cioè la superficie dell'aria, la volta celeste, ha visto che lì compivano un movimento circolare più mondi, che cioè a muoversi erano i pianeti, e il sole viceversa rimanendo immoto, cioè immobile, faceva arrivare loro i suoi raggi. Questo personaggio è Galileo Galilei, anche egli sepolto in Santa Croce, qui vedete la tomba. Aver menzionato Galileo permette a Foscolo di citare un altro personaggio menzionato soltanto come l'Anglo, cioè l'inglese, che ha steso tanta ala del proprio ingegno, dedicandosi alla stessa ricerca intrapresa per primo da Galileo.
e facendolo ha sgombrato per primo le vie del firmamento, cioè ha spiegato come effettivamente il cielo si muove. Questo personaggio è Isaac Newton, ovviamente non sepolto a Santa Croce, ma le cui scoperte Fosco lo giudica la diretta conseguenza delle intuizioni di Galileo. Dopo aver passato in rassegna queste tombe, dal verso 165 la voce del poeta si rivolge alla città di Firenze.
Tebeata è appunto Firenze. per la sua posizione geografica, per la vitalità dell'aria che vi si respira, ecco le aure pregne di vita, e per i corsi d'acqua che scorrono giù dalle pendici dell'Appennino, qui scritto con una pisola, ma ovviamente si tratta degli Appennini del centro Italia. Prima di passare alla lettura dei versi successivi, notate l'ardimento sintattico di questo passo, la subordinata che comincia al verso 154, la subordinata temporale, io quando, trova la reggente, cioè il verbo principale della frase, soltanto al verso 165, te beata gridai.
L'abilità nella versificazione permette al poeta di estendere uno stesso periodo per oltre dieci versi. Questa sezione sul valore storico delle tombe prosegue con questi versi. Lieta dell'aer tuo veste la luna di luce limpidissima ai tuoi colli, per vendemmia festanti e le convalli popolate di case d'oliveti mille di fiori al ciel mandano incensi. E tu prima, Firenze, udivi il carme che allegrò l'ira al ghibellin fuggiasco, e tu, i cari parenti e l'idioma, desti a quel dolce di Callio Pelabro, che amore in Grecia nudo e nudo in Roma, d'un velo candidissimo adornando, rendea nel grembo a venere celeste. La lode della Toscana e di Firenze continua con la descrizione di una notte di vendemmia.
Mentre vi propongo una parafrasi di questi versi. Faremo anche alcune considerazioni di natura tecnica, per esempio evidentissima l'allitterazione della L al verso 168 ma anche in quelli successivi. La luna stessa, rallegrata dalla purezza dell'aria che si respira in Toscana, veste di una luce limpidissima i colli che sono in festa per la vendemmia e le valli intorno, piene di case e di oliveti, mandano al cielo mille incensi, cioè mille profumi di fiori. Al verso 168 potete notare anche l'anastrofe che genera iperbato allontanando mille da incensi, con l'inserimento nel mezzo del complemento di specificazione. La voce del poeta continua a rivolgersi a Firenze, la città che ha ascoltato per prima il canto che ha rallegrato l'ira del ghibellino fuggiasco.
Questa definizione del verso 174 è uno dei più noti errori volontari di Foscolo. che sceglie di chiamare Dante Ghibellino perché è ostile al Papa, ostile a Bonifacio VIII, sappiamo che Dante fu in realtà un guelfo bianco, ma Foscolo estremizza questa posizione, naturalmente in chiave anticlericale, facendo di Dante un Ghibellino fuggiasco, cioè esule, e il carme, ossia la poesia che rallegrò la sua ira, l'ira scaturita dall'esilio stesso, è naturalmente la Divina Commedia. Ma Firenze ha dato anche l'idioma, cioè la lingua madre, a quel dolce di Calliope labbro, cioè ha dato la lingua a colui che ha parlato per bocca della musa, vale a dire Petrarca, definito propriamente il labbro della musa. Calliope sarebbe propriamente la musa dell'epica, ma qui è intesa metonimicamente, a indicare l'intero collegio di queste divinità che si occupano di poesia.
Petrarca è stato protagonista di un'opera di purificazione dell'amore, di quell'amore che In Grecia nudo è nudo in Roma, e noterete il chiasmo, cioè che aveva una dimensione sensuale nella poesia dell'antichità e che Petrarca ha adornato, cioè ricoperto di un velo candidissimo, lo ha in qualche modo reso più puro, lo ha in qualche modo reso più pudico e soltanto dopo averlo rivestito lo ha restituito alla Dea Venere, cioè alla Dea dell'Amore, titolare di quel tipo di poesia. Ma se Firenze può rallegrarsi per tutti i motivi che sono stati appena enunciati, a maggior ragione può farlo proprio perché custodisce in Santa Croce le spoglie dei grandi del passato. Ma più beata che in un tempio accolte serbilita le glorie, uniche forse, da che le malvietate alpi e l'alterna onnipotenza delle umane sorti, armi e sostanze ti invadeano, ed are e patria, e tranne la memoria, tutto.
Che ove speme di gloria gli animosi intellettori fulga e dall'Italia, quindi trarrembi auspici. E a questi marmi venne spesso vittorio ad ispirarsi, irato ai patri inumi. Errava muto ove Arno è più deserto, i campi e il cielo desioso mirando e poiché nullo vivente aspetto gli molcea la cura qui posava l'austero e avea sul volto il pallor della morte e la speranza come dicevamo firenze può rallegrarsi per avere raccolte in un unico tempio le glorie d'italia noterete la definizione paganeggiante per designare di nuovo una chiesa frutto di quello sforzo di decristianizzazione del contesto religioso che fosco lo sta facendo nel carme Parlando delle glorie d'Italia, va sottolineato il fatto che Foscolo parli delle malvietate Alpi, quelle Alpi che nel passato glorioso di Roma non riuscirono a tenere lontano Annibale, ma naturalmente il pensiero va anche alla realtà quasi contemporanea e non possono non venire in mente le campagne d'Italia di Napoleone. L'alterna onnipotenza delle umane sorti, cioè lo strapotere che il destino ha sulle sorti degli uomini, hanno invaso in Italia armi, sostanze aree cioè altari la patria stessa e tutto tranne la memoria. Ciò che resta all'Italia è il ricordo della grandezza passata.
E ove speme di gloria, cioè nel momento in cui una speranza di gloria rifulga, cioè splenda per gli intelletti animosi, ossia per quegli intelletti che hanno coraggio, dal latino animosus, coraggioso, e all'Italia, di qui si potranno trarre auspici positivi. Si potranno trarre buoni auspici se gli italiani coraggiosi sapranno ancora ambire alla gloria. E a cercare ispirazione tra queste tombe, tra le tombe di Santa Croce, Foscolo ci dice che venne spesso Vittorio, cioè Alfieri, durante il suo lungo soggiorno fiorentino, il quale appunto frequentava le tombe in Santa Croce per ispirarsi mentre era irato a patria in umi, cioè era arrabbiato con il destino della patria. Alfieri è presentato come il titano solitario che vaga laddove Arno è più deserto e solo presso le tombe dei grandi trova la propria consolazione. vaga laddove arno e deserto guarda il cielo e la campagna desioso cioè pieno di desiderio ovviamente del desiderio di libertà per la sua patria e poiché nessun aspetto vivente cioè nessun viso umano nessun viso di essere umano gli molcea la cura dove molcere è un latinismo significa gli addolciva la preoccupazione qui posava lui così serio state attenti perché austero al verso 194 è il soggetto ma Quando si riposa tra i marmi di Santa Croce, pure ha sul volto il pallore della morte che lo sta raggiungendo, ma anche la speranza di un futuro glorioso per l'Italia.
E ci avviamo a concludere questa terza sezione dei sepolcri dedicata al valore storico delle tombe. Con questi grandi abita eterno, e l'ossa fremono amor di patria. Ah sì, da quella religiosa pace un nume parla, e nutria controapersi in maratona.
ove Atene sacrò tombe ai suoi prodi la virtù greca e l'ira. Il navigante che veleggiò quel mar sotto l'Eubea vedea per l'ampia oscurità scintille balenar d'elmi e di cozzanti brandi, fumar le pigne igne o vapor con rusche d'armi ferre e vedea larve guerriere cercar la pugna. E all'orrore dei noturni silenzi si spandea a lungo nei campi di falangi un tumulto e un suon di tube e un incalzar di cavalli a correnti scalpitanti sugli elbi ai moribondi, e pianto, e dinni, e delle parche il canto.
Foscolo ricorda che da poco, tra l'altro, nel 1807, anno di pubblicazione dei sepolcri, Alfieri era stato sepolto in Santa Croce, quindi abita con gli altri grandi eternamente. Ed ecco la tomba pagata dalla Contessa Dolbani, una pregevole scultura del Canova. E le ossa di Alfieri fremono amor di patria.
Espressione sintatticamente al limite ma poeticamente bellissima in cui il verbo fremere è diventato transitivo, cioè promanano in un fremito l'amore stesso per la patria. E' come se anche dal sepolcro il corpo di Alfieri continuasse a comunicare il suo ardente amore per la patria. In questo senso la sepoltura di Alfieri è un esempio efficacissimo di come la presenza stessa di una tomba possa spronare a egregie cose le anime dei forti.
proprio come Foscolo aveva affermato all'inizio di questa sezione del Carme. L'associazione di idee che Foscolo propone qui è audace e geniale. Da quella stessa religiosa pace è come se parlasse la voce degli dèi ed è quello stesso amor di patria che contro i persiani, a Maratona, laddove Atene consacrò le tombe ai suoi eroi, ha nutrito, ha fecondato la virtù greca e l'ira. Lo stesso amor di patria ha motivato i greci nella vittoria di Maratona nel 490 a.C.
Con un'intuizione poetica veramente notevole, Foscolo sceglie di non descrivere la battaglia, ma soltanto di vederla da lontano, come attraverso gli occhi di colui che costeggiasse l'Eubea, cioè l'isola a nord di Atene, dal mare. E quindi il navigante che ha solcato con le vele quel mare avrebbe visto tutta una serie di particolari. Notate che al verso 203 l'imperfetto Vedea vedeva Regge una costruzione latineggiante con il soggetto in accusativo e il verbo all'infinito. Quindi vede balenare scintille di elmi e di brandi cozzanti, cioè di spade che si scagliano, che cozzano le une contro le altre.
E poi vedeva le pire, i roghi funebri, che fumavano di vapore rossastro per il fuoco. E vedeva ancora larve guerriere, ferree di armi, cercare la pugna con rusche, cioè scintillanti. Le larve in particolare sono le sagome soltanto come la silhouette dei guerrieri che si intravede tra il fumo dei roghi.
Il silenzio nella sera cade alla fine sul campo di battaglia e soltanto si ascoltano gli ultimi rumori del combattimento, il tumulto delle falangi, il suono delle tube che sono le trombe di guerra e soprattutto ai versi 210-211 questa descrizione straordinaria dal punto di vista fonosimbolico dei cavalli che pare di sentire scalpitare realmente per il ritmo del verso, un incalzar di cavalli a correnti scalpitanti sugli elbi ai moribondi. E poi nel silenzio soltanto un canto lontano che sembra il canto delle parche, cioè un canto di morte, un canto innalzato da quelle divinità che si occupano della fine della vita di ciascuno di noi. Questa sezione del carme dal verso 151 al 212, per quanto possa essere complicata, mostra la straordinaria capacità di Foscolo. di collegare le immagini in un modo assolutamente brillante. Allora, dopo la lettura integrale di questa sezione del Carme, che va dai versi 151 al 212, cerchiamo di riassumere e schematizzare i passaggi logici attraverso cui il pensiero di Foscolo si è sviluppato.
La sezione si apre con questa affermazione assoluta, cioè la presenza fisica delle tombe sprona gli animi coraggiosi a grandi imprese. Dimostrazione di questo fatto Santa Croce a Firenze, nella quale Foscolo ha visto in ordine il sepolcro di Machiavelli, il sepolcro di Michelangelo, il sepolcro di Galileo Galilei. La menzione di Galileo Galilei gli permette di passare a ricordare il nome di Newton e approfondire il discorso su chi abbia studiato quelle che nel testo si chiamano le vie del firmamento.
Il confronto con questi sepolcri suggerisce a Foscolo la grande esclamazione te beata gridai. è un gesto di grande apprezzamento nei confronti di Firenze. Nell'entroterra di Firenze si propone successivamente una descrizione, una descrizione della notte dei colli festanti in Vendemia e per associazione di idee, benché non sepolti a Santa Croce, Foscolo passa a menzionare prima Dante e poi Petrarca. E ragionando sulla grande ispirazione che le tombe Grazie. dei personaggi rilevanti hanno dato agli animi nobili, viene menzionato anche Vittorio Alfieri, del quale si dicono che le ossa fremono amor di patria.
Ebbene, quello stesso amor di patria ha in qualche modo guidato i greci, ha incendiato la virtù greca e lira nella battaglia di Maratona del 490, della quale si propone infine una sorta di breve descrizione attraverso questa intuizione poetica felicissima, cioè la descrizione fatta non in un'esercizio, ma in un'esercizio in mezzo ai soldati che combattono ma intravedendoli da lontano come il navigante che in qualche modo solchi le acque del mare di fronte alla costa dell'Eubea. Questa sezione del componimento si chiude sul canto delle parche con questo senso di morte che alleggia sul campo di battaglia dopo che lo scontro va ormai esaurendosi.