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La Volta della Cappella Sistina

Stiamo vedendo il grafico della volta della Sistina. Michelangelo esegue la volta in quattro anni e in 520 giornate di lavoro. E qui sono riportate tutte le giornate di lavoro. Per prima cosa Michelangelo ha fatto ovviamente la cornice che corre tutta attorno ai troni.

La Sistine, la Sistine Chapel, la Sistine Chapel, la Sistine Chapel, la Sistine Chapel, sono da Corea, da Taiwan, da Texas, da Bulgaria, da Serbia, da Slovakia, da Parigi, da Mexico, USA, Italia, da Cina, da Holland, India, Shanghai, Canada, Grecia, Vietnam. Ogni mattina una lunghissima coda davanti ai musei vaticani. Più di 20.000 persone al giorno, 5 milioni ogni anno.

Vengono qui soprattutto per vedere gli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina dipinti 500 anni fa. Vi racconteremo la storia di quest'opera. Lo faremo con documenti originali, lettere autografe, disegni preparatori e con le voci più autorevoli. Il direttore dei musei vaticani Antonio Paolucci, Massimo Firpo, grande storico del Cinquecento Italiano, Gianluigi Colalucci, restauratore degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina.

Una storia di rivalità, scontri, passioni, attorno alla grandiosa fatica dell'arte. Il 31 ottobre 1512 era una domenica. La basilica di San Pietro non era quella che conosciamo, ma un enorme cantiere. La facciata che vediamo verrà un secolo dopo.

E non c'era nemmeno la cupola, che Michelangelo comincerà a progettare a metà del 500 e che sarà portata a termine da Giacomo della Porta. C'era invece questo massiccio corpo di fabbrica, quasi una fortezza, che Sisto IV aveva fatto elettorale. Il palazzo di Roma è stato creato per arrivare su un edificio preesistente verso la fine del Quattrocento, la Cappella Magna, la cappella grande dei palazzi pontifici, la cappella che dal suo nome si chiamerà Sistina. Da allora sede del conclave che elegge il Papa di Roma. Quella domenica di 500 anni fa, nella Sistina avviene qualcosa che cambia la storia dell'arte.

Michelangelo ha finito di dipingere la volta della cappella, ha smontato il ponteggio su cui ha lavorato per quattro anni e apre la porta al Papa. Giulio II entra con tutta la sua corte, cardinali e dignitari, e i tanti artisti, pittori, scultori e architetti che sono al lavoro in quegli anni nei palazzi apostolici, Bramante e Raffaello tra i primi. Corrono gli sguardi dagli ignudi ai profeti, dalle sibille ai putti, dalla creazione di Adamo alla cacciata dall'Eden, dalle vele alle lunette.

Non è solo la bellezza e la perfezione a stupire. Di fronte a quegli accostamenti cromatici mai visti, a quelle torsioni dei corpi, tutti sentono di trovarsi di fronte a una novità assoluta. Da quel momento in poi la pittura non sarà più come prima, sottolinea Giorgio Vasari nella sua vita di Michelangelo.

Leggiamo questa pagina. Stupisca ora ogni uomo che sa scorgere la bontà delle figure, la perfezione degli scorti, la stupendissima rotondità dei contorni che hanno in sé grazia e sveltezza, girati con quella proporzione che nei belli ignudi si vede. Quest'opera è stata ed è veramente la lucerna dell'arte nostra. Ha tolto la benda che avevamo dinnanzi agli occhi lasciando tutti tra sé colpi. e molti.

Conosciamo il giorno esatto in cui l'impresa ha inizio, il 10 maggio 1508. Lo annota Michelangelo stesso nel suo diario. La cappella in cui entra quel giorno è così come l'aveva consacrata Sisto IV. Ha un meraviglioso pavimento cosmatisco a cerchi, una bellissima transenna in marmo con festoni e putti che reggono lo stemma papale, opera di Mino da Fiesole, ed è interamente affrescata.

Michelangelo conosce bene quegli affreschi che hanno fatto scuola e risalgono neppure a trent'anni prima. Le storie di Cristo a destra, le storie di Mosè a sinistra. Al di sotto un finto tendaggio con lo stemma di Sisto IV.

Al di sopra una serie di pontefici disposti a coppie entronicchie ai lati delle finestre. Sulla parete dell'altare, dove vediamo il giudizio universale, c'era un affresco del Perugino con l'assunzione della Vergine, a cui la cappella è dedicata. Anche la volta era affrescata, con un cielo stellato di lapislazzuli e oro.

Agli uffizi si conserva il disegno di mano del suo artefice, il pittore umbro Pier Matteo d'Amelia. Per gli affreschi sulle due pareti, Sisto IV ha voluto i maggiori artisti del suo tempo. E così la cappella è una straordinaria rassegna della grande pittura di fine Quattrocento.

Tre riquadri sono dipinti dal maggior artista fiorentino dell'epoca, Sandro Botticelli. Del Perugino è la consegna delle chiavi, soggetto centrale di tutto il ciclo, rappresentazione del primato di Pietro e quindi dei suoi successori, i pontifici romani. E non manca Domenico Ghirlandaio con La vocazione degli apostoli, Ghirlandaio che è stato il maestro di Michelangelo adolescente a Firenze.

Quindi Michelangelo vede i capolavori dei pittori della generazione precedente la sua, riconosce i maestri in qualche caso, come nel caso del Ghirlandaio, studia il loro stile e poi, e poi, e poi si apprestano a dipingere la volta. Michelangelo nel 1508 era un giovane uomo di 33 anni che però si era già conquistato il palcoscenico d'Italia ed Europa. Era l'artista già in quei giorni più famoso. Qualche anno prima aveva alzato nella piazza della signoria il David, quello che oggi sta in piazza della signoria in copia, come tutti sanno, e in originale sta nel museo dell'Accademia.

La prima statua moderna, dice Giorgio Vasari, la statua che ha. superato una volta per tutte Fidia e Policleto, non ci sono più gli antichi, dice Giorgio Vasari. In queste cose il Papa lo sapeva bene, non solo, ma il Papa aveva a casa sua, aveva nella Basilica di San Pietro l'altro grande capolavoro. di Michelangelo Giovanni, Michelangelo a 24 anni, niente meno, nel 1499 aveva firmato la pietà che ancora sta in San Pietro, quindi certamente non aveva bisogno di speciali presentazioni Michelangelo agli occhi del Papa, era il numero uno, potremmo dire, sulla piazza artistica universale.

Dopo il David non si ferma, anzi i suoi impegni si moltiplicano. Lavora per Palazzo Vecchio, sede del governo della Repubblica Fiorentina, che gli ha chiesto di affrescare nel Salone dei Cinquecento la battaglia di Cascina, a fronte della battaglia di Anghiari. di Leonardo.

Nell'inverno del 1505 Michelangelo è alle prese con il grande cartone, purtroppo perduto, per quella fresco che non vedrà la luce. Rimangono alcuni disegni, tra cui questo studio di nudo maschile a carboncino e penna che si conserva in casa Buonarroti. Il corpo umano in movimento è il tema ricorrente della sua arte fin da questo groviglio di corpi, la battaglia dei centauri, sempre in casa Buonarroti, che ha scolpito a 16 anni. Un motivo che non abbandonerà mai e che esibirà appieno nella Sistina. Lavora per la Repubblica Fiorentina e lavora per la Chiesa con un progetto di 12 grandi statue marmore e degli apostoli destinate al Duomo.

Ha cominciato a sbozzare il San Matteo che sta nella galleria dell'Accademia. Rimarrà così e sarà il primo esemplare del suo non finito. Dunque nel marzo del 1505 Michelangelo è a Firenze carico di lavoro, ma un giorno lascia la sua città e va a Roma.

Quando arriva è molto più giovane di come appare in questo ritratto che l'amico Bugiardini gli farà nel 1520. Abita in casa di Giuliano da Sangallo, che ha 30 anni più di lui, egli è amico e protettore. È stato Sangallo a fare il suo nome a Giulio II. Certo, sotto Giulio II Roma diventa una grandissima capitale delle arti ed aveva cominciato a trasformarla in una grande capitale delle arti e aveva cominciato già suo zio, Sisto IV, che aveva lui per...

prima, ha dato vita alla Cappella Sistina, l'aveva costruita e ha chiamato grandi artisti da tutta Italia ad affrescarla. Per capire che cosa è successo si può guardare per esempio quel magnifico affresco di Melozzo da Forlì che celebra l'apertura. al pubblico, la reistituzione, la riapertura della Biblioteca Vaticana fatta da Sisto IV, un affresco straordinario perché vediamo anzitutto l'ambientazione, l'ambientazione di un portico classicheggiante in cui viene rappresentato il Papa in una sorta di ritratto dinastico, non è un capo spirituale della Chiesa, bensì direi una sorta di capo di uno Stato circondato dai suoi nipoti, viene rappresentato una dinastia, una dinastia che è impegnata nella trasformazione di Roma. Sisto IV fonda nuove chiese, costruisce un nuovo ponte, un ponte Sisto che da lui prende il nome ancora lì e felicemente, anche per facilitare il flusso dei pellegrini nella misura in cui Roma torna a diventare una grande capitana. Bisogna tenere conto di questo, che Sisto IV venne eletto Papa nel 1471. Ancora pochi decenni prima Roma era una città semideserta, i lupi popolavano il Vaticano.

Un cronista romano definì Roma al metà del Quattrocento come una città abitata solo da vaccai. Questo ci dà il senso della trasformazione urbanistica, culturale e artistica della città. Giulio II continuerà il rinnovamento urbanistico di Roma. Sotto di lui saranno aperte due vie moderne, lunghe e diritte, sull'una e sull'altra sponda del Tevere. Papa della rovere.

sarà un mecenate delle arti e prima di tutto un grande politico. Al centro di quella fresco, della fresco di Melozzo, c'è la figura del cardinale Giuliano Dallarovari, il futuro Giulio II. I contemporanei ricordano sempre un aspetto, in mille versioni, di uomo terribile, di uomo dotato di una capacità di iniziativa, un coraggio, un'energia, una vitalità, una capacità di progettare il proprio futuro e di realizzare il proprio futuro con straordinaria energia.

Ludovico Ariosto lo presenta. diventerà come un Giove, dicendo anche che era una persona le cui indulgenze erano tutte destinate al Dio della guerra, a Marte, l'arte della guerra sarà la sua vera vocazione e anche la sua straordinaria capacità di non scoraggiarsi mai, di continuare fino in fondo in quello che sentiva il suo dovere per sé, per la sua famiglia e per la Chiesa di Dio. Siamo a marzo del 1505, è il momento dell'incontro fatale di Michelangelo con Giulio II, che lo ha fatto venire da Firenze mandandogli un viatico di 100 ducati, perché vuole a tutti i costi che gli scolpisca il monumento funebre. Ha inizio allora quella che l'artista chiamerà la tragedia della sepoltura, un'impresa che si trascinerà per 40 anni e che non sarà compiuta.

Stiamo andando verso la cava del Monte Polvaccio, nel cuore delle Alpi Apoane, dove si trova il più pregiato marmo statuario. È qui che viene Michelangelo, con due servitori e una cavalcatura, come ci informa Ascanio Condivi, uno dei suoi biografi, nel maggio del 1505, per scegliere i marmi del monumento che gli ha chiesto Giulio II. Con il Papa c'è stata una rapida intesa sul progetto e si sono anche accordati subito sul compenso.

10.000 ducati d'oro, di cui 1.000 serviranno per l'acquisto dei marmi. Ne occorre una gran quantità. Il progetto prevede una quarantina di statue a grandezza naturale. Michelangelo resta nelle Apoane otto mesi, fino a dicembre. Vuole non solo scegliere, ma anche seguire personalmente l'estrazione dei blocchi.

Per mare e poi dalla foce del Tevere, i suoi marmi arrivano a Roma e vengono scaricati a Ripa Grande, da lì in piazza San Pietro. E'in questo spazio, allora del tutto diverso, che sono sistemati i grandi blocchi estratti nella cava del polvaccio. Ce ne dà un'immagine molto bella a Scania o Condivi.

Una pagina in particolare ci dice qualcosa sul rapporto fra Michelangelo e il Papa. La quantità dei marmi era grande sì che distesi sulla piazza davano agli altri ammirazione al Papa Letizia, il quale tanti favori e così smisurati faceva Michelagnolo che avendo egli cominciato a lavorare più e più volte. volte l'andò fino a casa a trovare.

Questi tanti e così fatti favori furono un cagione, sottolinea Condivi, come ben spesso nelle corti avviene, da recargli invidia e dopo l'invidia persecuzioni infinite. Invidia dunque, è la spiegazione che si dà a Michelangelo del voltafaccia del Papa, perché a un certo punto Giulio II si rifiuta perfino di riceverlo. Non pensa più al suo monumento, adesso ha un progetto che gli sta più a cuore. rifare la basilica di San Pietro, demolire quella esistente e costruirne una totalmente nuova.

È l'impresa più ambiziosa di un grande disegno, affidare all'arte il compito di riaffermare il potere spirituale e temporale del papato. Il senso della grandezza che Giulio II aveva di sé, dei suoi compiti politici e dei suoi compiti istituzionali come pontefici di Santa Maria, ma delle chiese lo portarono ad avere una straordinaria concezione anche per quello che riguarda la politica delle arti. Insomma, vince in un momento particolarmente fortunato. non a tutti i mecenateschi pontefici che succederanno, sarà possibile avere al proprio servizio Bramante, Michelangelo, Raffaello, tutti insieme.

Ma quello che colpisce è la grandiosità complessiva dei suoi progetti. Il primo forse ad essere promosso fu la ricostruzione della Basilica di San Pietro. Si trattava di avere il coraggio di abbattere la Basilica Costantiniana, l'antica basilica della sede Sapostolone, delle sepolture dei Santi Pietro e Paolo, e di dar vita a un monumento che riportasse invece la sua vita.

invece la classicità di Roma, la cupola grande come quella del Pantheon e di più, un luogo capace di ospitare la gigantesca sepoltura per sé che aveva commissionato Michelangelo. La grandezza della chiesa per Giulio II, in altri termini, coincide con la grandezza della propria celebrazione. È bramante a ricevere l'incarico di realizzare l'impresa a cui il Papa vuole legare il suo nome, la Nuova Basilica di San Pietro, un'impresa che richiede enormi risorse.

anche i 10.000 ducati che il Papa ha destinato al suo monumento funebre, o la basilica, o la tomba. Si tratta di un vero e proprio intrigo ai danni di Michelangelo, secondo Condivi. Sentite cosa scrive nella sua biografia. Bramante, architettore che dal Papa era amato, con dir quel che ordinariamente dice il volgo essere malaugurio in vita, farsi la sepoltura, lo fece mutare di proposito. Stimolava Bramante, oltre all'invidia, il timore che aveva del giudicio di Michelangelo.

l'agnolo, per cui cercò sempre di levarlo da Roma o almeno privarlo della grazia del Papa. Quando scopre che Giulio II gli ha tagliato i fondi senza comunicardielo personalmente e dopo essere stato più volte scacciato dalle guardie del Papa, Michelangelo fugge da Roma. A gran velocità, su una carrozza postale, raggiunge il territorio fiorentino.

Solo lì si sente al sicuro. Alle due di notte è a Firenze. Ai cinque corrieri mandati dal Papa con l'incarico di convincerlo a tornare a Roma, non dà neppure una risposta. Si confida invece con Giuliano da Sangallo, in una lettera che porta la data del 2 maggio.

E il venerdì mattina io fui mandato fuori, cioè cacciato via, e quel tale che me ne mandò disse che mi conosceva, ma che aveva tale commissione. Un Dio ne venne in gran disperazione. Ma questo solo non fu cagione interamente della mia partita.

Fu pure altra cosa, la quale non voglio scrivere. Basta che ella mi fe pensare, se stavo a Roma, che fosse fatta prima la sepoltura mia che quella del Papa. E questa fu cagione della mia partita improvvisa. Il giorno dopo la fuga di Michelangelo, il 18 aprile 1506, il Papa posa la prima pietra della nuova Basilica Vaticana. Si apre un cantiere che si chiuderà un secolo dopo, a cui lavoreranno diversi architetti.

Il progetto di Bramante sarà profondamente modificato. Michelangelo è a Firenze e non intende più tornare a Roma. Riprende in mano il cartone per la battaglia di Cascina e lo completa. Di riconciliarsi col pontefice non ha alcuna intenzione e resiste agli insistenti richiami del gonfaloniere della Repubblica Fiorentina, Pier Soderini, che lo convoca in Palazzo Vecchio per dirgli «Noi non vogliamo per te far guerra col Papa e metterlo stato nostro a risico». Ma le pressioni per riportare l'artista a Roma sono tali e tante che Michelangelo alla fine si lascia convincere.

L'occasione si presenta il 21 novembre del 1506, quando il Papa è a Bologna. Giulio II è molto aspro con lui, ma gli dà un grande incarico, ritrarlo in una statua destinata alla facciata di San Petronio. Chiama da Firenze con degli ordini tassativi, chiama Michelangelo, gli ordina di venire a Bologna e gli dice adesso tu... Mi fai una statua da mettere lì, ossia sul portale maggiore della chiesa comunale di Bologna, non del vescovo, ma sulla chiesa che i bolognesi consideravano come un'estensione della piazza. piazza propria e lui voleva imprimere un sigillo di proprietà e addirittura ha voluto una statua in bronzo, cosa che Michelangelo detestava perché diceva che la scultura vuol dire togliere ciò che è in più e quindi invece fare l'operazione inversa, ossia aggiungere terra e fango, era una cosa che non si sporcava anche le mani, però il Papa era il Papa e lui gli chiede, dice ma grande quanto?

E lui gli dice vedi San Petronio, la statua di San Petronio, io la voglio la mia, grande tre volte tanto. Ha avuto una vita breve quella statua di Michelangelo. Ha trovato la sua fine qui, nel castello di Ferrara.

Portata a termine nel 1507, fu abbattuta in una notte del 1511 durante una sommossa antipapale. Il rottame di bronzo venne ceduto ad Alfonso d'Este per farne una colubrina che chiamò non a caso Giulia. La vendetta ai Lanzi Chenecchi che illusarono nel sacco di Roma all'assedio di Castel Sant'Angelo, rifugio del pontefice. Ma torniamo alla nostra storia. Nell'aprile del 1508 avviene l'incontro decisivo fra Michelangelo e Giulio II che gli chiede di affrescare la Sistina.

Ancora una volta, secondo i biografi dell'artista fiorentino, c'è di mezzo Bramante. Sentite cosa scrive Giorgio Vasari. Ritrarlo dalla scultura ove lo vedeva perfetto e metterlo in disperazione per non aver sperimento nei colori a fresco.

All'origine della commissione dunque ci sarebbe questo insidio. di orso, proposito, secondo il Vasari ma anche secondo il Condivi. Così c'è stata tramandata la storia. Ma le cose sono andate veramente così?

molto affermato a Roma in quegli anni e così ben introdotto da essere ammesso all'appartamento del Papa. Nella lettera datata 10 maggio 1506, quindi meno di un mese dopo la fuga da Roma, Rosselli racconta di un dopo cena che si è scoperto da un'altra persona. Scena di qualche giorno prima, sabato sera, scrive, nel Palazzo Apostolico.

Quella sera, riferisce Rosselli, il Papa annuncia che l'indomani Giuliano da Sangallo andrà a Firenze e rimenerà, riporterà Michelangelo a Roma. Interviene Bramante, sostenendo che è del tutto inutile, in quanto Michelangelo non ha nessuna voglia di attendere alla cappella, cioè di affrescare la Sistina. E che glielo ha detto più e più volte e aggiunge con una punta di perfidia, io credo che non gli basti l'animo. non se la senta, perché non è pratico di pittura e soprattutto di figure alte in scorcio, che è altra cosa che dipingere a terra. Quando il Papa risponde, se non viene mi fa torto, io credo che tornerà, è allora che Rosselli interviene in difesa di Michelangelo.

Non date retta a Bramante, dice, per il semplice fatto che non parlo mai con Michelangelo e conclude, se non è vero quello che vi dico, voglio che mi moziate il capo. La lettera ci conferma la profonda ostilità di Bramante, ma ci rivela che non è stato lui a suggerire il nome di Michelangelo per la volta della Sistina, come scrivono Vasari e Condivi. È stato il Papa in persona, a pensarci, già nel 1506, quindi nel pieno dello scontro con l'artista.

In ogni caso, l'incontro dell'aprile 1508 è quello decisivo. Michelangelo accetta la sfida, affrescherà la volta della Sistina. In compenso riceverà, come ricorda Condivi, Ducati 3000, dei quali ne dovette spendere in colori intorno a 20 o 25. Il 10 maggio 1508 Michelangelo comincia il lavoro. Il giorno dopo ingaggia il maestro di murare Piero Rosselli, il capomastro che aveva reagito alle insinuazioni di Bramante davanti al Papa.

È lui che dovrà spicconare il cielo stellato e preparare la superficie della volta per l'affresco. Agli aiuti Michelangelo ha già pensato prima di entrare in Sistina. Ce lo dice un documento dell'aprile 1508 di suo pugno, conservato in casa Buonarroti, un foglio su cui scrive di garzoni della pittura che sanno far venire da Fiorenza e che riceveranno 20 ducati d'oro ciascuno. Tra i cinque c'è un amico di lunga data, Francesco Granacci, pittore ben noto e stimato. È a lui che Michelangelo ha chiesto di fare la squadra.

E il 31 marzo Granacci scrive da Firenze a Domino Michelagnolo di Ludovico Buonarroti, scultore in Roma. Nella lettera troviamo i nomi degli altri quattro garzoni della pittura. Giuliano, Jacopo, Agnolo, Bastiano. Tutti specialisti della Fresco.

Uno di loro è grande amico e coetaneo di Michelangelo, Giuliano Bugiardini. Insieme si sono formati nella bottega del Ghirlandaio, ma il rapporto con gli aiuti, malgrado l'amicizia, sarà tormentato. è a oltre 20 metri da lavorare la prima cosa da fare dunque è il ponteggio e su questo Michelangelo si scontra con Bramante che da architetto del Papa sovrintende ai palazzi vaticani Bramante aveva fatto una proposta cioè un ponteggio sospeso a delle corde che passavano attraverso la volta, tanto che Michelangelo dice poi dopo quando le buchi, ah dice quelli si chiudono dopo, va bene. Quello che non è chiaro è se l'abbia realizzato e Michelangelo glielo ha fatto togliere o non lo abbia realizzato.

Una cosa è certa che le corde erano state comprate perché poi sono state regalate al Pontarolo il quale ci ha fatto la dote per la figlia. Quindi o usate o non usate la quantità di corde è notevole. Michelangelo invece fa un ponte di corde.

di legno evidentemente, che a suo dire più si caricava e più rimaneva solido. Comunque sia andata la storia del ponteggio, sappiamo che il 10 giugno 1508 i lavori sono in pieno svolgimento e lo sappiamo dal diario del cerimoniere pontificio Paris de Grassis. Quel giorno annota che i Vespri nella cappella sono iniziati in ritardo a causa dei lavori cum maximis pulveribus. Evidentemente Rosselli continuava a picconare la volta col cielo stellato.

Le funzioni religiose, compresa la messa quotidiana nella Sistina, non saranno mai interrotte nei quattro anni della decorazione della volta. Il 27 luglio Rosselli rilascia a Michelangelo un'ultima ricevuta per i suoi lavori nella Sistina, 30 Ducati d'Oro. Ha finito il suo lavoro, ha rimosso l'affresco esistente, ha rifinito il supporto murario, ha steso l'arriccio. La volta è pronta per essere affrescata.

Ma che cosa deve raffigurare Michelangelo? Il Papa gli ha chiesto di dipingere in grande formato lungo i quattro lati i dodici apostoli con un ornato geometrico al centro. Michelangelo ci pensa.

A mille metri quadrati a disposizione e dovrebbe fare solo 12 figure. In una lettera a un amico romano, scritta alcuni anni dopo, ricorda le sue perplessità. E il disegno primo di detta opera furono 12 apostoli nelle lunette. E il resto, un certo appartimento ripieno d'ornamenti, come Susa.

Di poi, cominciata detta opera... Disse al Papa come, facendovi gli apostoli soli, mi parea che riuscisse cosa povera. Allora mi dette nuova commissione, che io facessi ciò che io volevo. Il nuovo progetto prende corpo giorno dopo giorno.

Michelangelo parte dalla griglia, dall'intelaiatura, e fa di quella volta uno spazio architettonico segnato dalle cornici delle vele, dei pennacchi, delle lunette. Poi passa alle storie da rappresentare. E i mille metri quadri che dovevano ospitare i dodici apostoli diventano una volta popolata da circa 300 figure.

Cosa raccontano le storie della volta della Sistina? Come concepisce Michelangelo la volta della cappella? Immagina una struttura architettonica, un vero e proprio sfondato prospettico.

all'interno del quale al centro colloca nove scene del Genesi. Sono le origini del mondo, le origini dell'uomo, la creazione della donna, il diluvio universale, l'ingresso del peccato nella storia dell'uomo, quindi l'ebbrezza di Noè, eccetera. Però non ci sono solo i riquadri del Genesi nella volta della Sistina, c'è anche tutto quello che vedete. Ci sono per esempio queste grandiose figure fuori scala, potremmo dire, i grandi veggenti, cioè quelli che dagli abissi dei secoli hanno prefigurato il Cristo che verrà, che hanno antichità.

la storia della salvezza. I veggenti sono le Sibille della tradizione classica, la Sibilla cumana, la Sibilla libica, la Sibilla delfica, la persica e i profeti dell'Antico Testamento, Daniele, Geremia, Isaia, Ezechiele. E poi gli antenati di Cristo, le 48 generazioni che precedono la venuta di Cristo sulla Terra, proprio come le descrive il Vangelo di Matteo.

E sono le figure di uomini e di donne che stanno nella parte immediatamente successiva le figure dei grandi veggenti, i profeti e le sibille. E poi nei pennacchi ci sono episodi dell'intervento di Dio nella storia del popolo eletto, del popolo di Israele. Dio non abbandona il suo popolo, nonostante il peccato, ma è presente nella sua storia, è presente quando Davide... batte il gigante Golia per esempio, è presente quando Giuditta decapita il malvagio Oloferne, è presente quando Mosè alza nel deserto il serpente di bronzo e con questo ferma la peste che stava distruggendo il popolo dell'Esodo. Ed ecco ancora l'episodio della punizione di Amman.

Amman era un malvagio ministro che detestava gli ebrei, li voleva sterminare, deportare. Ma sarà lui a finire crocifisso. Voi vedete bene che le scene... del Genesi, sono affiancate da una cornice di bellissimi corpi totalmente nudi. Onde l'affettuosa fantasia che l'arte mi fece idolo e monarca, conosco ben com'era d'error carca.

Questo scrive Michelangelo Bonarroti in un sonetto della vecchiaia. E qual era l'affettuosa fantasia che abitava i pensieri di Michelangelo? Che era il suo idolo, altro non era che il corpo virile, nudo.

E questo è il vocabolo stilistico. che lui usa e che accarezza con più intelligenza e con più passione. E la prima rappresentazione pittorica di questa glorificazione del nudo maschile lo troviamo proprio qui nella volta della Sistina, in questi giovani atleti che si fronteggiano e che occupano gli angoli delle scene del Genesi. Questa è la vela di Ozias.

Michelangelo ci mette due giorni a dipingerla, come risulta nel grafico delle giornate di lavoro, una sorta di radiografia della volta, redatta da Gianluigi Colalucci, il restauratore della Sistina. Colalucci conosce... tutti i segreti degli affreschi di Michelangelo. I segni verdi sono le giornate di lavoro, perché l'affresco si fa in giornate di lavoro, appunto per poter lavorare sempre sull'intonaco fresco. Poi ci sono delle frecce che indicano che il segno di Michelangelo è il segno di la vita.

che indicano quale delle giornate sta sopra e quale sta sotto. A ogni giornata viene dato un numero a secondo di com'è la cronologia e quindi alla fine il numero più alto sta a significare la quantità di giornate di una scena, dell'altra e dell'altra. Ci metterà 15 giornate a fare la scena più famosa di tutto il ciclo.

Le storie bibliche si svolgono dalla parete dell'altare, così come le stiamo vedendo. Ma Michelangelo ha proceduto al contrario, cioè dalla parte dell'ingresso. Sappiamo esattamente da dove è inizio l'affresco della volta, dalla scena del diluvio universale.

Ci vorranno 28 giornate per portarlo a termine. Michelangelo qui lavora con i suoi cinque aiuti. Interviene personalmente su alcune figure, di certo sul vecchio che trascina il figlio morto, ma la maggior parte del lavoro lo fanno i collaboratori, anche se in totale subordinazione, perché il controllo del maestro è minuzioso.

Quando comincia a lavorare al diluvio universale non gli funzionava bene né l'intonaco e non funzionavano questi lavoranti. dell'ordine delle giornate si scopre che il gruppo che sta alla destra immediatamente viene concluso. È un gruppo che lui lascia, evidentemente era stato dipinto abbastanza bene nei limiti del possibile di quel momento, evidentemente, per cui non lo distrugge.

Mentre probabilmente distrugge tutto il resto della scena e la riprende con una tecnica che è quella che... poi ha usato per tutto il resto della volta, quindi io credo che lui a quel punto si renda conto che non può fare a meno di mettersi a lavorare, non può preparare i disegni e darli agli aiutanti e a quel punto si mette a lavorare. Ma per mettersi a lavorare Michelangelo deve superare una crisi. Lo raccontano sia Condivi che Vasari.

Michelangelo è disperato, non vuole più continuare, anzi pensa di cogliere l'occasione per liberarsi da quell'impegno. Stimando Michelangelo che questa scusa gli dovesse bastare, stare a fuggire un tal carico, scrive Condivi, se ne andò dal Papa e gli disse, io ho pur detto a vostra santità che questa non è mia arte, ciò che io ho fatto è guasto e se non credete mandate a vedere. Mandò il Papa il sangallo, prosegue Condivi. il quale, ciò vedendo, conobbe che gli aveva data la calcina troppo acquosa e per questo, calando l'umore, faceva quell'effetto. Avvisato ne Michelangelo, fece che seguitò negli valse scusa.

Bisogna tenere conto che Michelangelo ha addirittura usato un intonaco che si usa a Roma in edilizia, e cioè calce e pozzolana. Dappertutto viene usata la sabbia, che è più adatta per gli affreschi. però è più debole. Allora lui invece qui ha usato questa pozzolana che è più difficile da usare in affresco perché è molto avida di acqua e quindi lui ha dovuto anche cambiare le proporzioni tra calce e pozzolana per renderla un po'più morbida questa malta.

Però ha usato una malta che si è rivelata poi fortissima, tant'è vero che nonostante... Durante le infiltrazioni d'acqua non ha subito quasi nessun danno. Ma come si svolgeva fisicamente il lavoro di Michelangelo?

La luce era quella che filtrava dalle finestre, rinforzata appena dalle candele. Ma era la tensione psicologica a pesare di più. Lo rivelano le sue lettere di quel periodo. gennaio 1509, scrive al padre.

Carissimo padre, il lavoro mio non va innanzi in modo che a me ne paia meritare. Questa è la difficoltà e ancora non essere la pittura mia professione. Eppur perdo il tempo mio senza frutto, il Dio mi aiuti.

Tre mesi dopo scriverà di nuovo. Padre carissimo, io attendo a lavorare quanto posso. Mi sto qua malcontento e non troppo ben sano e con gran fatica, senza governo e senza danari.

Pure ho buona speranza che Dio mi aiuterà. E a novembre confido al fratello. Io sto qua in grande affanno e con grandissima fatica di corpo e non ho amici di nessuna sorte e non ne voglio.

Si lamenta Michelangelo, ma è tutto concentrato sull'impresa e da quella riceve soddisfazione. Come scrive Vasari, acceso ogni dì di più dal desiderio di fare, non sentiva fatica né curava disagio. Al punto che riesce anche a sorridere della sua fatica.

A Firenze, in casa Buonarroti, c'è un foglio con lo schizzo di una figura d'uomo, ritto in piedi, nell'atto di dipingere in alto. Accanto al disegno c'è un sonetto in cui Michelangelo così si descrive al lavoro sui ponteggi della Sistina. Il ventre rattrappito sotto il mento, la nuca riversa sulla schiena, il pennello che sgocciolando gli incrosta la faccia di macchie, i lombi entrati nella pancia, e fode il cul per contrappeso groppa e i passi senza gli occhi muovo in vano.

Per stare in equilibrio deve spingere indietro il sedere e non vede dove mette i piedi. E così conclude rivolta l'amico Giovanni, cui dedica il sonetto. La mia pittura morta difendi ormai Giovanni, e il mio onore non sendo il loco bon ne io pittore. La fatica in effetti è grossa. Lui aveva 32-33 anni, quindi era un uomo forte, giovane e se lo poteva permettere, perché lavorare al centro della volta è veramente un problema.

Noi abbiamo visto anche lavorando nel restauro che non si può fare niente da distesi, bisogna per forza stare in piedi e in piedi addirittura si rischia di perdere l'orientamento. Lavorando così. Michelangelo affronta ora il riquadro del peccato originale e da qui tutto cambia. Le figure si fanno più grandi e l'esecuzione più veloce. L'intera scena della cacciata dall'Eden ha richiesto solo quattro giornate di lavoro.

Per l'ebbrezza di Noè ce ne aveva messe 14. Sono quasi due anni che Michelangelo lavora nella Sistina, 6-8 ore di giorno sul ponte a dipingere. Ma prima dell'affresco e fuori dal ponte c'è il lavoro preparatorio. Per ogni figura c'è da fare un cartone dettagliatissimo a grandezza naturale che serve da guida.

E prima del cartone c'è il disegno. Centinaia di disegni, bozzetti, schizzi, appunti di idee. Ne sono rimasti pochi, un centinaio più o meno, dispersi in vari musei in Europa e negli Stati Uniti. Quelli che stiamo vedendo sono conservati in casa Buonarroti. Siamo all'estate del 1510. Con la pittura Michelangelo è arrivato là dove arrivava il ponteggio.

Adesso dovrebbe smontarlo e rimontarlo nella seconda metà della cappella, ma le sue aspettative andranno deluse. Lo aspetta un anno di pausa forzata. Giulio II se ne è andato a Bologna e ha lasciato Michelangelo senza istruzioni né mezzi per proseguire. Michelangelo giustamente si preoccupava della Sistina, mentre Giulio II doveva preoccuparsi di altri problemi, forse più impellenti.

quel momento per lui, vale a dire il conflitto con il re di Francia che si sta facendo sempre più aspro, la minaccia che l'esercito francese fa pesare su Bologna, da lui riconquistata solo pochi anni prima, allora il Pontefice deve lasciare Roma, recarsi a Bologna, andare a conquistare la fortezza della Mirandola, nonostante sia malato, sotto una nevicata, si fa trascinare di peso in cima a una scala a pioli per mettere i suoi piedi in cima alla rocca della Mirandola che è una fondamentale fortezza militare e nonostante tutto i francesi conquistare Bologna, dovrà tornarsene indietro, ma quello che è fantastico, che rivela ancora una volta il temperamento di questo straordinario personaggio, è il fatto per esempio quando parte per la sede della Mirandola, dice a qualcuno dei suoi collaboratori, vedrò se ho gli coglioni grossi come li ha il re di Francia e parte per questo malato, per questa impresa militare e poi dovrà tornarsene a Roma, sfidato anche sul terreno spirituale del re di Francia. E'un dubbio in quel momento l'autonomia, la libertà, l'indipendenza della Chiesa. Era quella più importante che non gli affreschi che dovevano celebrarla. È il giorno di Ferragosto del 1511, festa dell'Assunta, e proprio quel giorno succede ciò che Michelangelo aspettava da un anno.

Giulio II è tornato a Roma e il suo cerimoniere annota nel diario il Papa si recò nella Sistina a vedere le nuove pitture da poco scoperte. Il primo ottobre il ponteggio viene rimontato nell'altra metà della cappella e il lavoro riprende dalla creazione di Adamo. Adesso Michelangelo adotta un sistema diverso. Ha preso tanta sicurezza nell'affrescare che abbandona la tecnica tradizionale Il disegno è un'attività tradizionale dello spolvero e adotta quella che i tecnici chiamano l'incisione in diretta. È un metodo non solo più veloce, ma soprattutto più libero e creativo.

Viene fatto il disegno, viene immediatamente appoggiato. all'intonaco, poi con una punta di bosso o di avorio viene ripassato per grandi linee. Questo segno rimane inciso nell'intonaco fresco, quando si leva il cartone...

C'è soltanto questa incisione e lì il pittore deve lavorare di più e metterci del suo perché quella è soltanto una traccia. Gli ultimi mesi sono frenetici. Michelangelo procede spedito, ma è assediato dal Papa che gli mette fretta e un giorno lo convoca per chiedergli quando avrebbe finito.

«Quando io avrò satisfatto a me nelle cose dell'arte», gli risponde. Giulio II si infuria. «Sono io che devo essere soddisfatto a veder finito il lavoro quando voglio», e gli conchiuse che se non la finiva presto lo farebbe buttar giù da quel palco.

A raccontare l'episodio sono sia Vasari che Condivi. Il 24 luglio 1512 Michelangelo scrive al fratello. Non ho tempo da rispondere alla tua perché è notte e ancora quando io avessi tempo non ti posso rispondere resoluto. Per insino che io non vedo la fine delle cose mie di qua.

Io stento più che uomo che fossi mai, malsano e con grandissima fatica, eppure ho pazienza per venire al fine desiderato. Al fine desiderato arriverà di lì a poco, a fine ottobre. In un anno ha fatto tutta la seconda metà della volta. A settembre scrive di nuovo al fratello.

Io v'avviso che non ho un grosso e sono, si può dire, scalse e nudo. E non posso avere il mio resto se io non ho finito l'opera. E patisco grandissimi disagi e fatiche. Ma all'inizio di ottobre può annunciare al padre io ho finita la cappella che dipignevo e il papa resta assai ben soddisfatto. Smonta il palco e il 31 ottobre apre la sistina a Giulio II e al suo seguito.

Quel giorno il cerimoniere annota Odie primum capella nostra pingi finita aperta est. Qualche mese dopo, a febbraio del 1513, Giulio II muore. Michelangelo tornerà nella Sistina 25 anni dopo per dipingere il giudizio universale.

Ma questa è un'altra storia.