Bentornati al Tempo e la Storia. Per il filosofo Benedetto Croce era il più grande statista italiano insieme a Cavour, per lo storico Gaetano Salvemini era invece il ministro della malavita. Nel bene o nel male, però, Giovanni Giolitti rimane colui che nei primi dieci anni del Novecento ha posto le basi dell'Italia di oggi. Febbraio 1901, Giolitti entra nel governo Zanardelli come ministro dell'interno. Da quel momento terrà le fila della politica italiana fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, nel 1914. In questo periodo, dominato così tanto dalla sua figura da essere definito età giolittiana, nascono le maggiori industrie del paese, si costruiscono ferrovie, le assicurazioni diventano statali e la scuola diventa obbligatoria e gratuita fino a 12 anni.
Ma questi sono anche gli anni in cui fermentano i nuovi miti della destra nazionalista e della sinistra rivoluzionaria. Insomma, Giolitti è davvero il padre dell'Italia contemporanea? Giovanni Giolitti, padre o patrigno dell'Italia attuale?
Ma direi che più che padre o patrigno può essere stato il nonno, il bisnonno, visto che finisce la sua attività di governo nel 1914. Giovanni Giolitti pensava di creare un'Italia più stabile, più solida, una monarchia più legata al popolo. Governa il più a lungo di qualsiasi altro primo ministro del Regno d'Italia, ma alla fine della sua lunga esperienza di governo, l'Italia precipita contro il suo parere nella prima guerra mondiale e poi nel fascismo. Raccontare per immagini Giovanni Giolitti non è impresa facile.
Era un uomo schivo, riservato. E di lui non esiste nessuna ripresa filmata. Per capire chi fosse, quindi, siamo andati a vedere dove ha vissuto. Da molti è stato paragonato a Cavour, col quale in realtà ha poco in comune, se non l'origine piemontese. Il nome Cavour, però, ritorna più volte nella vita di Giovanni Giolitti.
Si chiama Cavour... il paese natale della madre, dove Giolitti ha una casa nella quale torna a rilassarsi appena può e dove muore nel 1928. E quando si trasferisce a Roma per cominciare la sua lunga carriera alla guida dell'Italia, Giolitti vive in un appartamento modesto, come si addice al suo carattere, a Via Cavour numero 71. In realtà qualche contatto tra i due personaggi c'è anche stato. Giovanni Giolitti rimase orfano di padre quando aveva appena un anno.
Dopo un periodo trascorso in Valle Maira, tra le montagne del Cunese, si trasferì a Torino con la mamma Enrichetta. Lì ebbe modo anche di conoscere e persino frequentare Camillo Cavour e tutta la classe dirigente liberale dell'epoca, quindi conosce molto bene l'ambiente. Politico nuovo che si fonda su la pubblicazione dei giornali, pensiamo per esempio a Il Risorgimento, che era l'organo di Camillo Cavour, che era anche finanziato dallo zio di Giolitti, Melchior Plochiu. Il piccolo Joannin, come lo chiamavano in famiglia però, non si infiamma per gli ideali risorgimentali e non parte soldato nella seconda guerra d'indipendenza.
Ma a 20 anni lavora già al Ministero di Grazia e Giustizia e a 27 è capo sezione del Ministero delle Finanze del neonato Regno d'Italia, che a quell'epoca è a Firenze, perché Roma non è ancora diventata capitale. Ecco le lettere che spedisce alla moglie, descrivendole la casa che sta per comprare in attesa del suo arrivo. La informa sugli alloggi di Firenze nei quali potrebbero andare a vivere. 1.400 lire dell'epoca quando il suo stipendio era di 2.500 e poi ci sono tante confidenze sul proprio animo.
Tu passi il tuo tempo lavorando ed io lo passo tentando di lavorare, ma non riuscendovi il più delle volte. Quante volte non mi succede nel giorno che mentre sto leggendo di questi scartafacci, tra una riga e l'altra, mi si presenti la tua immagine. Ed io stia lì fisso come un incantato accorgendomi poi dopo mezz'ora che non ho capito niente di quanto ho letto e che debbo quindi ricominciare da capo. Quando a 40 anni comincia a muovere i primi passi in politica, Giovanni Giolitti è un burocrate e un amministratore sabaudo con 20 anni di esperienza alle spalle. gli ultimi dei quali passati alla Corte dei Conti e al Consiglio di Stato.
Il suo rispetto per lo Stato liberale e il pragmatismo che trarrà da questa esperienza caratterizzeranno tutti i suoi anni alla guida dell'Italia. Benvenuto professor Gentile. Ben trovato.
Interessante questo, userò le parole del filmato, burocrate e amministratore sabaudo, questo piemontese ottocentesco che, voglio dire, Ha visto la seconda guerra di dipendenza, la terza, cioè Piemonte risorgimento, è un piemontese al quadrato proprio il giovane Giolitti. Piemontese al quadrato ma in realtà è un piemontese che non ha partecipato alle guerre del risorgimento neanche quando avrebbe potuto nel 1859, aveva 17 anni e molti volontari anche più giovani si recarono a combattere. per l'indipendenza e l'unificazione italiana, ma Giolitti giustificò il fatto nelle sue memorie che era orfano di padre, fin da quando era un anno, e la madre era sola e doveva attendere agli studi. In realtà Giolitti è un piemontese integrale, ma non partecipa emotivamente, romanticamente, al risorgimento.
Il suo patriottismo è un patriottismo solido, piemontese, monarchico, liberale, risorgimentale. ma manca di quell'entusiasmo che poi gli fu rimproverato dicendo che era un uomo arido. E fu il primo presidente del Consiglio italiano che non proveniva dalle lotte risorgimentali.
Però le chiedo una cosa, ma allora perché lui, che abbiamo visto descritto come un impiegato, in fin dei conti, un amministratore, entra in politica invece? E' un amministratore che attraverso la sua esperienza burocratica per 20 anni si impadronisce dei meccanismi di funzionamento dello Stato. Quando entra in politica a 40 anni, quasi casualmente, come deputato, è già padrone di quelli che sono i meccanismi attraverso i quali si elaborano le leggi di questo Stato e conosce molto bene la finanza, conosce la macchina. Questo sarà uno strumento fondamentale.
Il suo potere, che durerà per oltre un decennio, nasce in gran parte dalla sua capacità di controllare, conoscendola, la macchina burocratica e legislativa e finanziaria dello Stato italiano. Dopo questa prima scelta di entrare in politica ne esce anche all'inizio della sua carriera? In quell'epoca non c'erano ragazzi precoci in politica, lui entra a 40 anni deputato, a 50 anni nel 1892 per la prima volta presidente del Consiglio, quasi all'improvviso, anzi è considerato un ragazzo da quelli molto più anziani di lui e poi non aveva partecipato alle lotte del risorgimento, ma la sua prima esperienza dura poco più di un anno, nel 1893 deve lasciare.
però già in quella esperienza appaiono alcune caratteristiche tipiche dell'uomo politico. Allora, fin qui diciamo il Giolitti dell'Ottocento, potremmo dire, ma l'età giolittiana è quella del nuovo secolo, il Novecento, secolo in cui nasce il movimento dei lavoratori, qui è dedicato proprio questo suo discorso di Giolitti in Parlamento, siamo nel febbraio del 1901. Per molto tempo si è cercato di impedire l'organizzazione dei lavoratori. Questa tendenza produce il deplorevole effetto di rendere nemiche dello Stato le classi lavoratrici.
Le Camere del Lavoro sono le rappresentanti di interessi legittimi e potrebbero, sebbene adoperate dal Governo, essere utilissime intermediarie tra capitale e lavoro. Questa è una nuova funzione che si impone allo Stato moderno. Io non temo le forze organizzate, temo assai più le forze inorganiche, perché su quelle l'azione del governo si può esercitare legittimamente.
Contro i moti inorganici non vi può essere che l'uso della forza. Così parla il deputato Giovanni Giolitti in Parlamento nel febbraio del 1901. La Camera del Lavoro di Genova è appena stata sciolta a causa di un'avvertenza dei portuali. Tre giorni di scioperi mandano in tilte le industrie e la città e alla fine il decreto viene ritirato e la Camera di Genova ricostituita. Con questo episodio si inaugura un nuovo atteggiamento del giovane Stato liberale nei confronti dei lavoratori e comincia anche l'età giolittiana.
Giovanni Giolitti è ministro degli interni del gabinetto Zanardelli, ma è già all'ispiratore della politica governativa. All'inizio del nuovo secolo l'assetto economico del paese sta cambiando in fretta. L'Italia sta vivendo la sua rivoluzione industriale e sono nate le prime leghe sindacali che dall'industria si allargano a... contadini e braccianti.
Quando nel 1904 i sindacati indicano il primo sciopero generale della storia italiana, Giolitti è diventato per la seconda volta presidente del Consiglio e decide di non inviare l'esercito. Al contrario, lascia che lo sciopero si sfoghi naturalmente, limitandosi a mantenere l'ordine pubblico. Ai conservatori che lo criticano per il suo atteggiamento morbido verso i sovversivi, risponde che, piuttosto, gli impreditori farebbero bene a rassegnarsi a concedere aumenti salariali ai lavoratori. Secondo Giolitti, progresso industriale, prosperità del paese, avanzamento culturale e miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori sono processi intimamente legati tra loro e devono svilupparsi con la mediazione dello Stato attraverso un graduale processo di riforme.
Giolitti trova l'appoggio in Parlamento dell'ala riformista del Partito Socialista. Nei due mandati del primo decennio del 1900, Giolitti introduce nuove norme a tutela del lavoro sulla vecchiaia, sull'invalidità, sugli infortuni e nuovi limiti di orario e di età per il lavoro femminile e minorile. Ma è un equilibrio delicato.
Le agitazioni sindacali e i conflitti sociali segneranno tutta l'età giolittiana e alla fine ne decreteranno il tramonto. Intanto è durante un'altra agitazione sindacale, quella dei ferrovieri del 1905, che Giolitti, colpito da una malattia nervosa, rinuncia al suo secondo mandato. Allora professore, insomma è un po' paradossale questo racconto perché in fondo vediamo che è un liberale riformista, quasi un uomo di sinistra, uno che dice addirittura che gli imprenditori devono lasciare spazio alla reputazione sindacale e si allea con i riformisti socialisti. Un senatore proprietario di Telegrafa che aveva dovuto trascinare l'aratro perché c'era lo sciopero dei contadini e Giolitti fa rispondere. Il senatore ha fatto bene, così sa come vivono i contadini e li tratterà meglio.
Era un uomo che proviene da una borghesia piemontese ma capisce immediatamente di fronte alle prime agitazioni sociali, quando lui presiede il primo governo nasce il Partito Socialista nel 1892, ci sono stati i moti dei fascisti siciliani. I moti del 98 che sono stati conclusi con una strage da parte dell'esercito e quindi c'è stato un tentativo di ritornare ad una concezione autoritaria della monarchia e c'è l'assassinio di Umberto I. Quindi Giolitti inaugura un'epoca in cui, grazie anche al nuovo re Vittorio Emanuele III, invece di reagire con autorità e con repressione, si apre a quello che è il nuovo corso della politica liberale. Giolitti è non solo l'ispiratore ma è poi l'artefice principale e una delle manifestazioni più significative è quella che già veniva citata nel filmato Giolitti non fa più intervenire l'esercito nei conflitti del lavoro, sono conflitti che riguardano due categorie, da una parte i proprietari, dall'altra i lavoratori si risolvono pur che non attacchino l'ordine pubblico.
Parla dello Stato mediatore, no? Lo Stato mediatore, diciamo molto meglio il governo mediatore più che lo Stato. E il governo che in questo caso però più che fare da mediatore assiste a quello che accade in un conflitto privato di lavoro interviene solo quando questo, come nello sciopero generale del 1904 nel settembre, Giulietti non interviene perché capisce subito, si esaurirà, dice. Però nel suo tempo fa preparare la flotta.
Perché se viene infranto l'ordine pubblico, Giolitti interviene. Il limite è che non deve mettere in pericolo l'ordine pubblico. Poi c'è questa sua idea, che viene espressa subito col suo linguaggio chiaro, semplice, concreto, realistico, che ormai c'è un quarto Stato che si fa avanti.
E questo quarto Stato deve essere aiutato a entrare nello Stato monarchico, non ad assaltarlo. Ecco, però l'età giolitiana è anche quella della grande emigrazione, un fenomeno che dura per tutto il Novecento. Noi...
Facciamo un salto in là che però in qualche modo ci descrive proprio questa condizione. Quella questione nasce ai tempi dell'Italia dei giolitti e in realtà è ancora quella di oggi. Vediamo. Dicono che voi meridionali lavorate poco.
Questo non deve la fare. Su punto dei torinesi solo noi possiamo dire che... Abbiamo un avvantaggio superiore, superiore perché noi ci adattiamo a tutti i lavori, non ci prenderemo mai di lavorare.
Loro no, si rifutano perché ci siamo noi, allora loro approfittano delle occasioni e cercano di infilarci in fabbrica, infilarci insomma nei posti leggeri, ovvi. possono vivere meglio che vanno con la c***a Posso fare un lavoro, magari con le scarpe un po' pulite, con una camicia bianca, fumando le sue sigarette stop. Qui nel Piamonte, cioè in Altidale, non è altra della bassa Italia, come fossero degli oriundi, non so come spiegarvi. Ecco come presentano l'emigrante meridionale Ugo Zatterin e Brando Giordani nel 1961. Le radici di questa condizione però...
risalgono a un secolo prima. Il primo grande flusso migratorio italiano coincide con i primi decenni successivi all'unità d'Italia, complici anche il progresso industriale e l'apertura delle prime tratte navali per passeggeri tra Genova e New York. Dal neonato regno d'Italia partono tra il 1876 e il 1900 circa 9 milioni di persone. È un esodo che all'inizio tocca tutte le regioni italiane, ma nei primi vent'anni del nuovo secolo si sposta prevalentemente a sud con tre milioni di persone partite soltanto da Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.
In Italia è iniziata l'età delle riforme giolittiane e mentre il nord marcia grandi passi verso l'Europa con un deciso sviluppo industriale e la modernizzazione delle coltivazioni agricole, il sud... rimane indietro, aggravando sempre di più quella che, già dai primi anni dell'unità, viene chiamata la questione meridionale ed è considerata uno dei problemi più impellenti del paese. Giolitti, durante il suo terzo mandato, fa approvare le prime leggi speciali a favore del mezzogiorno, che comportano sgravi fiscali e l'incremento delle opere pubbliche.
Ma i metodi pragmatici del Presidente del Consiglio, che nel sud si avvale di alleanze spesso discutibili, gli valgono le critiche feroci degli avversari politici. In particolare quelle di Gaetano Salvemini, che su un opuscolo del 1910 lo definisce il Ministro della Mala Vita. D'altronde Giolitti aveva scritto Il sarto che ha da vestire un gobbo Se non tiene conto della gomma, non riesce.
Ci sono come due grandi temi. Cominciamo dal primo. Abbiamo sentito parlare di milioni di persone che emigrano, italiani, e quella interna, se ho capito bene, 3 milioni che vengono dal sud. L'emigrazione in questo periodo è un fenomeno europeo. Dopo la grande depressione degli anni 70 e dell'800 sono decine di milioni quelli che emigrano dall'Europa verso gli Stati Uniti o comunque oltreoceano.
Gli italiani sono una notevolissima quota e i meridionali una notevolissima quota. Durante il decennio giolittiano tra 1903 e 1913 c'è una media di oltre 400 mila italiani che emigrano, che lasciano l'Italia o per il continente o per l'oltreoceano e addirittura il picco se ne aggiunge nel 1913 di oltre 800 mila. Ma Giolitti come la vede questa cosa? Come cerca di affrontarla?
Questo in larghissima parte viene visto come un fatto positivo perché gli emigranti alleggeriscono il peso della mano d'opera e da una parte favoriscono l'aumento dei salari per quelli che restano. Dall'altra parte le rimesse degli emigrati, quali spesso partivano con il desiderio di tornare in Italia, contribuivano a quello che sarà poi il pareggio del bilancio. C'è una prima lettura positiva del fenomeno? C'è un effetto positivo, certamente non voluto, anzi la protesta di coloro i quali si occupano dell'emigrazione è che l'Italia non cura ciò che accade come faceva la Germania, come faceva l'Austria-Ungheria, come facevano altri paesi del nord. Cosa accade di questi emigrati quando arrivano negli altri paesi?
Venivano abbandonati a se stessi. Però c'era comunque questa idea che il processo emigratorio oggettivamente da una parte favoriva l'aumento dei salari perché veniva a scarseggiare la mano d'opera e quella che rimaneva veniva pagata di più e dall'altra, come dicevo, erano le rimesse degli emigranti che hanno un notevole effetto sull'economia italiana. Invece c'è un secondo tema, quello accennato in questo durissimo giudizio di Gaetano Salvemini sulla politica giolittiana, dice il ministro della malavita.
Ecco, c'è quasi l'accenno di una cosa... che fa oggi, fa 2014. Fa oggi, fa 2014 dal punto di vista dell'idea che Giolitti per Salvemini addirittura era una nullità intellettuale e morale. Per moltissimi, sia a destra che a sinistra, era un corruttore, cioè un uomo politico che con modo spregiudicato manipolava le elezioni lì dove poteva, cioè nel sud principalmente dove non c'erano partiti. Era vero, era vero.
che è di Giolitti e che viene a volte usata come un motivo di elogio, a volte come un motivo di critica, cioè il sarto deve fare al gobo l'abito col gobo. Ma lì bisogna capire perché lui esprime questa frase. Lui nel 1896 scrive alla sua figlia Enrichetta una lettera in cui spiega la sua concezione della politica.
Mettiti in capo questo, che gli uomini sono quello che sono, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, con i loro vizi, i loro difetti, le loro passioni, le loro debolezze, e il governo deve essere adatto. Il fatto è che il governo deve mirare a correggere, a migliorare, ma anche esso è composto di uomini con tutti i loro difetti. Il sarto che ha da vestire un gobbo, se non tiene conto della globa, non riesce.
Io non sono un conservatore, vedo troppo chiaro quanto vi è di brutto e dispregevole nell'andamento attuale della politica italiana, purtroppo non vi è ora la scelta fra il bene e il male, ma fra mali diversi. E questo è il lato più triste della politica. È un liberale scettico. Forse questa vignetta gli corrisponde?
Questa vignetta corrisponde a come veniva visto Giolitti. Bifronte. Bifronte, cioè da una parte favorevole ai padroni, dall'altra demagogicamente favorevole al mondo operaio. Ma in realtà non era che lui fosse favorevole ai padroni o al mondo operaio.
Lui, pensando che bisognava adattare l'abito agli italiani che avevano la gobba, cioè avevano mille difetti antichi, sociali, eccetera, riteneva che bisognava assecondare questo duplice processo che era in corso in Italia, la formazione di una moderna borghesia industriale ma la formazione di un moderno proletariato organizzato e quindi lui in qualche modo cercava più che di creare, lui odiava questi termini di una politica creativa, se il gobbo ha la gobba, lui non pensava di curargli la gobba, pensava di fargli l'abito adatto. Allora è di migliorare questa sua visione scettica degli esseri umani, un po' machiavellica, gli uomini sono come sono, la politica deve tener conto di quello che è e non di quello che dovrebbe essere. Questo significava che lui puntava molto sulle parti più sviluppate del paese e lì dove questo sviluppo non c'era non lo incoraggiava. Insomma, l'abbiamo visto dalla vignetta. Questa Italia giolittiana, in qualche modo stabile, pur cinica ma stabile, è proprio oggetto della satira.
Anche le canzoni, vediamo. Io sono molto esperto e molto scaltro, se l'orizzonte si fa scuro e tetro. Se l'orizzonte si fa scuro e tetro, come canti ben, io mi dimetto e fo' ministro un altro, come canti ben, e gira e fai la rota, quando è il momento buono, lo sbalzo dallo scanno, torno ancor padro, e torno ancor padro. Così nel 1908 lo spettacolo di rivista Turlupineide prendeva di mira il presidente del consiglio. Ne si tenevano indietro nella gara dei sarcasmi e delle ironie giornalisti e disegnatori.
Perfino nella pubblicità affioravano di tanto in tanto le sembianze marcate del commendator Giovanni Giolitti denominato Palamidone, la personificazione vivente dell'Italia ben pensante e fiduciosa di sé. Ma proprio quegli strali e quelle ironie, a pensarci bene, davano l'esatta misura dell'uomo ed anche dell'epoca legata al suo nome. Si era aperto per l'Italia un periodo di prestigio e di intensificati rapporti internazionali.
Era il trionfo di un'epoca, di una mentalità, di un costume. Il mondo godeva di una pace stabile e prolungata. Tutti i pensieri andavano alle meraviglie dischiuse dal progresso. e dalla civile convivenza degli uomini.
La grande esposizione di Torino era una delle tante rassegne dell'industriosa attività dei popoli, tra i quali anche l'Italia aveva saputo farsi un nome prestigioso e apprezzato. Uniformi scintillanti, abiti da cerimonia monumentali, cappelli femminili imponenti e fioriti come aiole primaverini, magnifici tiri a quattro che percorrevano le strade ancora spaziose. Discorsi magniloquenti in cui si esaltavano, contornite parole, le magnifiche sorti e progressive.
I giornali parlavano, certo, di battaglie, ma erano le battaglie del progresso e del lavoro, quella a cui dedicavano colonne e pagine iniziali. Memorabile fra tutte quella intrapresa per il traforo del Sempione, le cui fasi fecero palpitare milioni di cuori. Una gara di entusiasmo e di abnegazione, perché diventasse realtà quell'autentico capolavoro della tecnica costruttiva, un nuovo... o ponte gettato per la comprensione e l'amicizia dei popoli.
Che l'Italia sotto Giolitti fosse assurda al rango di potenza europea si poteva dedurre da molti eventi significativi. La visita dello zar, più volte procrastinata per il timore di ostili accoglienze, era uno di questi segni. C'erano anche altri avvenimenti che polarizzavano l'attenzione. Il ride Parigi-Pechino, compiuto dal principe Scicchione Borghese.
e dal giornalista Luigi Barzini. Il primo approccio di Gabriele D'Annunzio con il nuovo entusiasmante strumento del progresso, da lui stesso D'Annunzio. denominato Belivolo, espressione insuperabile di velocità e di potenza. Gli occhi si volgevano curiosi ad osservare il primo dirigibile nel cielo di Roma. Di lassù la capitale d'Italia appariva come nessun occhio l'aveva mai osservato.
La quarta incarnazione ministeriale di Giolitti, di Granlunga la più importante, ebbe inizio il 30 marzo del 1911. Coincise con le solenni celebrazioni del cinquantenario del re. regno d'Italia che culminarono nell'inaugurazione del monumento al padre della patria Vittorio Emanuele II. Uno spettacolo indimenticabile. A Pariva Bella la gigantesca mole che a prezzo di tante peripezie era stata eretta a fianco del Campidoglio ed era veramente il simbolo della patria come l'avevano sognato tante generazioni di cittadini. L'Italia giuridica è un'Italia importante che cresce?
E' un'Italia che fa il suo primo decollo industriale, progredisce in tutti i campi, ha anche quattro premi Nobel se non ricordo male, uno per la fisica, uno per la medicina, uno per la letteratura, uno per la pace in questo periodo. E' un'Italia che si afferma anche attraverso la sua... figura culturale di campo europeo sia dal punto di vista del decadentismo come d'annunzio sia dal punto di vista della serietà invece culturale di Benedetto Croce quindi è un'Italia che raggiunge in un'Europa che è ancora il centro del mondo un suo posto importante viene poi corteggiata l'Italia appartiene alla triplice alleanza ma viene corteggiata anche dalla triplice intesa cioè dalla Francia dall'Inghilterra dalla Russia mentre l'Italia conferma e Giolitti conferma l'alleanza con la Germania e con l'Austria Ungheria. E' davvero come dice il filmato una.
arriva adesso una delle potenze europee e in qualche modo aspira a diventare anche una potenza africana. Le chiedo però un particolare, ci arriviamo adesso all'Africa, dietro mi diceva però c'è una sapienza politica, anche di tecnica politica di Giolitti. Non si governa per il più lungo periodo dell'Italia monarchica come fa Giolitti senza avere la capacità di organizzare le proprie maggioranze parlamentari. Giolitti Forma cinque governi e ogni volta fa le elezioni politiche che sono manipolate specialmente nel sud attraverso l'intervento dei prefetti, dei questori, promesse, lusinghe oppure attraverso per esempio la nomina, le famose infornate di decine di senatori che Giolitti fa nominare senatori e che in generale appartengono ai suoi avversari politici. dalla concorrenza nella Camera dei Deputati, è quella più importante, e li trasferisce.
Ci sa fare moltissimo ed è quello che gli viene rimproverato, cioè di essere un dittatore parlamentare che crede sì nel Parlamento, ma in un Parlamento addomesticato dal suo intervento. Infatti si dice che Giolitti nel 5, dopo le elezioni che si svolgono dopo lo sciopero generale, quindi con un grande successo per Giolitti, si ritira per una malattia nervosa. Forse è vero, ma dopo le elezioni che lui vince, Giolitti si ritira sempre perché dice Grazie. Le Camere appena elette sono irrequiete. Allora lui lascia che vada qualcun altro, qualche suo logotenente, come Fortis, oppure qualche suo oppositore integerrimo come Sonnino o Luzzatti, però poi lui ritorna e viene richiamato.
Questi governi durano poche decine di giorni o al massimo un anno e lo richiamano e lui addomestica queste maggioranze. Ecco, però lei ha citato l'Africa ed è importante perché nel frattempo le potenze europee stanno espandendo i confini delle loro colonie. Fra l'altro poco lontano dalle coste siciliane, l'esercito italiano anche lui si imbarca per la Libia. Siamo nel 1911. Il 5 ottobre 1911 una brigata navale italiana di 1700 uomini occupa Tripoli. Nel giro di un mese vengono presi tutti i centri costieri della Libia che appartiene alla Turchia.
La diplomazia ha da tempo assicurato all'Italia la mano libera per la Libia. Giolitti e il suo ministro degli esteri San Giuliano credono che sia giunto il momento di rinforzare la sua politica. momento di procedere.
Si pensa che la guerra sarà breve e di poca spesa. L'opinione pubblica è stata convenientemente preparata. La Libia è stata riscritta come la nostra terra promessa. Si canta Tripoli, Belsuol d'amore. I nostri soldati combattono valorosamente e con entusiasmo.
Vi sono episodi eroici e memorabili. ma l'impresa si risolve in una guerra lunga, aspra e costosa. Vi si lavorano via via altre truppe, altri materiali.
Tripoli sarà italiana, tuttavia, come ha detto Nitti, la Libia resterà uno scatolone di sabbia, almeno fino a quando non ci verrà tolta. Ecco, professor Gentile, ma era indispensabile che quell'Italia a potenza europea diventasse anche coloniale? Voglio dire, perché andiamo in Libia nel 19... Andiamo in Libia perché una grande potenza in quell'epoca lì non si concepisce senza possedimenti coloniali. È la stessa ambizione che spingerà la Germania poi ad accelerare la sua corsa agli armamenti di rivalità con l'Inghilterra.
Oggi questo ci sembra strano, ma l'Europa del 1912, quando... L'Italia occupa la Libia, è un'Europa che ancora crede nel primato della sua civiltà mondiale da realizzare anche attraverso il colonialismo. L'Italia che ha avuto campagne sfortunate nel 1896, l'Italia vuole annettersi l'Etiopia e viene sconfitta, è la caduta di Crispi.
Giolitti ha sempre avversato la politica imperialista, anzi lui teorizzava la impossibilità di conciliare una politica democratica con una politica imperialista. con molta abilità, questa è l'epoca della diplomazia segreta, non si discute in Parlamento, ottiene il bene placito sia della Francia, dell'Inghilterra e della Russia, sia della Germania e dell'Austria. Anche perché si aggredisce quello che era considerato il grande malato, l'impero ottomano.
Però qui si è parlato di uno scatolone di sabbia. E la fatica per conquistarselo, questo scatolone, non ha una ricaduta nella politica interna? Ha una ricaduta nel senso che incoraggia...
Cioè lo scenario poi qual è italiano della guerra di Libia? Cambia radicalmente e comincia a entrare in crisi la egemonia, la dittatura giolittiana. Ah, proprio con la guerra di Libia? Inizia in quel momento.
Giolitti con questa sua politica che bilancia la destra con la sinistra, mentre fa un'operazione coloniale che esalta i nazionalisti, però nel 12... introduce il suffragio universale, propone nuove leggi in favore dei lavoratori ed è convinto che l'esperienza della Libia è chiusa con l'occupazione della Libia, anche se poi si arriverà all'epoca fascista per domarla con la repressione, la rivolta interna degli arabi. Ma la sua concezione della politica è che quella campagna andava fatta perché se non ci andava l'Italia, ci andava o la Francia o l'Inghilterra.
Quindi che fosse uno scatolone di sabbia contava molto non lasciare questo scatolone di managlia. E' un scatolone europeo. E poi non si sapeva ancora che lì c'era il petrolio e quindi di conseguenza si immaginava solo...
Abbiamo fatto in tempo andare e tornare dalla Libia senza il petrolio. Sì, ma anche la mitologia, si parla, il socialista Giovanni Pascoli esalta l'impresa della grande proletaria, cioè l'Italia che invece di mandare i suoi 9-10 milioni di emigranti all'estero li manderà nelle sue colonie. C'era questa illusione, invece non ci vanno, continueranno ad andare oltreoceano. Per Giolitti però, a differenza di Crispi, la politica imperialista deve essere...
legata soprattutto allo sviluppo della democrazia interna. Lui crede nella possibilità di sviluppare democraticamente, infatti quasi a contrapporre all'esaltazione nazionalista per la compagna della Libia, insiste ancora una volta nell'ampliare con il suffragio universale maschile nel 1912 la base consensuale degli elettori e insiste ancora sperando di poter avere un sogno che risale all'inizio della sua... Egemonia, quello di avere i socialisti riformisti con lui ad aiutarlo in questa impresa di democratizzare lo Stato liberale. Ecco, però siamo nel 1912, lei ci ha detto, e siamo a un passo in realtà dal 28 giugno 1914. Sarajevo, viene assassinato l'arciduca Francesco Giuseppe, scoppia la Prima Guerra Mondiale. Vediamo che cosa succede nell'Italia giolittiana.
Roma, 12 maggio 1915. Giolitti è appena tornato a Roma dopo tre mesi di ritiro nella sua cavour e trova ad accoglierlo folle di manifestanti che lo attaccano in modo violento. Ha rassegnato le dimissioni da Presidente del Consiglio due anni prima a favore di Antonio Salandra, che però, nel frattempo, ha preso accordi segreti con l'intesa per un sostegno dell'Italia a Francia, Russia e Inghilterra nel conflitto scoppiato dopo l'annessione austriaca della Serbia. Giolitti è contrario all'intervento e propone al Parlamento di liberare il Paese dagli impegni per mantenere la neutralità.
La sera a casa trova i biglietti da visita di 400 deputati che in questo modo segnano il loro appoggio alla sua linea. La maggioranza è con lui. Il giorno dopo un comunicato annuncia le dimissioni di Salandra e le piazze italiane esplodono.
A Roma Gabriele D'Annunzio tiene un discorso violentissimo contro Giolitti. Nella Roma vostra si tenta di strangolare la patria con un capestro prussiano maneggiato da quel vecchio boia labbrone. Noi siamo sul punto di essere venduti come una greggia infetta. Questo vuol far di noi il mestatore di Dronero. A Milano la folla acclama la guerra per volontà del popolo.
Sui muri vengono affissi manifesti che ritraggono il traditore Giolitti al momento della fucilazione. La folla invade Montecitorio. Il questore di Roma avverte Giolitti che non è in grado di garantire la sua incolumità. In questo clima Giolitti rifiuta il ministero. e il re restituisce il mandato a Salandra, che il 23 maggio firmerà l'intervento dell'Italia a fianco di Francia e Inghilterra nella Prima Guerra Mondiale.
La mattina del 17 maggio, sul Popolo d'Italia, Benito Mussolini scrive La terribile settimana di passione dell'Italia si è chiusa con la vittoria del popolo. Le nuvole basse della mefitica palude parlamentare Sono dileguate dinanzi al ciclone che prorompeva dalle piazze. Non si hanno più notizie del cavalier Giolitti. Anche il giolittismo versa in condizioni disperate.
Il giornalista Mussolini si sente sempre nella zampata. Senta però, proviamo a ragionare. Questo Giolitti che è neutralista, fortemente neutralista, perché con tutto il suo credito, con tutta la sua autorevolezza, con quel che ha fatto per l'Italia fino a qui, non riesce a governare le pulsioni che alla fine portano all'intervento. Perché proprio ai cambiamenti che l'Italia ha attraversato in questo periodo, l'Italia del 1913, cioè dopo le ultime elezioni che Giolitti fa svolgere, è completamente cambiata. Emerge un'Italia nazionalista, emerge un'Italia cattolica, emerge un'Italia socialista, come dirà il deputato socialista nel dicembre del 13. In Italia, signor Onorevole Giolitti, c'è un'Italia socialista, un'Italia cattolica, un'Italia nazionalista, non c'è un'Italia giolittiana.
Giolitti nel marzo del 14 lascia il governo, convinto che sarà un'altra parentesi di qualche mese, invece lo sostituisce, salandra e sonni in un governo di politica nazionale che ormai rappresenta un'Italia diversa da quella che voleva Giolitti. Potremmo dire come un bilancio che Giolitti promuove un progresso attraverso una politica che avrebbe dovuto rafforzare la monarchia, il sistema parlamentare. e lo sviluppo democratico dell'Italia.
Alla fine lui si trova praticamente contro tutti, contro i socialisti che sono diventati rivoluzionari, i cattolici che non vogliono dare più il sostegno elettorale ai deputati liberali ma vogliono entrare autonomamente in politica, i nazionalisti che non vogliono un'Italia democratica perché ritengono che non potrà essere una grande Italia imperialista. E Giolitti non si è mai occupato, pensando sempre alle sue maggioranze parlamentari, di conquistare un consenso più ampio. Noi non abbiamo filmati di Giolitti, ma Giolitti non corteggia la massa, gli è estranea questa idea, quindi in un certo senso diventa un uomo anacronistico in una società che sta diventando di massa dove la sua regola fondamentale che era la razionalità del buonsenso viene sopraffatta dalla irrazionalità delle passioni politiche. Professore faccio vedere una fotografia, questa è un'immagine dei funerali di Giolitti, siamo nel 1928, ormai siamo in piena Italia fascista.
Questo addio, com'è? Cioè il popolo italiano c'è nelle strade del funerale di Giolitti? Non c'è.
Giolitti ormai è un solitario. Lui stesso si definiva un mezzo selvaggio che quando il fascismo crea il regime rimane in Parlamento. Non va sull'Aventino perché ritiene che si deve continuare a combattere in Parlamento.
Ma nel marzo del 1928, quando viene approvata la legge del Gran Consiglio che praticamente crea le liste uniche a cui si dice sì o no, lui dice ormai siamo fuori. da quella che era la libertà dello statuto e si ritira, ormai si era ritirato dal 1925 a Cavour, dove passa gli ultimi giorni e a chi gli domandava perché non si è inserito nel nuovo regime, si dimette anche da Presidente del Consiglio Provinciale di Cuneo perché è tutto fascista e al parroco che poi gli darà l'estrema unzione dirà, dice, senta io sono vecchio, molto vecchio, ma le pare che alla mia età posso mettermi a cantare giovinezza e morì serenamente. Era solitario, era stato sempre un uomo selvatico e solitario e il re non si degnò di andare a visitare l'uomo che lo aveva servito per oltre un decennio con fedeltà.
Un libro, un luogo, un film? Come libro suggerirei I vecchi e i giovani di Pirandello che è ambientato nella Sicilia del 1893, cioè durante il primo governo Giolitti, ma rappresenta bene quel conflitto generazionale fra i giovani che volevano un'età eroica e consideravano Giolitti un uomo prosaico. Esiste un film? Non esiste un film per quanto ne so, però è un film che adatto, ma penso che è un film che rievoca bene il mondo del travè, dell'impiegato, è Policarpo, ufficiale di scrittura di Mario Soldati.
Il vicefilm evoca bene questo mondo nel quale si era formato Giolitti e come luogo naturalmente Cavour le sue case. Andiamo lì. Allora, sa che mi è rimasta una domanda, ma adesso esagero.
Non è che Grillo è in qualche modo il nostro D'Annunzio e Renzi il suo Giolitti? Potremmo dire una cosa? No, ho l'impressione che sia tutti e due dei D'Annunziani.
Abbiamo visto poco fa come nell'Italia di Giolitti si comincia a discutere di questione meridionale. In letteratura, già vent'anni prima, un gruppo di scrittori si era interessato alla gente del Sud, restituendone un ritratto crudo ed efficace, tanto realistico da far meritare alla loro corrente letteraria la definizione di verismo. Il suo esponente di punta è il catanese Giovanni Verga.
che ha lo stesso nome, la stessa età e gli stessi baffi di Giolitti, ma viene dall'estremo opposto della Nuova Italia. Vi salutiamo oggi con il suo Mastro Don Gesualdo, nella mitica versione televisiva del 1964, interpretata da un grandissimo Enrico Maria Salerno. Arrivederci.
Viva Maria! Viva! Viva! No! Viva Maria !
Viva Gesù ! Forza ! Forza Pintola ! Gesù ! Vedo !
Guardate a me frate santo come sta a guardare ! Se io fossi come lui, ancora Gesso sulle spalle porterei, eh? se la mettevate su prima la macchina invece di aspettare la storia finito era il lavoro mannaggia sembra solo da storia sempre sempre è sicuro e guarda la lo vedi che sono mezzi vuoti questi sacchi di gesso neri neri Un nesso figlio di mala femmina che portò il gesso!
Il sanco di Giuda! Ma che credete che le vado a rubare denario? Ah!
Non ce l'avete l'occhio per guardare, no? Santo, fammi appiegare la mula che devo andare per la cauzione del ponte. Vai! Attento al lavoro, eh, massocola!
Eh, voi siete capomasso, e perciò mi raccomando a voi. Eh, via! Attenzione ai picciotti che vi sto sempre addosso! Mi vedrete comparire quando meno ve lo aspettate.
Io sono del mestiere e me ne accorgo se lavorate o no. Intesi? Don Gesualdo, vuoi mangiare un mozzacone di pane con l'altro?
No! Ah, cola! Senti, quando viene Neri, ci devi dire il fatto suo, che se non mi porta il gesso che manca, te, va a parlare con me a sabato, quando viene per i conti.