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Dante Alighieri: Storia e Politica

E' l'11 giugno 1289. Dante Alighieri a cavallo, con addosso la cotta di maglia di ferro, l'elmo calato in testa, al braccio lo scudo dipinto con i colori della sua famiglia, la spada alla cintura, la lancia in pugno. Non è il modo in cui di solito ci raffiguriamo Dante, ma di solito Dante lo vediamo con addosso una palandrana color porpora, il colore dei laureati. e con in testa per l'appunto la laurea, la corona d'alloro dei poeti, cioè un abbigliamento con cui sicuramente Dante non si è mai fatto vedere in giro. E invece quel giorno era a cavallo in armatura.

Il luogo si chiama Campaldino, è uno slargo nella valle dell'Arno, una piccola pianura in mezzo ai monti del Casentino, lungo la strada che da Firenze discende verso Arezzo. E lì quel giorno si affrontavano i Guelfi e i Ghibellini. Da una parte l'esercito dei Guelfi di Toscana, capeggiato da Firenze, che scendeva a invadere il territorio di Arezzo, e dall'altra l'esercito dei Ghibellini Toscani, capeggiati in quel momento proprio appunto dagli Aretidi.

La battaglia di Campaldino sarà una battaglia decisiva nella storia dell'Italia medievale. È la battaglia che decide definitivamente il trionfo dei Guelfi e l'egemonia di Firenze in Toscana. Ed è un momento importante anche nella vita di Dante. che se lo ricorderà più volte in seguito nell'arco della sua vita. Dante ne parla per esempio in una lettera che noi non abbiamo più, che l'umanista Leonardo Bruni vide nel Quattrocento, e di cui il Bruni ci traduce un passo.

Dico traduce perché la lettera di Dante era sicuramente in latino, tutte le sue lettere che noi possediamo sono sempre in latino. E dunque Dante in questa lettera parlava del fatto che poi, dieci, undici anni dopo, nell'anno 1300, Lui ha occupato per un po' di tempo la carica più importante del comune di Firenze, il priorato. E in questa lettera Dante ci teneva a sottolineare che quando è diventato priore, nell'anno 1300, non era più un ragazzino. Dieci anni prima, a ventiquattro anni, aveva combattuto la battaglia di Campaldino. Dice Dante, dieci anni erano già passati dopo la battaglia di Campaldino, nella quale la parte ghibellina fu quasi al...

tutto morta e disfatta dove mi trovai non fanciullo nell'armi dove ebbi temenza molta Dante sta confessando che quel giorno ha avuto molta paura durante la battaglia e nella fine allegrezza grandissima allegrezza grandissima perché hanno vinto loro hanno vinto i fiorentini ma soprattutto i guelfi e Dante era uno di loro è una di quelle cose che un guelfo fiorentino poteva poi ricordarsi per tutto tutta la vita, io quel giorno c'ero. Spostiamoci un pochino in avanti, di pochissimo tempo, non rispetto a Campaldino, rispetto a quell'anno 1300 a cui Dante faceva riferimento, un anno importantissimo nella sua vita e non solo perché in quell'anno ha avuto l'incarico più importante di tutta la sua carriera politica. Il 1300, lo ricordate, è anche l'anno in cui Dante ambienta, come dire, l'azione della Divina Commedia.

Lui dissemina gli indizi per chiarire che il suo viaggio nell'oltretomba avviene alla fine di marzo dell'anno 1300. Bene, facciamo passare appena due anni, primavera-estate del 1302. Il Valdarno è in fiamme, la guerra è alle porte di Firenze ed è una guerra feroce, fatta di aggressioni, scorrerie, omicidi, gente rapita. rapita, torturata, costretta a pagare un riscato, case, chiese bruciate, bestiame portato via. Chi fa la guerra sono gli esuli, tutti quelli che sono stati cacciati dal comune di Firenze e che adesso vorrebbero rientrarci con la forza.

Sono i ghibellini, esuli da tanto tempo, ma a loro si sono aggiunti anche dei guelfi, i guelfi bianchi, fra i quali Dante. Anche loro sono stati cacciati dai loro rivali, i Guelfineri, e insieme ai Ghibellini adesso stanno facendo la guerra contro la loro città. E i tribunali fiorentini sono pieni in quel momento di processi celebrati contro questi aggressori, contro questi invasori, che compiono ogni sorta di delitti fino alle porte di Firenze.

E questi delitti, i tribunali fiorentini badano bene a chiarire che sono crimini comuni, ma al tempo stesso hanno una matrice politica. che i colpevoli sono ghibellini disperati e masnadieri e uomini di mala condizione e fama. e che i loro delitti sono compiuti al grido muoiano, sempre muoiano i guelfi e Dante appunto era fra di loro e non ci sarebbe da stupirsi se avesse rivestito ancora anche in quell'occasione la cotta di maglia e impugnato la spada perché in una lettera ufficiale che scrive in quel periodo parla delle nostre spade rosse di sangue e non è detto che sia un'immagine Dante non aveva ancora 40 anni Poteva benissimo essere di nuovo lì a cavallo, ma stavolta in mezzo a quelli che facevano la guerra alla Firenze Guelfa, gridando muoiano i Guelfi.

Cos'è che sta succedendo? Com'è possibile che il giovane che esultava per la vittoria dei Guelfi a Campaldino, 12 o 13 anni dopo, sia in guerra contro i Guelfi di Firenze insieme ai Ghibellini? gridando muoiano i guelfi cosa vuol dire essere guelfi e ghibellini a questo punto diciamo che guelfi e ghibellini sono due partiti che nascono a firenze già prima della nascita di dante che dominano la politica fiorentina e che poi negli anni della vita di dante si diffondono in tutta italia nel 300 ormai in tutta italia in ogni città italiana i partiti rivali hanno adottato questi nomi, i Guelfi contro i Ghibellini.

I partiti, loro dicevano le parti, parte Guelfa, parte Ghibellina, ma sono di fatto i partiti. Gli italiani del Medioevo, nella politica feroce dei comuni, hanno inventato il concetto di partito politico, che noi usiamo senza ricordarci più qual è l'etimologia di questa parola, perché viene dal verbo partire, nel senso di dividere. I partiti sono divisioni della cittadinanza, che si combattono.

E cos'è che li tiene insieme? Beh, dipende. Per molto tempo, nell'Ottocento e nel Novecento, i partiti si sono identificati con le ideologie.

E ancora oggi noi inconsciamente tendiamo a pensare che per tenere insieme un partito ci debba essere una ideologia. E quando pensiamo ai partiti di allora, ovviamente, l'ideologia c'è. Perché tutti abbiamo studiato a scuola che i Guelfi sono il partito della Chiesa, i sostenitori del Papa, mentre i Ghibellini sono il partito dell'Impero, i sostenitori dell'Imperatore. Però, però attenzione, perché ci sono anche epoche come la nostra, in cui è evidente che i partiti possono funzionare anche senza un collante ideologico.

I partiti possono essere semplicemente, come dire, il coagularsi di gruppi di interesse. tenuti insieme da legami clientelari, dalla convenienza del momento. E anche i Guelfi e i Ghibellini in realtà sono questo.

Immaginate il mondo dei comuni italiani. Ogni città è uno Stato indipendente che si governa da solo. E sono città piene di soldi.

Governare la città significa gestire un enorme potere e gestire un enorme bilancio. Significa attribuire appalti, spendere soldi. In città si fa politica per arrivare al vertice, per essere fra quelli che decidono come saranno spesi i soldi. Si fa politica per arricchire se stessi, la famiglia, gli amici, il partito e per schiacciare i propri rivali, i propri avversari.

E allora, come dire, in ogni città ci sono fazioni che non hanno nessun bisogno del papato o dell'impero per darsi un'identità. Sono cordate, rivali. Però queste città non esistono nel vuoto. Intorno a loro, nel mondo, c'è uno scontro molto più ampio ed è lo scontro fra il Papa e l'Imperatore. Al tempo di Dante è uno scontro antico.

Da secoli i Papi si sono messi in testa che non è vero che è l'Imperatore che è stato messo da Dio sul trono e deve guidare il mondo cristiano. L'Imperatore deve obbedire al Papa, deve prendere ordini da lui. Soltanto la Chiesa di Roma, il successore di San Pietro.

il successore dell'apostolo. Lui, il Papa, è la vera guida politica e militare anche del mondo cristiano. Da secoli il Papa e l'imperatore sono in competizione per stabilire quale dei due dovrebbe essere considerato da tutti i cristiani come l'autorità suprema.

E dunque, siccome nel loro mondo esiste questo scontro alle fazioni cittadine, a un certo punto viene l'idea di cercare la p***a di uno di questi poteri internazionali. A Firenze, uno dei raggruppamenti di famiglie in competizione per il potere decide di appoggiarsi al Papa e di chiedere la sua protezione. E automaticamente l'altro gruppo finisce per appoggiarsi all'imperatore. Non può fare diversamente.

I Guelfi sono quelli che stanno col Papa, i Ghibellini sono quelli che stanno con l'imperatore. E in ogni città ci si divide allo stesso modo e si decide di aggrapparsi. a uno di questi due riferimenti internazionali che, come dire, offrono parole d'ordine facili. Sostenere che noi siamo il partito della Chiesa, gli amici del Papa, vuol dire che San Pietro è con noi, il principe degli Apostoli, quello che ha le chiavi del Paradiso.

E non solo San Pietro, dietro di lui c'è Gesù Cristo, che ha detto a Pietro, tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa. E dunque per quelli che si apprezzano, appoggiano al Papa è facile dire che gli altri, gli altri sono nemici non solo nostri, sono nemici della Santa Chiesa, sono nemici di Dio in definitiva. Quelli che si attaccano all'imperatore non riconoscono in nessun modo ovviamente di essere nemici di Dio, sono buoni cristiani anche loro come tutti gli altri, ma la loro parola d'ordine è un'altra, l'impero, Roma, Cesare, perché nella loro visione della storia l'impero romano è ancora il punto di riferimento principale.

quando si pensa a chi deve governare il mondo. E dunque, San Pietro contro Cesare, i Guelfi contro i Ghibellini. Ovviamente ci possono essere tanti motivi che spingono un partito in una certa città a buttarsi da una parte anziché dall'altra. A Firenze, a dire il vero, mettersi col Papa è la scelta più facile. Perché Firenze è una città molto ricca, dove ci sono molti soldi, e i soldi vengono prestati, vengono investiti.

Firenze è una città di banche e il più grande cliente di quelle banche è la Chiesa di Roma, una grande multinazionale che ha un enorme potere politico e spirituale, ma il denaro deve farselo prestare. A Firenze è abbastanza naturale pensare che l'alleanza col Papa è il vero destino della città e non a caso a Firenze i ghibellini verranno rapidamente messi in minoranza e alla fine schiacciati. Il destino di Firenze è di essere Guelfa.

Se andiamo da un'altra parte d'Italia, che so, a Verona, sulla strada del Brennero, e beh, i cittadini e i mercanti e i nobili di Verona sanno benissimo che la prosperità della loro città dipende dai commerci con la Germania. E dunque a Verona la scelta vincente è essere ghibellini. Quelli che a Verona si ostinano a essere guelfi sono destinati a essere sconfitti.

E poi naturalmente ci possono anche essere cambiamenti improvvisi di fronte. Quando si scopre che l'interesse ti spinge da quella parte, anche se magari l'ideologia ti spingeva dall'altra. Siena. Siena è l'esempio più classico.

Siena, insieme a Pisa, è il grande avversario di Firenze. È la città che nel 200 contende a Firenze l'egemonia in Toscana. E siccome a Firenze prevalgono i Guelfi, Siena è Ghibellina. E tuttavia, a un certo punto...

I senesi si renderanno conto che essere ghibellini non paga, perché anche loro sono una città di banchieri e anche loro sono coinvolti nel grandioso affare del finanziamento della Chiesa Romana. E così a un bel momento succederà questa cosa, che i senesi continuano a odiare i fiorentini, continuano a ricordarsi, e se la ricordano ancora oggi, la grande battaglia di Montaperti del 1260, cinque anni prima della nascita di Dante. in cui i senesi ghibellini avevano sconfitto disastrosamente i fiorentini guelfi. Ancora oggi, a Siena, brillano gli occhi a tutti quando si pensa alla battaglia di Montaperti, ma pochi anni dopo, però, il comune di Siena decide che ciò nonostante è più conveniente essere guelfi.

Ecco, come vedete, la scelta dell'impero o del papato è una scelta complessa, in cui ci sono tanti elementi, ma gli aspetti dominanti... come dire, sono la convenienza politica, che può essere una convenienza di lungo periodo o la convenienza del momento. L'ideologia in confronto passa in secondo piano.

Questa cosa, che quando pensiamo ai Guelfi e ai Ghibellini dobbiamo stare attenti a non pensare che siano partiti fondati su una solida ideologia, questa cosa la storiografia, come dire, a un certo punto l'ha scoperta e nessuno l'ha detto meglio. di un grandissimo storico italiano di un secolo fa, Gaetano Salvemini, grande storico, grande meridionalista. Ecco, Gaetano Salvemini in un libro del 1899, che è uno dei capolavori della storiografia italiana, magnati e popolani nel comune di Firenze.

chiarisce questa cosa dei Guelfi e dei Ghibellini in modo così limpido che io non posso fare nient'altro che leggere quello che ha scritto lui. Salvemini se la prende con gli storici del suo tempo che non solo pensano a Guelfi e Ghibellini come a partiti ideologici, amici del Papa e amici dell'Imperatore, ma sono anche dominati, siamo alla fine dell'Ottocento, dall'idea che gli italiani del tempo di Dante avessero comunque come problema l'unità d'Italia. È un'idea anacronistica, ci avverte Salvemini.

Nell'opinione universalmente accettata, i Ghibellini sono sostenitori dell'unità d'Italia sotto lo scettro imperiale. I Guelfi lottano per l'indipendenza nazionale dall'impero e per la libertà del papato. Questa teoria è sbagliata da cima a fondo. Guelfi e Ghibellini sono partiti locali.

che combattono per ragioni locali, indipendenti dalla lotta fra papato e impero, alla libertà, all'indipendenza, all'unità italiana, ai diritti del papa o dell'imperatore. Essi non ci pensano nemmeno. Il solo scopo che li preoccupa è il dominio del comune, da cui cercano di escludersi a vicenda.

Si dicono Guelfio Ghibellini, secondo che sperano... di essere aiutati nella loro politica dal Papa o dall'Imperatore, ma non esitano a mettersi contro i Guelfi contro il Papa, i Ghibellini contro l'Imperatore, se appena la convenienza li spinge in quella direzione. Ora, questa cosa che la storiografia italiana moderna ha scoperto nel 1899 grazie al genio di Salvemini, in realtà gli uomini del Medioevo l'avevano capita già benissimo.

Lo dice molto chiaramente nel Trecento il più grande giurista italiano di quell'epoca, Bartolo da Sassoferrà, che è uno di quei grandi giuristi medievali, che sono grandi ai nostri occhi perché non cercano di incasellare la realtà dentro le formule rigide, preconfezionate del diritto, no. Cercano di capire come funziona la realtà, di descriverla usando termini giuridicamente corretti. E allora Bartolo... Bartolo da Sassoferrato, quando parla dei Guelfi e dei Ghibellini, ha chiarissimo che sono nomi a cui si rimane attaccati perché per un insieme di motivi tu ti sei messo coi Guelfi.

E tutto lì, oggi si dice Guelfo, colui che aderisce a quella parte che si chiama parte Guelfa. E si dice Ghibellino, chi aderisce a quella parte che si chiama parte Ghibellina. Come dire, è volutamente piatto, tautologico, Bartolo. E in questo comunemente non si ha riguardo alla chiesa o all'impero, ma soltanto a quelle fazioni che vi sono nella città o nella provincia.

E Bartolo dice anche un'altra cosa, ancora più forte, che è perfettamente possibile che una stessa persona sia guelfa in una città e ghibellina se va in un'altra città, perché dice, supponiamo che in una città ci sia un tiranno. Nel 300 ormai tante città italiane non sono più liberi comuni, ma hanno accettato quella che noi in storiografia chiamiamo la signoria. Si dice il passaggio dal comune alla signoria. La signoria vuol dire l'uomo forte, l'uomo forte che mette fine alla libera competizione politica garantendo che lui darà la pace, la tranquillità, la concordia e chi disturba verrà fatto sparire.

Ecco, dice Bartolo. Supponiamo che in una città ci sia un tiranno che è di parte guelfa. Allora un bravo uomo che vuole combattere per la libertà e che si batte contro il tiranno, in quella città si dirà Ghibellino.

Ma immagina che vada in un'altra città dove il tiranno è Ghibellino. Quello stesso bravo uomo, a quel punto, cercherà l'alleanza dei guelfi e si dirà Guelfo. Quindi, insomma...

Quindi insomma vogliamo dire che l'appartenenza alle parti non ha niente di ideologico? C'è una sola correzione da fare ed è questa, che l'appartenenza a un partito è qualche cosa che tende a tramandarsi in famiglia. E in famiglia si respira l'ideologia di quel partito, non tanto nel senso noi stiamo per il Papa o noi stiamo per l'Imperatore. Ma nel senso noi, noi siamo i migliori, noi siamo quelli che hanno ragione, noi siamo i patrioti, noi siamo gli amici della libertà e quegli altri sono delle canaglie, sono dei delinquenti. Quando si cresce in questo clima è difficile poi uscirne.

Le persone appartengono ai Guelfi o ai Ghibellini perché i loro padri e i loro nonni sono stati Guelfi o Ghibellini. E devo dire che è una cosa che mi ricorda molto quello che succede nell'Italia di oggi, dove tanto tempo dopo il fascismo e la resistenza, in tante famiglie italiane, l'appartenenza politica è ancora dettata dalle scelte che i padri e i nonni hanno fatto a quell'epoca. E in tante famiglie italiane si parla bene del regime e male dei partigiani perché il nonno a quell'epoca stava da quella parte o viceversa.

Ecco, i Guelfi e i Ghibellini sono un po' la stessa cosa. Diventa, come dire, un'identità, diventa un attaccamento familiare. C'è una pagina straordinaria di Dino Compagni, cronista fiorentino dell'epoca, contemporaneo di Dante. Dino Compagni racconta proprio questi avvenimenti di cui stiamo parlando noi oggi e racconta che a un certo punto nel pieno dello scontro è arrivato a Firenze un cardinale mandato dal Papa per provare a fare la pace fra i partiti e questo cardinale ha proposto ai Guelfi che governavano Firenze di far entrare in città una delegazione di Ghibellini, esuli da tanto tempo per negoziare con loro una pacificazione.

E in città è arrivata davvero una delegazione di Ghibellini. Erano famiglie che non stavano più in città da 50 anni. Arrivano a Firenze alcuni rappresentanti degli Uberti, la più grande famiglia nobile di Firenze, Ghibellina, e quindi ormai in esilio da tantissimo tempo.

Degli Uberti riparleremo, teneteli a mente, ricordatevi. Farinata degli uberti che Dante incontra nel Decimo dell'Inferno. Ebbene, sono 40 anni esattamente che non si vede in Firenze uno degli uberti. E gli uberti adesso entrano, ovviamente con i loro cavalli, con ricamato sulla gualdrappa lo stemma della famiglia, con i loro servitori, con la livrea della famiglia, i loro scudi con gli stemmi della famiglia.

E dice Dino Compagni, in quel momento molti antichi ghibellini, uomini e femmine, baciavano l'arme degli uber. Cioè in una città dove da 40 anni governano i guelfi, ci sono ancora dei ghibellini nascosti, o che perlomeno stanno ben zitti. Magari tutti sanno che sono ghibellini, ma stanno ben zitti e non possono certo partecipare alla politica cittadina.

Ma adesso che per la prima volta vedono passare per le strade di Firenze l'insegna degli uberti, corrono a baciarla. Uomini e donne. In una città dove la politica la fanno gli uomini e le donne stanno a casa.

Ma l'appartenenza di partito è qualcosa che coinvolge l'intera famiglia. Il bello è che questi partiti hanno dei nomi di cui nessuno sa bene quale sia l'origine. Guelfi e Ghibelli. Noi lo sappiamo e non è, devo dire, un'etimologia molto soddisfacente, però è quella, senza alcun dubbio.

Sono etimologie che vengono dalla Germania, come dalla Germania venivano gli imperatori della casa Sveva, a cui i ghibellini si erano appiccicati, Guelfi. In Germania c'è una dinastia di principi, grandi principi, sono stati duchi di Sassonia, duchi di Baviera. Nella loro famiglia è molto frequente il nome di battesimo Welf, Guelfo. Perciò collettivamente questi principi, questo lignaggio, sono chiamati i Welfen e sono da sempre nemici degli Svevi, nemici di Federico Barbarossa, di Federico II, della famiglia imperiale, in quanto nemici dell'imperatore, i Welfen, trasmettono il loro nome ai nemici italiani dell'imperatore che si chiamano i Guelfi.

E fin qua torna ancora. Il caso dei Ghibellini è ancora più strano perché c'è effettivamente un castello che appartiene alla famiglia imperiale sveva, questo castello si chiama Waiblingen e da lì viene il nome dei Ghibellini per identificare i sostenitori italiani della dinastia sveva e dell'impero. Ora queste cose le sappiamo noi, ma non è detto che all'epoca le sapessero. Qualcuno, a dire il vero, ha la sensazione che deve trattarsi di parole tedesche. Lo sa, per esempio, uno dei primi commentatori della commedia di Dante, Jacopo della Lana.

Sapete che la commedia era già letta ampiamente e celebrata come un capolavoro già prima che Dante morisse, quando avevano letto solo l'Inferno e il Purgatorio, il Paradiso stava appena cominciando a uscire un pezzo per volta ed era già famoso Dante per questo e di conseguenza subito dopo la morte di Dante cominciano a uscire commenti alla commedia, è un fenomeno letterario unico nella storia della letteratura europea. Uno di questi commenti, nella prima metà del Trecento, lo scrive il bolognese Jacopo della Lana. E Jacopo della Lana si ricorda che questi nomi dei Guelfi e dei Ghibellini sono nomi di origine tedesca.

E lui sa questa storia che in un momento in cui in Firenze comandavano gli amici dell'imperatore, capeggiati dagli Uberti, e beh, gli Uberti hanno fatto venire in Firenze dei cavalieri tedeschi dell'imperatore. per sostenere il loro potere. E dice Jacopo della Lana, questi cavalieri tedeschi se ne andavano in giro per Firenze e domandavano le persone sei tu Ghibellino? E qui Jacopo della Lana precisa, c'era questo castello dell'imperatore che si chiamava così.

Poi è bellissimo perché Jacopo della Lana a questo punto come dire, cerca di rappresentare i tedeschi che parlano male l'italiano. Se li era risposto sì, dicevano esserti buono uomo. Se li era risposto non son Ghibellino, si dicevano adunque va esserti gvelf, che è a dire cane in tedesco. E sì, li facevano grandi villanie. Vedete anche la competenza di Jacopo della Lana si ferma a un certo punto.

Sul castello di Weiblingen, come etimologia del nome Ghibellino, c'è arrivato. Su Welf si è perso, si immagina che sia un insulto in tedesco. Ci sono altri autori che vanno ancora più lontano nel cercare di immaginare da dove possono venire queste due strabilianti parole. Vi cito un esempio volutamente molto terra-terra, l'interpretazione più bassa che si può immaginare e ve la cito per il piacere di leggere qualche riga di uno dei più straordinari autori.

autori dell'Italia del Trecento, un autore che non tutti conoscono forse, di cui non conosciamo neanche il nome noi peraltro, infatti si chiama l'Anonimo Romano. L'Anonimo Romano è un cronista che alla metà del Trecento scrive una meravigliosa cronaca, meravigliosa perché fra l'altro scrive in volgare, ma non il volgare fiorentino a cui siamo abituati. L'Anonimo Romano scrive nel dialetto che si parlava nella città di Roma. e che non assomiglia granché, diciamolo fra parentesi, al romanesco di oggi. I linguisti dicono che è molto più vicino al napoletano attuale.

Ecco, l'anonimo romano, che è una persona dotta, sembra di capire dal suo testo non solo che è nobile, ma che è laureato in medicina all'Università di Bologna, è però sull'origine di quelle che lui chiama le maledette parti, ha questo racconto. che io vi leggo appunto per farvi sentire questa lingua meravigliosa, anche se pronunciata con accento piemontese, non è l'ideale. In questo tiempo fuorofatte quelle maladette parte, guelfi e gebellini, li quali non erano stati nanti, prima non c'erano.

Una sera, quando la gente lascia opera, quando la gente lascia il lavoro, priesso allo cenare, nella città de' Fiorenza si appicciarono doi cani, cioè cominciarono a litigare due cani. Avete già capito come va a finire? L'uno abbe nome Guelfo, l'altro Gebellino. Forte se stracciavano.

A questo rumore de' doi cani la moita Iovinaglia trasse, cioè uscì fuori. un gran numero di giovinastri, i quali cominciano a fare il tifo, l'uno per il cane Guelfo e l'altro per il cane Ghibellino, parte favorava allo Guelfo, parte allo Ghebellino e da qui, dice l'anonimo romano, nasce la grande divisione che prima spacca Firenze e poi spacca l'Italia. Ci sta prendendo in giro?

Va a sapere, oltretutto il brano a un certo punto è mutilo, si interrompe il manoscritto, non sappiamo come andava a finire. Forse ci sta prendendo in giro, sta dicendo guarda come da cose insignificanti possono nascere grandi conseguenze, no, forse sta dicendo veramente c'è qualcosa di assurdo in questo odio che noi italiani abbiamo messo nella nostra lotta politica. Va a sapere, certo è che l'odio è la cosa che loro notano di più.

Quello che li colpisce è la ferocia della lotta politica. La ferocia con cui se sei guelfo, e lo abbiamo detto, non sei guelfo perché ti piace il Papa, quello è secondario. Sei guelfo perché tuo padre e tua nonna erano guelfi prima di te. E allora tu odi i ghibellini e li vorresti sterminare. E allora l'ipotesi più diffusa sull'origine di questi nomi e che Guelfo e Ghibellino siano i nomi di due diavoli, di due demoni, che sono usciti dall'inferno proprio per trascinare l'Italia nel bar.

Questo fatto dell'odio colpisce molto gli intellettuali e gli ecclesiastici dell'epoca. Vi cito un passo da Giordano da Pisa, un predicatore del tempo di Dante. Un predicatore, sapete, non vuol dire soltanto un frate domenicano.

ma vuol dire una persona che è stata addestrata specialmente per parlare alla gente. La predicazione è un ambito in cui la Chiesa di quell'epoca investe moltissimo. Deve combattere gli eretici, i predicatori clandestini, quindi addestra questi grandi predicatori che fanno delle vere e proprie tournées, popolarissimi, la gente si prenota, accorre, sta per ore ad ascoltarli. Questi predicatori sono un po' una coscienza della società. Giordano da Pisa a un certo punto in una delle sue prediche parla dell'odio e dice questo Or noi avemo trovati uomini che sono di parte, Guelfi e Ghibellini, che vorrebbe volentieri, se potesse, in un tratto uccidere tutti gli uomini dell'altra parte.

Tutti li ucciderebbe a un tratto, se potesse. Quello che sta dicendo Giordano da Pisa è che tanti guelfi e tanti ghibellini, se gli venisse detto guarda, schiaccia questo bottone, diremmo noi oggi, e moriranno tutti quelli dell'altro partito, oh, tanti di loro lo farebbero, di corsa. Le parti, insomma, sono una maledizione.

Vengono sempre citate così da tutti, le maledette parti. Il bello è che i cronisti che usano questa espressione sono di parte anche loro, di solito. I cronisti fiorentini, Giovanni Villani, grande cronista fiorentino del Trecento, Guelfo, cronista Guelfo di una Firenze Guelfa, e però non nomina mai le parti senza dire le malade. Il maestro di Dante, Brunetto Latini, il grande intellettuale della Firenze e della generazione prima di quella di Dante, l'uomo che ha insegnato ai fiorentini la politica, la filosofia, l'arte di fare discorsi, ai fiorentini Guelfi. Brunetto Latini metra panse di una Firenze guelfa, però quando parla delle parti dice che sono una malattia, una malattia che è nata a Firenze e che purtroppo è contagiosa e che ormai si è sparsa in tutta Italia, anzi per tutti i cristiani.

Quindi noi siamo di fronte al paradosso di un'Italia medievale in cui chiunque faccia politica lo fa dichiarandosi apertamente. Guelfo o Ghibellino dove al tempo stesso è diffusa l'idea che queste parole sono parole orrende, sono parole che sarebbe stato meglio se non fossero state trovate e c'è tutto un tentativo di cancellarla. Nell'Italia del 300 e poi del 400 ma ancora più tardi, ancora nel 500, ci sono città e ci sono principi che emanano leggi, decreti, gride dicendo Vietato d'ora in poi menzionare i Guelfi e i Ghibellini, vietato usare queste parole, perché appena si usano queste parole comincia la guerra civile, la discordia.

E tuttavia non ci si riesce. Vi faccio un esempio, dato che siamo qua al Teatro Regio di Torino, vi faccio un esempio piemontese. All'inizio del Quattrocento, Ludovico di Savoia, principe d'Acaia, che governa il Piemonte, emana uno di questi editti. in cui vieta di pronunciare i nomi di Guelfo e Ghibellino, che secondo il suo editto, no, questi nomi traggono origine da quei due dannati principi degli inferi, Ghibell e Guelf. Il principe è uno di quelli che credono che sono nomi di diavoli.

Dopodiché, il principe Ludovico d'Acaia un bel giorno fa una piccola guerra contro i marchesi di Saluzzo, la vince, Prende un castello, il castello di Pancalieri, qualcuno scrive una canzone per celebrare questa vittoria. La cito perché questa canzone, conservata in un manoscritto del 1410, è uno dei primissimi esempi in cui viene scritto il dialetto piemontese. E celebrando la presa del castello da parte del principe D'Acaia, l'autore dice che a quel punto tutti gridavano Viva l'Uprinsi e part'verfa! Viva il principe e parte guelfa! Insomma, non se ne esce.

possa vietare anche solo di pronunciare questi nomi, gli italiani ragionano così. E ragionare così significa naturalmente essere in preda alla faziosità ideologica più totale. Perché ognuno delle due parti racconta ai propri figli e ai propri nipoti che noi, appunto lo dicevo già prima, ridiciamolo, noi siamo quelli che hanno ragione, noi siamo quelli buoni, noi siamo i patrioti. e gli altri sono malvagi, seminatori di scandali.

Alla fine del Trecento a Firenze c'è un grande giurista, Lapo da Castiglionchio, una delle colonne del partito Guelfo. E Lapo da Castiglionchio non ha problemi a scrivere cose di questo tipo. Dice, se vai a vedere nella storia, troverai coloro che sono stati Guelfi essere stati sempre uomini pietosi.

e misericordiosi, pacifici e mercatanteschi, cioè amici di una pace che permetta alla città di prosperare nei commerci, e desiderosi di vivere in libertà e a comune e a popolare Stato e sotto la riverenza di Santa Chiesa e gli altri, del numero di Ghibellini, essere stati uomini feroci, superbi, pieni di scandali, di sedizioni. di subversioni e che mai, dove avessero maggioranza, non vollero tenere popolare Stato, cioè nemici della democrazia, diciamo noi, crudeli e ostinati nei loro odi, eccetera, eccetera, eccetera. Come vedete, crescevano in questo clima, accati al partito come un pezzo fondamentale della loro identità.

E questo spiega anche come mai... Quando Firenze diventa definitivamente Guelfa, la lotta contro i Ghibellini non si interrompe. I Ghibellini ormai a Firenze non ci sono più.

Al tempo di Dante bisogna andarli a cercare. Sì, sono quei vecchi che dopo 40 anni corrono a baciare le armi degli uberti, ma in realtà non esiste più una forza organizzata ghibellina in Firenze. Parlare di Ghibellini a Firenze nel 300 è come parlare di comunisti oggi negli Stati Uniti.

Una volta c'erano, poi... poi adesso non ci sono più e però nel discorso pubblico si continua a parlarne c'è ancora l'ossessione di trovare i comunisti i ghibellini nascosti si fanno le liste e il partito Guelfo accampato in piena città, cioè tuttora a Firenze si visita palazzo di parte Guelfa, il partito Guelfo vigila sull'ortodossia ideologica sulla purezza ideologica della città e fa le liste dei cittadini che sono sospetti di essere ghibellini e che quindi vanno tenuti lontani dal potere. E questa è la Firenze in cui cresce Dante.

Una Firenze guelfa, dove se sei ghibellino sei schedato e non puoi accedere a nessun incarico politico. E questa è la città in cui Dante a un certo punto, verso i 25-30 anni, scopre che la politica gli interessa e molto. e decide di farla.

Ora, il governo di Firenze è un governo popolare, come dicono loro, un governo largo, a cui tantissimi cittadini possono prendere parte. Chiunque abbia un'impresa, anche solo una botteguccia, e paghi un po' di tasse, può buttarsi in politica, far parte dei consigli. Poi ci sono i cittadini più agiati, che lo fanno non solo occasionalmente, ma che ci tengono e che sono sempre presenti fra quelli che decidono.

Dante è uno di questi e quindi è Guelfo, non potrebbe essere altro, Guelfo, ortodosso, però il problema è che noi abbiamo detto prima che i partiti nei comuni italiani nascono perché c'è da arraffare il potere, i partiti nascono per impadronirsi del potere, delle poltrone, per poter essere loro a distribuire gli appalti, a controllare i finanziamenti. a dare gli incarichi. E quando in Firenze rimane un partito unico, parte Guelfa, Sarebbe tanto bello se riuscisse a gestire il potere, come dire, senza ulteriori spaccature, senza ulteriori conflitti, ma non funziona così.

I Guelfi e i Ghibellini erano nati perché in ogni città era inevitabile che si formassero gruppi di potere concorrenti, cordate rivali. Ora, se in una città uno dei due partiti si estingue, l'altro inevitabilmente si spacca. Sono tutti Guelfi e fra i Guelfi ci sono gruppi.

Gruppi di potere e cordate rivali. Al tempo di Dante le cordate si coagulano intorno ai gruppi bancari, perché il grande affare, lo ricordate, è il finanziamento del Papa, della Chiesa Romana. E ci sono due gruppi di banche concorrenti. Ci sono la banca dei cerchi e la banca degli spini e degli scali. E intorno alla banca dei cerchi si coagula un gruppo di grandi famiglie nobili e popolane.

E fra questi gli Alighieri e Dante. E intorno alla banca degli Spidi si coagula un altro gruppo rivale. Sono i Cerchi da una parte, gli Spini, gli Scali, ma i loro capi politici sono i Donati. E quindi è la fazione dei Cerchi e la fazione dei Donati.

Guelfi tutti. Poi si inventano dei nomi. Quelli dei Cerchi, e Dante sta con loro, diventano i Guelfi Bianchi.

E gli altri sono i Guelfi Neri. In questa spaccatura la città ripiomba nella guerra civile. Il fatto che i Guelfi hanno trionfato, che la minaccia Ghibellino ormai è svanita, non vuol dire niente.

Si ricomincia lo stesso meccanismo fra i bianchi e i neri. E c'è un arbitro, che è il Papa. Perché tutti i Guelfi, ufficialmente, come dire, ostentano reverenza e obbedienza verso il Papa, anche se poi, lo abbiamo detto, fanno in realtà tutto quello che vogliono.

L'arbitro è il Papa, e il Papa in quel momento è uno dei papi più temibili che abbiamo incontrato sul soglio di Pietro nel Medioevo, Bonifacio VIII. E Bonifacio VIII ha fatto la sua scelta. Un Papa di solito non è contento del fatto che i Guelfi siano divisi. Infatti continuamente mandano dei cardinali a Firenze per cercare di rappacificarli, di mettere d'accordo i bianchi e i neri.

Ma in realtà Bonifacio VIII la sua scelta l'ha fatta. Lui e i cardinali che lo hanno eletto sono legati alla banca Spini e quindi ai guelfi neri. E Bonifacio VIII a un certo punto comincia a sentirsi dire dai guelfi neri che i loro nemici, i bianchi, non sono veri guelfi, non ci si può fidare di loro. Se a Firenze comandano i bianchi c'è il rischio che tornino i ghibellini e questi sono discorsi che fanno sempre effetto. E' così.

E così succede, come dire, l'avvenimento che è il punto di partenza e il punto d'arrivo di questo nostro discorso di oggi. La presa di potere dei Guelfi Neri nella Firenze del 1301. Come funziona? Funziona inevitabilmente con l'uso della forza.

Questo è uno di quei casi in cui, nonostante ci sia un sistema politico complesso, fatto di tanti consigli, tante nomine, giunte, comitati, che siedono per qualche mese o ancora per meno tempo, elezioni, votazioni, discorsi e però la violenza aleggia sempre. Quello è un mondo dove la tentazione del ricorso alla violenza è sempre presente e quello che succede in questo caso è che il Papa dà ascolto ai guelfi neri e decide di rovinare i guelfi bianchi che in quel momento sono i più forti in città. Ricordate che abbiamo detto che nell'anno 1300 Dante tocca il vertice della sua carriera politica.

Arriva all'incarico più importante, quello di Priore. I Priori erano la massima magistratura del comune di Firenze. Così importante che restavano in carica soltanto due mesi, perché non volevano che nessun cittadino potesse accumulare troppo potere.

Nell'estate del 1300 Dante è Priore, i Guelfi bianchi prevalgono e a Roma i Guelfi neri sussurrano agli orecchi del... Papa, signore attenzione perché quelli in realtà sono criptoghibellini. Il Papa decide di rovinare i guelfi bianchi e portare al potere i neri. Come fare? Ci vuole la forza.

Chi te la dà la forza? Al Papa nel Medioevo tradizionalmente la forza la dà il Regno di Francia, da sempre grande alleato del papato. E nell'anno 1301 per puro caso c'è un esercito di cavalieri francesi che sta scendendo verso l'Italia.

è al comando di un fratello del re di Francia, Carlo di Valois, e scende in Italia per andare a conquistare la Sicilia. Ci vorrebbe un po' di recupero della storia medievale che abbiamo imparato a scuola. Ricordate tutte quelle guerre, battaglie ed ate nel 1266 Carlo d'Angiot che scende in Italia, vince la battaglia di Benevento, uccide il re Manfredi che Dante poi incontrerà in Purgatorio.

e si impadronisce del regno di Sicilia, tutta l'Italia meridionale. E poi, dopo qualche anno, perde la Sicilia, i Vespri siciliani. E da quel momento il Papa, la Francia e i Guelfi non smettono di pensare a come riprendersi la Sicilia. Nell'anno 1301 Carlo di Valois, fratello del re di Francia, scende in Italia con un esercito, con la benedizione del Papa, per andare a rioccupare la Sicilia. Ma mentre discende la penisola, il Papa fa sapere al governo di Firenze che il principe francese e i suoi cavalieri verranno a trovarli a Firenze e si fermeranno un po' lì.

Come fare a dire di nuovo al Papa? Ufficialmente è lui il punto di riferimento internazionale del guelfismo, lui la casa di Francia. Il governo di Firenze dichiara che loro sono contentissimi. di ospitare il principe francese e il suo esercito.

In città in realtà c'è tensione, molti hanno paura, molti hanno capito perché stanno davvero venendo a Firenze questi francesi. Molti fanno finta di non aver capito, molti stanno cominciando a pensare di cambiare casacca, qualcuno affila le spade in segreto. Dante viene mandato a Roma da Bonifacio VIII per cercare di capire cosa davvero ha in mente il Papa. E mentre Dante è assente, Carlo di Valois entra a Firenze, prende possesso della città, mette i suoi uomini a guardia delle porte, nella cerchia delle mura cittadine, lo accolgono con grandi festeggiamenti, un principe della casa di Francia, mandato dal Papa, in realtà la tensione è al massimo. Dopo qualche giorno i neri cominciano le aggressioni, gli omicidi, i saccheggi.

E il principe francese, che con i suoi cavalieri ormai controlla la città, lascia fare. E a quel punto è tutto chiaro. Per qualche giorno si scatenano appunto le bande in città. Ammazzano, bastonano, tanti scappano.

Le case di tutti i personaggi importanti del Partito Bianco vengono assaltate, svuotate, saccheggiate dal popolo. Però questa è la casa di Dante. Boccaccio racconterà in seguito che la moglie di Dante, Gemma, quando capisce cosa sta per succedere ricordate Dante è a Roma, a Firenze è rimasta la moglie Gemma quando capisce cosa sta per succedere riesce a mettere in salvo delle casse, dei bauli che contengono cose di Dante i suoi libri, le sue carte c'è una leggenda secondo cui molti anni dopo da quei bauli usciranno fuori i primi sette canti della Divina Commedia che Dante aveva già scritto si dice, e che poi credeva di aver perduto per sempre. Non sappiamo se è vero, forse no, ma certo è che quei bauli messi in salvo in un convento sono tutto quello che si salva dei possedimenti di Dante.

E anche in campagna Dante era un cittadino agiato, possedeva dei poderi in campagna, con i mezzadri che li lavoravano e che ogni anno venivano a portare al padrone l'affitto, il suo grano, il suo vino, il suo olio. Anche i poderi vengono assaliti, saccheggiati. le viti tagliate, gli ulivi tagliati, le case bruciate. Molti anni dopo c'è un inventario di uno dei poderi che erano appartenuti a Dante dove ancora si dice in questo podere ci sono case bruciate e case non bruciate. E Dante era partito da Firenze per andare in ambasciata a Roma senza immaginare che non sarebbe mai più rientrato.

Ha perso tutto. ha perso la sua posizione sociale, la sua cittadinanza, il suo ruolo politico, la casa, la moglie, tutto quello che aveva. Non ci tornerà mai più a Firenze. E non solo non torna perché non osa, temendo la violenza dei vincitori, ma quasi subito gli viene anche ufficialmente vietato di rientrare. Perché questo è l'altro aspetto affascinante della presa del potere dei Guelfi neri in quella Firenze della fine del 1301. Fino a quel momento, quando un partito prendeva il potere in una città, cacciava tutti gli avversari.

È un fenomeno impressionante nell'Italia medievale. Nell'Italia medievale capita continuamente che in una città c'è un colpo di Stato, un rovesciamento di regime e centinaia, se non migliaia, di capifamiglia, di maschi adulti sono costretti ad andarsene e vivono in esilio per tutta la vita o fino a quando non riescono a rientrare con la forza e cacciare gli altri. Ora, queste cose fino a quel momento si facevano senza preoccuparsi di giustificarle.

Noi abbiamo vinto e cacciamo via quegli altri. Si facevano gli elenchi, con i nomi di tutte le famiglie da buttare fuori, senza nessuna giustificazione di nessun tipo. Ma nell'anno 1301 il mondo è diventato più sofisticato. I guelfi neri che hanno preso il potere a Firenze hanno la sensazione che si può fare qualcosa di meglio. che non puoi più semplicemente cacciare la gente dicendo noi abbiamo vinto e li buttiamo fuori.

Per la prima volta nella storia di Firenze, dopo il colpo di Stato del 1301, i vincitori mettono in piedi dei processi in cui accusano i capi del partito avverso, i capi dei guelfi bianchi, li accusano di corruzione, di malversazioni. Ora non ho una parola per designare tutto questo. Quello che era la dannazione della politica italiana nel 2300. Loro chiamano baratteria, appunto, le bustarelle, il traffico di nomine, il favorire gli amici, le spese in debite di fondi pubblici. E i guelfineri vincitori mettono in piedi una serie di processi accusando i leader più importanti dei bianchi di essere stati colpevoli di tutte queste cose.

E anche Dante viene processato in un regolare processo dopo un'inchiesta. Ora, sono processi politici, sì, senza dubbio. Sono processi politici con cui i vincitori si sfogano e gettano, come dire, le fondamenta giudiziarie per l'esilio perpetuo dei loro nemici.

Ma formalmente sono processi corretti, fatti secondo tutte le regole, con precisi capi d'accusa. E allora noi devo dire che ci troviamo un po' di fronte a questo dilemma. Perché certo immaginare Dante colpevole di corruzione, di traffico di nomine, di aver preso bustarelle, ecco, è un po' dura.

Però è anche vero che non tutti quelli che sono stati in carica insieme a lui vengono accusati. I processi vengono montati evidentemente contro alcuni politici che perlomeno, diciamo, non sembra assurdo, ecco, accusare di quelle cose. Dante sì, altri no.

E allora viene in mente che quando Dante nell'inferno incontra i barattieri, i politici corrotti, e contro di loro sfoga un rancore che lo fa veramente apparire come un uomo integerrimo invece. I barattieri sono il peggio del peggio, nuotano nella pece bollente. Però in quel momento, quello è il momento durante tutto il viaggio all'inferno, in cui Dante ci dice che si è accorto che i diavoli che sono di guardia lì nella bolgia dei barattieri, questi diavoli che si chiamano i malebranche, sono pronti ad acchiappare anche Dante e buttarlo giù insieme a tutti gli altri. È il momento in tutto il viaggio all'inferno in cui Dante dichiara di aver più paura perché vede che se non sta attento e mette un piede in fallo... I diavoli lo abbrancheranno appunto e lo precipiteranno giù insieme agli altri barattieri.

Gli altri, è venuto a me di dire gli altri, però Dante ci sta dicendo ci sono andato molto molto vicino. E dunque Dante non torna più a Firenze e viene rapidamente condannato in contumacia. Se dovesse tornare a Firenze è condannato a morte sul rogo. E che cosa fa a questo punto?

Fa quello che fanno tutti i politici che vengono cacciati dalla loro città nell'epoca dei comuni medievali e cioè per prima cosa prova a vedere se non è possibile tornare con la forza. Quegli altri hanno vinto ma i cavalieri francesi di Carlo di Valois dopo un po' se ne vanno e noi siamo fuori e siamo in tanti e siamo in tanti perché oltre ai guelfi bianchi appena cacciati e ci sono anche i ghibellidi che sono fuori da tanto tempo. E i ghibellini sono i nostri nemici perché noi siamo guelfi, integerrimi. Però lo sanno anche loro, lo sanno anche nel XIV secolo, che in politica il nemico del mio nemico può essere mio amico.

E così i Guelfi Bianchi, cacciati da Firenze, la prima cosa che fanno è prendere contatto con i loro nemici, i Ghibellini, e vedere se insieme possono provare a tornare con la forza. L'8 giugno 1302, nel castello di San Godenzo, fra il Mugello e il Casentino, si tiene una riunione importante a cui partecipano leader del partito Guelfo Bianco appena esiliato, e i capi della parte ghibellina in esilio da tanti decenni. Quel giorno si siedono allo stesso tavolo e firmano insieme un documento Fiorentini a Guelfi, appena fuggiti da Firenze, e fra loro Dante, e Fiorentini-Ghibellini, che Firenze non la vedono appunto da 40 anni, fra cui parecchi degli Uberti, fra cui Lapo degli Uberti, figlio di Farinata degli Uberti, il mitico capo dei Ghibellini, morto da tanto tempo.

Quel giorno Dante è lì, seduto allo stesso tavolo, insieme con il figlio di Farinata degli Uberti. E sono loro che in quei mesi fanno la guerra contro Firenze, al grido di muoiano i Guelfi, con le loro spade insanguinate, le nostre spade rosse di sangue, come dice Dante in un testo scritto appunto in quel periodo. E dunque... E dunque sono diventati i Ghibellini all'improvviso. Aveva ragione il Foscolo, che chiamò Dante il Ghibellin fuggiasco.

Avevano ragione i loro nemici, che ovviamente subito approfittano di questa cosa. Vedi che avevamo ragione a sospettare dei bianchi. Non erano veri Guelfi, erano traditori. Tant'è vero che si sono alleati con i Ghibellini, appena han potuto.

C'è un sonetto di un fiorentino, Guido Orlandi. che irride appunto i bianchi come Dante, che appena cacciati in esilio hanno cambiato bandiera, che furongo Elfi ed Orson Ghibellini, da ora innanti siandetti ribelli, nemici del comune, come Gliubert. Dopodiché?

Dopodiché cosa è successo? È successo che ha prevalso per un momento la realpolitik, la politica e l'arte del possibile. Mi posso alleare con chiunque.

Dante e gli altri bianchi si sono alleati con i Ghibellini. Ma è durato poco, perché non ha funzionato. Il tentativo di rientrare a Firenze con la forza fallisce.

Dopo due anni di guerra è evidente che il regime nero a Firenze è solidissimo e che gli esuli non sono in grado di sconfiggerlo. È il momento in cui litigano tutti. E Dante litiga con tutti. Li lascia, li abbandona, se ne va da solo.

Dirà poi, farò parte per me stesso. Cioè farò il mio partito. Un partito di un solo uomo. E a questo punto, a questo punto Dante deve cominciare a pensare che se vuole rientrare a Firenze è lui vuole, è la cosa che vuole di più nella vita. E visto che non ci è riuscito alleandosi coi Ghibellini dovrà riuscirci chiedendo scusa.

chiedendo scusa al regime dei Guelfi neri e dichiarando che lui è pentito e che in realtà lui è sempre rimasto Guelfo, che lui è un vero Guelfo, non devono credere a quel momento di sbandamento. Ci sono canzoni di Dante scritte in quegli anni che danno proprio la sensazione del pentito che sta cercando di farsi perdonare quello che ha fatto e c'è il decimo dell'inferno in cui Dante incontra Farinata degli Ubers. Ed è un momento straordinario in cui Dante, costruendo una delle grandi scene della Divina Commedia, però la usa, come dire, per rifarsi una verginità ideologica, guelfa, a se stesso e alla propria famiglia. Ricordate come funziona, Farinata degli Uberti è il grande capo nemico, morto da tanto tempo.

Sente passare Dante che parla con Virgilio, Farinata si rende conto che quello è... è un suo compatriota riconosce l'accento fiorentino per cui si tira su e lo chiama o tosco che per la città del fuoco eccetera eccetera dante si spaventa ma virgilio gli dà di gomito e farinata va a sentire e dante si precipita l'occasione di parlare con un mito come farinata degli uberti si precipita e ricordate come va avanti farinata lo vede arrivare si rende conto che non lo conosce E gli chiede, non come ti chiami, chi sei, ma gli chiede come nasci. Chi sono i tuoi antenati?

Chi fuor li maggior tui? Dopodiché Dante costruisce una scena straordinaria. Non ci dice come gli ha risposto. Dante nella commedia continuamente mette in scena il proprio discorso diretto, fra virgolette diremmo noi.

Qui no, noi non sappiamo che parole ha usato Dante per rispondere a Farinata, ma ci dice che a questa domanda lui ha risposto raccontando a Farinata chi erano i suoi antenati. e Farinata li conosceva. Noi possiamo avere dei dubbi, eh?

Noi sappiamo chi erano il papà e il nonno di Dante, erano bravi cittadini, popolani, uomini d'affari, ma che Farinata degli Uberti li conoscesse? Francamente, io personalmente ho i miei dubbi. Ma invece Dante ci dice che sì, Farinata li conosceva e non solo li conosceva, Farinata aggrotta la fronte perché lui gli Alighieri li conosce e sa che sono dei suoi nemici. Dice fieramente.

furaversi a me e da miei primi, ai miei antenati, come se gli alighieri da generazioni fossero dei feroci nemici dei ghibellini, a me e da miei primi e da mia parte. Ecco, cosa sta facendo Dante? Si sta facendo rilasciare una patente di ortodossia guelfa, gli alighieri guelfi, da sempre, nemici degli uberti, nemici dei ghibellini, da sempre.

E lo sta facendo con una piccola punta di mala fede. Non solo perché lui poco tempo prima firmava documenti insieme ai capi Ghibellini e insieme al figlio di Farinata degli Uberti. Chiaro che è questo che lui vuole far dimenticare.

Però anche quando fa dire a Farinata che gli Alighieri sono guelfi da sempre e che lui, Farinata, li ha cacciati. Sì che per due fiate li dispersi, è molto preciso, eh? Farinata, in effetti, i Ghibellini quando hanno comandato a Firenze, in passato, prima della nascita di Dante, per due volte i Ghibellini di Farinata sono andati al potere a Firenze e per due volte tutti i Guelfi più compromessi hanno dovuto andare via, in esilio.

E Dante fa dire a Farinata che quando hanno fatto le liste di quelli da cacciar via, gli Alighieri c'erano in quelle liste. Dopodiché, fino a quando è durato il potere ghibellino a Firenze? L'ho detto prima, ricordate Carlo D'Angio che scende in Italia nel 1266, vince la battaglia di Benevento, uccide il re Manfredi, che Dante poi rievoca nel Purgatorio, biondo era, e bello, e di gentile aspetto. Ma l'un dei cigli un colpo avea diviso, aveva la faccia spaccata dal colpo di spada francese che l'aveva ucciso. 1266. Con l'arrivo di Carlo D'Angio crolla il regime ghibellino a Firenze e gli esuli guelfi possono tornare.

Solo che ricordate quando è nato Dante? Dante è nato nel 1265, cioè quando Carlo D'Angio non era ancora sceso, il re Manfredi regnava sulla Sicilia e su Napoli, i ghibellini trionfavano a Firenze. E la famiglia di Dante era lì. Non è vero che se ne erano andati tutti.

Non è vero che sotto il regime Ghibellino gli Alighieri erano stati cacciati da Firenze. Stavano lì, magari tenevano la testa bassa, ma certo non erano quei guelfi arrabbiati che Dante adesso ha intenzione di farci credere. Intenzione e interesse.

Perché lui quando inventa questa figura straordinaria di Farinata degli Uberti, e scrive il decimo dell'inferno, beh, si ricorda benissimo, ma vorrebbe che gli altri si dimenticassero che poco tempo prima lui appunto sedeva allo stesso tavolo con il figlio di Farinata degli Uberti.